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Come alberi d’ulivo, resilienti all’occupazione

Volantari EVS Apg23
Volantari EVS Apg23
Hashem vive con la sua famiglia ad Hebron, nel cuore della Cisgiordania. Subisce vessazioni di ogni tipo ma, con infinita pazienza, resiste. Con la certezza che l’occupazione finirà.

Cisgiordania Hebron Hashem 3Scrivere della Palestina e di Israele non è facile, soprattutto se si è qui immersi e sopraffatti da una realtà in cui la sistematica discriminazione e violazione dei diritti umani fondamentali segna la quotidianità di milioni di palestinesi. Vivere sotto occupazione militare può risultare estremamente oppressivo e soffocante anche per noi “internazionali”, nonostante il nostro status ci conceda delle libertà e dei privilegi che i palestinesi non possono neanche lontanamente sognare di avere. E fa arrabbiare. Indignare. E si ha voglia di gridare a tutti quello che succede qui.

Si ha voglia di urlare: Informatevi! Leggete! Non fermatevi alle notizie dei telegiornali perché riproducono una retorica eccessivamente filo israeliana che non rende giustizia a un popolo oppresso da troppi anni, anche in nome della nostra sicurezza e con l’aiuto dei nostri soldi. Alle volte invece si perde la speranza, la tristezza e la disillusione la fanno da padrone e si finisce col pensare che non c’è nulla da fare e non cambierà mai nulla. Ed è in questi momenti che penso ad alcuni palestinesi che ho incontrato in questi mesi, alla loro forza d’animo, alla loro fierezza e capacità di non mollare mai nonostante tutto perché sanno che la giustizia e la storia non potranno che dar loro ragione. E soprattutto penso alla loro pazienza.
Le strade della cittàUn popolo saggio che sa che non si può ottenere tutto e subito, ma che ci vuole del tempo, che nulla è per sempre e che prima o poi tutti i sistemi oppressivi nel mondo sono stati sconfitti o verranno sconfitti. L’importante è non scoraggiarsi se non si vedono subito i risultati, ma andare avanti nella lotta, giorno dopo giorno, mese dopo mese, continuando a sognare un mondo più giusto non più per se stessi ma per i propri figli e nipoti. In Palestina esistenza è resistenza. Continuare a vivere, lavorare, istruirsi, pregare nonostante le mille restrizioni e vessazioni è un grande gesto di ribellione. In Palestina si parla di
sumud o resilienza e cioè la capacità di continuare la propria vita senza farsi schiacciare dalle ingiustizie politiche, economiche e sociali quotidiane. Il simbolo del sumud è infatti un vecchio albero d’ulivo le cui radici penetrano profondamente la terra ed è praticamente impossibile sradicarlo.

Un esempio emblematico di cosa vuol dire sumud è la storia di Hashem, un uomo che ho incontrato durante una visita alla città di Hebron.
La città, che si trova nel cuore della Cisgiordania, dal 1997 è divisa in due settori, una affidata al controllo dell’Autorità Palestinese e una (circa il 20% dell’area urbana) sotto il totale controllo dell’esercito israeliano. Dal 1979, inoltre, nella città c’è una massiccia presenza di coloni israeliani ultra ortodossi, tra i più violenti di tutta la Cisgiordania, che stanno lentamente occupando aree che fino a una pochi anni fa appartenevano ai palestinesi.
Nella città fantasmaUna di queste zone è la centralissima Shuhada Street, un tempo una delle arterie principali e vivaci della città, oggi una strada “fantasma” a cui si ha accesso passando attraverso un checkpoint israeliano che può essere chiuso in qualsiasi momento. Shuhada Street è oggi una strada completamente vuota e silenziosa, i negozi un tempo do proprietà dei palestinesi sono chiusi e sigillati, certi edifici danneggiati e abbandonati, grosse stelle di Davide sono comparse sui muri e bandiere israeliane sventolano alle finestre. È una via spettrale, soprattutto se si pensa alle città palestinesi, sempre affollate, piene di vita, rumori e profumi. Lungo tutta la via e le vie attigue un nutrito gruppo di soldati israeliani pattuglia la zona giorno e notte.
La loro presenza è dovuta ai diversi insediamenti illegali israeliani che sorgono in questa area chiusa. Come già detto si tratta di fazioni ultra ortodosse e nazionaliste, il cui obiettivo è l’espulsione di tutti i palestinesi. Hashem vive con la sua famiglia proprio qui, a pochi metri dalla casa del fondatore della prima colonia a Hebron. Da più di un anno non può lasciare l’area chiusa perché è stato raggiunto da un provvedimento di detenzione amministrativa. Quest’ultima è una misura di restrizione della libertà individuale applicata per ragioni di sicurezza, e sempre in nome della sicurezza a chi ne è colpito non vengono comunicati i motivi di tale provvedimento e soprattutto non è previsto alcun processo. È molto probabile però che Hashem sia stato punito per motivi politici, da anni si batte per i diritti dei palestinesi e per il miglioramento delle condizioni di vita di coloro che vivono nell’area chiusa attorno a Shuhada Street.
In cittàCon l’aiuto di alcune organizzazioni internazionali è riuscito ad aprire un piccolo centro in cui i bambini possono giocare, corsi di vario genere vengono organizzati e offerti gratuitamente e viene garantito un supporto psicologico agli abitanti. Hashem inoltre è un fisioterapista, nel suo piccolo centro segue alcuni pazienti colpiti da problemi motori. L’altra grande “colpa” di Hashem è il suo rifiuto ad andarsene da casa sua, nonostante gli abbiano offerto, in un primo momento, molti soldi, e in un secondo, abbiano tentato con la violenza di convincerlo a desistere.
La storia di Hashem e la sua famiglia è la storia di persone che vengono costantemente vessate e minacciate, le cui olive sono state rubate dai coloni per l’ennesimo anno consecutivo, le cui viti non portano frutti ormai da anni perché avvelenate, il cui ingresso alla casa è stato più volte bloccato costringendoli a scalare un muro anche quando sua moglie era incinta, i cui figli rientrano troppo spesso con un’espressione di terrore dipinta sul volto perché per l’ennesima volta sono stati attaccati dai coloni sulla via di casa dopo la scuola. Hashem però non si da per vinto e continua quotidianamente la sua lotta nonviolenta per aiutare il suo popolo. La storia di Hashem è comune a quella di molti altri palestinesi, che come lui non molleranno mai, perché convinti che prima o poi l’occupazione finirà e potranno tornare ad essere uomini liberi.

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