Ogni tanto, quando stacco dalla quotidianità che mi tiene impegnato nelle giornate che condivido con i ragazzi senzatetto alla Capanna di Betlemme a Tirana, penso comunque spesso ai loro problemi; so che non posso risolverli del tutto ma ho voglia di fare e la vita con loro mi ha talmente coinvolto che li sento come persone di famiglia.
La vita alla Capanna di Tirana non è semplice, perché difficilmente chi vi è accolto collabora con noi. Si trascura, spesso è malato e ha necessità di cure. Purtroppo sono frenati dall’orgoglio, sono troppo orgogliosi ma non so nemmeno di cosa. Inoltre per loro vedere uno straniero che si impegna ad aver cura di loro è piuttosto strano. Credono sia un diritto essere aiutati. Io vivo il mio servizio come un piacere, perché mi fa sentir bene con me stesso e mi stimola a continuare il mio percorso come Casco Bianco con l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII.
La vita alla Capanna è regolata da tempi precisi. La mattina facciamo colazione alle sette e trenta e di solito ci sono dalle venticinque alle trenta persone… immaginate che colazione, tutti in sala da pranzo! Ormai mi sembrerebbe strano svegliarmi una mattina e trovarmi solo in casa e prepararmi il caffè…
Accogliamo i ragazzi la sera alle diciannove fino alla mattina alle otto, quando vanno via e tornano nel centro della città a cercare qualche lavoretto o a elemosinare qualche spicciolo. Una volta liberata a casa inizia il “divertimento”: le pulizie. Quando dico “divertimento” scherzo alla grande perché è veramente una fatica riordinare tre piani di casa. Una volta finito c’è sempre qualcosa da fare. Per esempio andare a prendere l’acqua che, nel nostro quartiere, Kombinat city, il Comune non fa arrivare, o meglio, l’acqua arriva, ma solo un’ora al giorno, e non basta nemmeno per una lavatrice.
Kombinat era il fiore all’occhiello dell’industria albanese. Qui si trovavano le principali aziende della capitale Tirana. Caduta la dittatura si è trasformato in una periferia degradata e dimenticata dalle istituzioni.
Di solito, durante la mattinata sono in giro per gli ospedali o negli uffici del Comune, perché le persone che ospitiamo non hanno documenti o hanno bisogno di assistenza medica o di consulenze. A loro dedichiamo le mattinate perché nel pomeriggio, dopo pranzo, iniziamo a preparare la cena e cerchiamo sempre di fare il meglio: d’estate, poiché fa molto caldo si preparano piatti freddi come insalate di riso, formaggi, pasta fredda con verdure…, d’ inverno ci divertiamo preparando minestre calde, dolci, pizze.
Da due anni la nostra attività è sostenuta da un progetto con VodafoneAL che copre le spese per le uscite che facciamo di notte in cerca di chi vive in strada: distribuiamo panini, acqua, coperte, a seconda della stagione ed i ragazzi che incontriamo vengono registrati in modo tale da sapere chi sono, da dove vengono e sopratutto se hanno problemi che siano di salute o di altro tipo per potergli poi offrire assistenza. Nelle persone che incontriamo, a differenza di quanto a volte si pensa, nessuno ha scelto la vita del “barbone” ma vi si trova per condizione.
I ragazzi che hanno più bisogno li accogliamo alla “capanna” , e alla fine sono soprattutto i più anziani e coloro che non sono in buona salute. La casa non è tanto grande e può accogliere, come si diceva, dalle 25 alle 30 persone. Comunque si cerca di fare il possibile per fare in modo che questi nostri fratelli non rimangano mai soli.
Nella mia lunga e avventurosa esperienza ne ho viste di cotte e di crude e ho conosciuto tante persone. Ho consumato ettolitri di benzina, letto decine di libri e decine di racconti. E a questo proposito devo riconoscere che molti di quei libri valevano meno della carta sulla quale erano stampati. Vivendo questi mesi alla Capanna ho sperimentato che la vera esperienza è quella che va vissuta.
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