Moetzin, fuori tono, gallo notturno a pochi metri di distanza dal mio letto e belati di caprette legate in giardino che, probabilmente, diverranno a breve le nostre prossime cene. Dalle 4 alle 6 del mattino sono posseduto da una sorta di sonno leggero rotto definitivamente dalle grida della sveglia che propone “Sister” dei Black Keys. Bevo con tutta tranquillità un caffè nero d’origine locale preparato tenendo la torcia in mano (non è arrivata ancora la corrente) in compagnia di un geko che scorrazza indisturbato tra le stoviglie; in seguito afferro il permesso di transito utile a passare i posti di blocco dei militari sparsi per il paese e lo metto accuratamente in borsa, insieme alle riserve d’acqua da non dimenticare per il viaggio. Dopo aver atteso le taniche di carburante supplementare, ecco il via libera per i tre inviati in “missione”: il responsabile dei progetti in corso, l’autista ed un servizio civilista all’estero. Direzione, la cittadina di Diecke, al confine tra Liberia e Guinea Conakry, col fine di svolgere uno studio di fattibilità per l’avvio di piccole piantagioni di caucciù nella diocesi locale.
La strada asfaltata termina non appena usciamo dalla cittadina divenendo una pista di terra rossa battuta. Ben presto siamo immersi nella brousse, la foresta vergine equatoriale. Dopo nemmeno un’ora di viaggio, tra nubi di polvere e smog, incontriamo un incidente tra due autotreni che bloccano un tratto scosceso, pieno di buche e fossati a picco nella foresta. Il nostro chauffeur decide e riesce comunque a passare in due metri scarsi di spazio con una manovra da stunt-man navigato cui assistiamo con un punto interrogativo sul volto. Poco dopo, come se nulla fosse, il nostro inconsapevole MacGyver propone una ‘colazione da boscaioli’ in un piccolo ristorantino costruito con assi di legno storti e sciami di mosche. Mi concedo riso e legumi, a differenza dei miei compagni di viaggio che passano direttamente alla carne di cervo. Per carne si intende una mandibola inferiore con denti e lingua ben riconoscibili, che rifiuto mentalmente con un poco probabile: “Magari potessi! Peccato mi sia già riempito di pane e Nutella, questa mattina”. Facciamo timbrare la nostra carta di missione al posto di blocco ed attendiamo, attendiamo, attendiamo…sotto un sole cocente, per corridoi ed uffici con un impreciso via vai di persone, sotto le fronde di un albero in compagnia di locali che mi cedono il posto, nei pressi di un pozzo a leva, appoggiati ad un pick-up impolverato che ci diano il permesso di poter proseguire la nostra missione sul campo. Finalmente, dopo più di un’ora, un’anima pia darà risposta alle nostre richieste accompagnandoci nelle vicine, sterminate piantagioni di caucciù. Obiettivo: documentare fotograficamente le fasi di crescita e produzione di quella sostanza che un giorno diverrà gomma per implementare il progetto nelle parrocchie di zona, col fine di creare una piccola economia di lunga durata.
Scorrono dal finestrino chilometri di alberi piantati negli anni, una vera e propria ‘foresta artificiale’, con un secchiellino appeso ad un fil di ferro in cui cola un liquido colloso biancastro. Goccia dopo goccia, anno dopo anno, dai precisi tagli che corrono circolari lungo la corteccia questi secchiellini si riempiranno di una sorta di ‘torta’ solidificata, stato grezzo che precede la lavorazione industriale che avverrà in altri paesi oltreoceano. Il reportage fotografico segue la crescita dei piccoli alberelli a partire da un enorme vivaio a cielo aperto. Sotto un ruggente sole guineano che mi disidrata colorando la mia pelle di rosso, il teleobiettivo cerca di documentare le particolari tecniche di innesto nascoste tra le foglie e lungo le file di vasi che un giorno diverranno parte di un pneumatico, un braccialetto, una borsa, un oggetto da cucina. Servono diversi anni per avere una resa effettiva nella raccolta del liquido (dai 3 ai 5), nello stock del materiale grezzo raccolto nei secchiellini, nonché parecchio spazio disponibile e manodopera costante. Quando tutti i segreti del caucciù ci sono svelati è oramai tardo pomeriggio.
Sulla via del ritorno compro una grossa confezione d’acqua piena di buste di plastica da 33 centilitri, l’unico formato disponibile qui in Guinea, per tutta la nostra equipe in un piccolo chiosco gestito da un ragazzo che pare uscito, purtroppo, dal tetro scenario di “Cry Freetown”[1], mentre il nostro chauffeur acquista una confezione di sapone di produzione locale di alta qualità piuttosto famosa in queste zone ed il responsabile di programma mi offre una busta domopack riempita di latte cagliato.
Al ritorno si prosegue dritti verso casa fermandoci solo per fare pipì e dare la precedenza ad un grosso camion in direzione opposta. Nel mezzo del nulla, quel nulla in cui pare si nascondano scimpanzé ed elefanti, ho un’epifania: far foto sull’equatore a mezzodì poteva costarmi la fine di quel cervo al “ristorantino”, in una sorta di petit-déjeuner dans la brousse senza Manet, donne vestite molto leggere o cestini pieni di specialità francesi. Solo uno stoppaccioso brasato di antropologo. Tornato al compound divoro un piatto di pasta al gusto di pathé d’oca in scatoletta acquistato al mercato locale, le carrefour, cercando ingenuamente un contatto col mondo esterno attraverso una wifi che, incredibilmente, un piccolo locale di smercio alcolici e bibite gassate a buon prezzo offre gratuitamente …che invenzione!
[1] Film documentario del 2000 diretto da Sorious Samura sulla guerra dei ribelli del Revolutionary United Front – RUF – in Sierra Leone, con scene piuttosto cruente rappresentanti il taglio degli arti superiori di numerosi civili ad opera dei ribelli)
Guarda la galleria fotografica (clicca sulle foto per ingrandire)
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