Astrachan, foce del Volga, Russia meridionale. Ad un tiro di schioppo ci sono, a est il Kazakistan, a sud Cecenia e Daghestan.
E’ qui che domenica 10 Aprile giungiamo con la mia compagna di viaggio, dopo aver avuto l’occasione di fermarci un giorno a Volgograd, ex Stalingrado, a fissare nella mente l’immagine di quella signora commossa dopo esser stata in ginocchio dinanzi il monumento per i caduti della “Grande guerra patriottica”, per noi la Seconda Guerra Mondiale.
Astrachan conta qualche centinaio di migliaio di abitanti; ad occhio ti accorgi che i russi non ne costituiscono la stragrande maggioranza come a Volgograd, qui è un trionfo di melting pot, prettamente caucasico e centro asiatico: daghestani, ceceni, ingusci; georgiani, armeni e azeri; kazaki, uzbeki e tajiki; genti di diversa nazionalità vivono nell’amalgama città di porto e industrie che sarà casa mia per i prossimi mesi.
Mi accogli una signora armena, è la padrona di casa. Fratello e sorella di origini kazake, 10 e 14 anni, con un passato in istituto per minori; A. , ragazza russa di vent’anni, sordomuta e con “ritardo mentale di II gruppo”, secondo la legge russa; A., ragazzo armeno di 25 anni ha subito la stessa classificazione da parte del sistema sanitario di Mosca.
Ecco, sono loro le persone che saranno la mia famiglia per i prossimi 6/8 mesi.
Poi c’è l’altra casa del mio ente di invio dove vivono insieme: Mirella responsabile italiana delle strutture di Astrachan; una ragazza madre con due figli di 5 e 11 anni; due uomini russi, il più anziano è fisicamente disabile, con alla spalle decine d’anni spesi in strada.
Arriva il primo martedì e abbiamo l’occasione di conoscere loro, “i nostri barboni”. Molti sono di nazionalità russa, perlopiù adulti con un’equa distribuzione di genere. Non manca però un buon numero di appartenenti alla comunità tzigana.
Li troviamo davanti le chiese ortodosse e nei mercati “orientaleggianti” della città. Credo si possa sottolineare la particolare predisposizione dei russi a fare l’elemosina. Esiste un’antica e radicata tradizione in merito, legata alla confessione ortodossa.
Il nostro lavoro consiste nel portar loro tè e panini un paio di volte a settimana. Con il ripetersi dell’esperienza capisci che sono la gratuità del gesto e il tempo per due chiacchiere speso con loro a essere il nocciolo della questione, il frutto della passeggiata, il senso del lavoro. Ma non tutti hanno voglia di raccontarsi: c’è una donna anziana che dopo anni insiste nel non rispondere ad una domanda semplicissima, “Qual è il suo nome signora?”. Molti di loro sono per strada a causa dell’alcool, altri perchè le famiglie con gli anni ’90 non hanno ritrovato un loro posto nel sistema al collasso, altri perchè immigrati. Molti sono invalidi, qualcuno a causa del freddo patito nei rigidi inverni passati nella strada; qualcuno è cieco perchè ha abusato dell’uso di alcool puro, meno costoso della vodka.
Poi succede che stai per tornare a casa, passando prima per Volgograd e qua, alla stazione, ti fermano un paio di signori, di aspetto arabo, con lunghe barbe e il loro copricapo a renderli dignitosamente eleganti. Ti hanno riconosciuto e ti salutano, dicono ad un terzo amico: “lui è un nostro amico, ci porta sempre del buon tè”. Venendo a sapere che tornavo in Italia si sono raccomandati affinché poi li raggiunga ancora ad Astrachan.
Si, può sembrare che questi due mesi siano passati in fretta e senza troppi intoppi. Non è cosi.
No, restare in una casa dove non si parla che russo, al massimo armeno, da solo, non è facile. Spesso la malinconia e la solitudine bussano forte alla porta della mia minuscola camera e restano lì a rendere l’aria pesante e lo spazio opprimente.
Non è facile per via della lingua innanzitutto; nonostante le tre lezioni private settimanali, per imparare il russo seriamente mi ci vorrà ancora tanto studio.
Al momento, quindi, la comunicazione è basata soprattutto sulla buona volontà della mia responsabile armena e sulla nostra buona intesa. Ancora, è grandioso rendersi conto della buona comunicazione e del derivante buon rapporto, instaurato con A. E’ probabilmente lei la persona cui più mi sono più affezionato in questi mesi; la sua forza, la caparbietà, la sua dignità dinanzi ad un mondo che l’ha maltrattata e non la comprende, lei ha dato fiducia a quella che è ormai sua madre, è riuscita a fidarsi ancora, dopo le mancanze di genitori alcolisti, è riuscita a rialzarsi. Sfida il mondo ogni giorno con dignità e tenacia invidiabili per molti di noi.
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