• Caschi Bianchi Apg23

Caschi Bianchi Cile

Una tavola che restituisce dignità

Spesso sono solo volti silenziosi quelli che passano tra i tavoli, davanti ad un piatto caldo. Pian piano diventano sguardi, storie e vite, con cui condividere un pezzo di strada.

Scritto da Pietro Paolo Ghini e Mauro Simiand, CB Apg23 a Santiago del Cile

Spesso sono solo volti silenziosi quelli che passano tra i tavoli, davanti ad un piatto caldo. Pian piano diventano sguardi, storie e vite, con cui divendere un pezzo di strada.

Siamo a Santiago, comune di Peñalolén. Oggi è un giorno come tanti altri e come sempre la gente comincia ad affollare il cortile della cappella Santa Cruz.

Sandra e Martita hanno ormai terminato i preparativi per il pranzo, Jorge sta apparecchiando i tavoli e Maria sta lavorando a maglia in un angolo della cucina; è grazie al loro lavoro che ogni giorno molte persone trovano un piatto caldo da mangiare.
Anche noi, Caschi Bianchi, troviamo finalmente il tempo per uscire e incontrare le persone che stanno aspettando fuori.

Don Bernardino è già seduto, è sempre uno dei primi ad arrivare. Non si alza in piedi per stringerci la mano, a lato tiene un paio di stampelle. Un sorriso incornicia il suo volto pieno di rughe. È un tipo di poche parole, ma dal cuore grande: anche oggi ha portato alla nostra Maria un lecca-lecca in regalo.
Sembra un gesto da poco, ma è di grande importanza se compiuto da una persona che non ha neanche i soldi per pranzare.

Anche la Signora Rosa è una delle prime. Da noi si fa chiamare così, perché preferisce non dire il suo vero nome Mapuche. Ha la schiena curva e si aiuta sorreggendosi sul fianco, ma non bisogna farsi ingannare: anche oggi si è proposta per aiutare in qualcosa e infatti le sue mani callose sono già in azione per pulire una cassetta di fagioli.

Invece Rolando, dopo l’ennesima notte in strada, continua a dormire, seduto sulla panca, con la testa appoggiata al tavolo. La sigaretta che ha in mano si è quasi consumata, la cenere è  ancora attaccata al mozzicone. Ogni tanto alza lo sguardo, guardingo. E accende un altra sigaretta! Gli altri sono soliti disprezzarlo e prenderlo in giro, lui contraccambia con la stessa diffidenza. Gli unici suoi amici sono i due cani, compagni di una vita, che vigilano ai suoi piedi.

Non sono tutti così gli uomini che vivono in strada. Don Victor infatti è già in un angolo a parlare e ridere con altri caballeros, sempre pronto alla battuta, con in viso qualche smorfia divertente.
Spesso arriva a pranzo con l’andatura incerta, con i vestiti sporchi e l’alito che sa di vino; è già ubriaco, lui non nasconde il suo problema con l’alcol e ci scherza sopra.

Tra gli ultimi ad arrivare c’è Maria Eugenia, il suo viso abbronzato evidenzia i segni della stanchezza, indossa la casacca fosforescente dei dipendenti della municipalidad. Con lei ci sono diversi colleghi che approfittano della pausa pranzo per mangiare un pasto gratis. Qui lo stipendio minimo è davvero basso, loro lo sanno bene e cercano di risparmiare come possono.

Arriva l’ora di pranzare, si apre la porta della mensa. Sono una quarantina ad entrare. Il pasto si consuma veloce, con qualche risata e un po’ di condivisione. Poi tutti escono, alcuni tornano al lavoro, altri tornano solitari alla propria casa oppure deviano alla piazza per scambiare quattro parole seduti a una panchina. Altri infine tornano in un angolo del quartiere, facendosi compagnia con la bottiglia.

Questo è il comedor, nient’altro che una piccola cucina e una stanza con pochi tavoli. Lavora per dare da mangiare agli impoveriti, ma in realtà regala a tutti noi relazione, condivisione e quei sorrisi che scaldano il cuore, dando ad ogni persona quell’importanza che gli è stata negata a causa dell’indifferenza dei benestanti.

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