La sveglia suona alle sette in punto. Con la faccia segnata dal cuscino mi alzo a fatica, preparo il caffe, e sono già pronta verso Madrid. Un’oretta di bus, ed eccoci arrivati ad Avenida America, zaino in spalla contenente qualcosa di caldo, panini, un po’ di vestiti e una piccola dose di entusiasmo per la giornata.
Siamo in cammino. Andiamo diritti verso Plaza des Cibeles dove solitamente ci aspetta Alberto, un ragazzo rumeno di 19 anni. Oggi però non c’è. La settimana scorsa ci ha detto che sarebbe tornato per qualche mese nel suo paese. Continuiamo il nostro cammino. L’abuela che si chiama Maria Laika, è anche lei rumena. E’ sempre in un angolo, a terra con la testa china, i piedi nudi e la faccia sporca. Non parla spagnolo, fa fatica a capire e a capirci.
Il progetto di unità di strada con i senza tetto per noi Caschi Bianchi è cominciato con il nostro arrivo in Spagna, ossia nella seconda metà di Marzo 2012, insieme ad Armando membro della comunità Papa Giovanni XXIII.
La nostra attività prevede l’andare in strada per conoscere queste persone, totalmente escluse dal mercato del lavoro e molto spesso dalla società in genere. A questo gruppo della popolazione ci si riferisce con termini diversi: mendicanti, vagabondi, senza tetto e tanti altri. Molti vivono per strada, ma altri fanno ricorso ad albergue o a strutture specifiche. Queste persone non hanno un tetto, ma il più delle volte gli viene a mancare anche una famiglia, un lavoro e una rete amicale. Conoscerli, parlarci e capire quali sono le difficoltà che attraversano quotidianamente vuol dire restituirgli la possibilità che qualcuno gli si avvicini senza paura. A Madrid a causa della crisi e dei continui tagli ai servizi le persone per strada sono aumentate. Sono immigrati, senza documenti, ma anche spagnoli. Molti hanno problemi di alcoolismo/droga e/o di salute fisica/mentale.
Ricordo il primo giorno a Madrid: un misto di emozione a nervosismo sul cosa dire e sul cosa fare una volta arrivata. Dove andremo? Immaginavo delle unità di strada che si concentrano in una determinata zona, dove sono loro, i senza tetto che arrivano per trovare qualcosa da mangiare… Ed invece siamo noi che andiamo verso di loro. Ognuno ha il suo posto in quella grande capitale europea viva e piena, e tu non sei lì per essere catturato da negozi, monumenti, chiese e altre attrattive, sei lì per loro, per gli invisibili. Persone a cui nessuno, o quasi nessuno vuole avvicinarsi.
Parti con l’idea di non sentire solo l’ingiustizia ma di voler contribuire a cambiare un pezzettino di questo mondo, ed ecco che cresce la confusione, cosa significa stare con gli ultimi? E chi sono gli ultimi? Alberto, MariaLaika, Juanco e tanti altri nomi…che, stando in strada a fianco a loro non sono più “solo” nomi ma diventano storie e “vita”…
Mi viene da pensare alle parole di Erri de Luca che scrive:
“dormire in terra, mischiare nel sonno l’odore di scarpe, capelli e avanzi di cibo, doversi imporre una democrazia con parole stentate e qualche pugno nervoso tra chi ubriaco piangeva e chi timoroso sfuggiva….”
È esattamente quello che vedo: una panchina, un cartone, una busta o uno zaino, a volte un bric di vino, a volte una barba lunga, le rughe e la faccia un po’ nera… e mi chiedo come possano vivere in quel modo… poi mi fermo un attimo e mi dico che dietro quei volti sporchi e imbruttiti dalle intemperie c’è una storia e ci sono delle paure e delle ferite.
Ci sono i sogni, e man mano che tu sei lì con loro ti raccontano un pezzettino di sé. Torni a casa e rifletti sul dove incastrare quel pezzo del puzzle. Lo zaino che la mattina hai riempito con caffè, panini e vestiti si svuota e si riempie di racconti, di sensazioni, di entusiasmo e di groppi allo stomaco…
A volte mi sento una perfetta idiota perché non so cosa dire.
Narcisa è una ragazza rumena di 35 anni. Ci ha raccontato di quando e come ha perso le gambe: era piccola e giocava da sua nonna in Romania con le sue cugine vicino ai binari del treno. Il treno passa e lei ci resta sotto. Da quel momento diverse operazioni finché non arriva il giorno dell’amputazione. Ho la sensazione che racconti l’accaduto con una certa tranquillità o forse è solo accettazione per la sua condizione.
Mi vengono i brividi, mi sento strana e spero che questa sensazione non traspaia dal volto. Lei riesce ad essere allegra, eppure sta tutto il giorno seduta in calle de Arenas, una traversa della Plaza del Sol, gremita di turisti e negozi all’ultima moda. Se ti siedi accanto a lei riesci a scorgere la sua visuale, tutti mezzi busti, mentre se alzi appena lo sguardo, noti la gente che, incuriosita, guarda con la coda dell’occhio. Narcisa, ha un sogno, una casa in Romania con i suoi due figli, Tania e Abele. Per questo è lì a mendicare tutti i giorni, a volte anche di domenica, nonostante la consideri il giorno di riposo.
Le emozioni e le sensazioni vissute durante le uscite sono svariate vanno dall’euforia, tristezza e a volte anche rabbia..
Narcisa a volte riesce a scorgere il mio stato d’animo solo guardandomi, e lì è lei che mi chiede che cosa succede. In quei momenti non riesco a far finta di nulla e le racconto ciò che vivo io, è lì che sento la reciprocità ed un volersi raccontare e scoprirsi a vicenda.
Il martedì sera siamo in strada a Guadalajara. La nostra ultima tappa è una casa abbandonata sotto un ponte, vicino al fiume Henares, dove vivono dei ragazzi marocchini che hanno all’incirca la mia età. Buio pesto, puzza e insettini fastidiosi che ti si attaccano alle gambe. Armando lancia un “hola”, e dopo poco sulla soglia dell’entrata senza porta si affaccia uno dei ragazzi, ha 27 anni e il suo nome è Hissan. Non ha un aspetto malandato ed è vestito bene. Armando dopo mi spiega che c’è un albergue dove possono lavarsi una volta a settimana. Ci sorride e forse quella più in difficoltà sono io, non lui. Dice che stanno preparando la cena, con un fornellino al buio.
Nel risalire dalla casa, ho il magone ed ho solo voglia di piangere. Mi chiedo come si possa continuare a far finta di nulla e cosa possa spingere dei ragazzi a vivere in quel modo. Non hanno nulla, acqua, luce, nessuna delle cose senza le quali non riuscirei a vivere un solo giorno. Cosa si lasciano alle spalle? Sono stranieri, in una terra lontana e senza documenti, in una città che li lascia ai margini. Non sappiamo molto di loro, e quello che decideranno di raccontarci verrà con il tempo.
Mi sento confusa e curiosa al tempo stesso per quei racconti e per quelle lezioni ed esperienze di vita semplice, ma autentica.
Intanto il sindaco di Madrid, Alberto Ruiz-Gallardon, ha chiesto al suo partito di appartenenza, il Partito Popolare, di inserire nel programma una legge che permetta al comune di sgomberare i senza tetto, tutto questo in nome della sicurezza e del decoro pubblico, sottolineando però che ci siano le risorse a disposizione.
E’ un buon modo per mettere in silenzio le nostre coscienze. Occhio che non vede, cuore che non duole.
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