Una storia che comincia con una tazzina di tè caldo, un panino, e una o più domande.
Mi ricordo anni fa che si partiva da Nenshat, un villaggio con tanta povertà situato nella provincia di Scutari, per arrivare nella capitale Tirana, dove vive quella gente che può permettersi una vita migliore anche se modesta, dove c’è la modernità rispetto ai villaggi e attorno a cui ruota la maggior parte dell’economia albanese. Noi volontari albanesi e italiani della Comunità Papa Giovanni XXIII siamo partiti per trovare persone economicamente povere e con poche speranze.
In quel periodo per arrivare a Tirana impiegavamo due ore, perche la macchina doveva fare il “ballo tradizionale” a causa delle strade sterrate.
Durante il tragitto noi che non sapevamo cosa volesse dire incontrare questa gente ci immaginavano come li avremmo aiutati. La realtà fu più dura di quanto ci aspettassimo.
Però una volta arrivati ci siamo messi a cercarli: dove erano? non si vedevano! E quelli che si vedevano non si fermavano. Gli altri ci prendevano in giro, e dicevano: “Rappresentate la Comunità Papa Giovanni XXIII, una comunità di tipo religioso, e ci date solo un panino e una tazzina di tè?”, altri chiedevano soldi, una casa…
Noi non sapevamo più cosa rispondere, non avevamo esperienza sul campo ma avevamo molta voglia di fare.
Dopo il primo impatto ci siamo presi un momento di pausa e ci siamo chiesti se ci mancava qualcosa? Come si poteva affrontare questo problema? Cosa sbagliavamo?
Ci mancava sapere cosa era in realtà la vita di strada. Di cosa hanno bisogno queste persone?
Così, come certe grazie che ci da il Signore, abbiamo avuto la possibilità di fare un esperienza di tre giorni per strada, come loro, senza niente…
Eravamo una ventina, albanesi, italiani e un croato, tante persone si sono offerte volontarie per intraprendere questa esperienza.
Trascorso il primo giorno e la prima notte ci siamo riuniti tutti insieme per raccontare cosa era successo a ciascuno di noi e suonava sempre la stessa canzone, la stessa storia: “quello ha un ristorante di lusso e non ci ha dato da mangiare”, “siamo andati al quartiere ricco di Tirana e nessuno ci voleva vedere”, “dai ‘cambisti’ (i cambiavaluta) in giro per la città non ci hanno dato un lek”!
“Sono stati i più poveri, in questo caso quelli come noi, che ci hanno dato più dei cosiddetti “ricchi”!
Alla fine dei tre giorni si sentivano voci di volontari che dicevano: “ho fame”, “mi devo lavare”, “ho bisogno di dormire nel mio letto”, “ho bisogno delle mie cose”, “ho bisogno di vedere come stanno i miei”…
Proprio in quel momento ho capito che i nostri bisogni erano tanti e si potevano risolvere tornando a casa, ma i bisogni delle persone con cui avevamo vissuto per tre giorni?
La prima cosa che si avevamo notato subito era che loro avevano bisogno di affetto e di una casa dove potevano fare una vita diversa rispetto a quella che stavano facendo. Così è nata la “capanna di Betlemme” a Tirana, dentro ad un vecchio capannone , e , arrivando, ci ha sorriso anche il primo accolto, ancora prima di finire la costruzione della casa: un anziano, che oggi vive ricoverato in ospedale oncologico per un tumore. Ci sta lasciando colui che ci ha fatto capire cosa vuole dire la parola “amare”. Lo ricordo quando inizialmente urlava, si arrabbiava, e speso non ci faceva neanche dormire. Oggi invece ci chiama figli miei, proprio lui che della strada ne aveva fatto quasi una scelta di vita.
Questo racconto descrive in poche parole come è nata la struttura di Tirana della Comunità Papa Giovanni XXIII per i senza fissa dimora. Una struttura dove ormai molte persone cercano rifugio dalle intemperie, dal freddo e dalla fame, uno dei maggiori problemi che purtroppo colpisce molti giovani, e non solo anziani, in questa nuova Albania. Dico “nuova” perche è una nazione che da decenni cerca di riprendere quota dopo il periodo della dittatura comunista, in cui era vietata la libertà di pensiero e di parola, che ha congelato il tempo nel “paese delle aquile”.
A 15 anni dalla caduta del comunismo gli albanesi non sono ancora riusciti ad abbattere il muro della negazione della libertà: l’isolamento dal mondo. Uscire dai confini dello Stato è un privilegio che non tutti possono godere. E’ vero che molti viaggiano all’estero ma questo non è di consolazione per le cassi medie.
Dopo un decennio e mezzo gli albanesi sono diventati più europei di quanto ci si aspettasse. Condividono i gusti e le mode degli europei, amano divertirsi, ma sono frenati da uno Stato che li costringe, con la sua burocrazia arretrata, spesso a non poter uscire dal paese, forse per paura che l’Albania, letteralmente, finisca per svuotarsi. E’ lo stesso Stato e la stessa burocrazia per cui, persone come quelle che arrivano alla Capanna di Betlemme, rimangono degli invisibili.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!