Nel 1946 una delle sottocommissioni dell’Assemblea Costituente approva l’articolo 50 del Progetto di Costituzione, inserendo al comma due il cosiddetto diritto di resistenza, un diritto di resistenza alle oppressioni dei pubblici poteri. La proposta di articolo in particolare recitava: “Quando i pubblici poteri violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino”.
Il comma, però, non passa il vaglio dell’Assemblea Costituente. Mancava, secondo i voti contrari, uno strumento istituzionale che permettesse di accertare quando la ribellione o resistenza risultasse legittima e quando illegittima e se, e in quale misura, potesse essere accettata anche una resistenza violenta. L’articolo non venne scritto.
Qualche decennio dopo, in un altro mondo….
Albania, villaggio di Zejmen, nella scuola superiore del villaggio sto realizzando un percorso educativo sulla risoluzione nonviolenta dei conflitti e in particolare cerco di ragionare insieme ai ragazzi su di un conflitto che riguarda da vicino la loro società: le vendette di sangue. Siamo ormai al secondo incontro e vorrei trattare con loro il possibile effetto che può avere sull’escalation della violenza la pressione sociale a sostegno del proseguimento della faida e del mantenimento della tradizione.
Li invito tutti a fare un piccolo esercizio: “Scrivete, ognuno su un foglietto, il valore che in questo momento è il più significativo della vostra vita, quello senza il quale non sareste più voi stessi, riassumete in una parola la vostra stessa essenza”.
Una domanda difficile, tutti si guardano intorno spaesati, poi come un domino il primo inizia a scrivere e dopo poco l’unico rumore che si sente è la matita sulla carta.
Ora l’ordine è un altro: “Spiegate al vostro compagno di classe perché quel valore, e proprio quello, è il più importante della vostra vita”.
Mentre ascolto distrattamente l’insegnante che tesse le lodi dei suoi alunni lo sguardo vaga fra un ragazzo infervorato a sostenere che il rispetto è definitivamente il valore più importante per un uomo, al rossore delle guance di una ragazzina, minuscola, nel primo banco a destra, sul suo foglietto la parola amore, mentre la compagna, probabilmente la prima della classe, sostiene con cipiglio l’importanza dell’istruzione per diventare qualcuno.
Questo è il momento che attendevo: “Ora scambiate il foglio con il vostro compagno. Avete tutti in mano la parola del vostro amico? Bene. Strappatelo!”.
E’ questione di un secondo e il rumore della carta strappata invade l’aula, scorro con lo sguardo il volto di ognuno, c’è chi ridacchia, chi prova un perverso piacere a strappare in piccolissimi pezzi il valore del compagno, chi semplicemente esegue con noncuranza, poi raggiungo un volto, è una ragazza in seconda fila, vicino al muro, si guarda intorno persa in mezzo a tutti quei frammenti di carta, poi guarda me, immobile.
Il foglietto è ancora integro nella mano che alza per prendere parola.
Semplicemente mi chiede:“Pse? Perché?”.
C’è chi ha fatto rivoluzioni per questo perché, per il semplice sorgere di un dubbio.
Qualcuno non si è accontentato di eseguire ciò che la legge, l’autorità, la famiglia, l’uomo, la tradizione, la religione diceva. Qualcuno ha resistito appunto.
Chi ha liberato Stati grandi quanto un continente senza la violenza per questo perché?
Chi è andato in tribunale e chi in prigione per questo perché?
Questo è il perché i diritti umani sono patrimonio di ognuno di noi, il perchè si manifesta in Val di Susa contro un treno e in Cile contro una diga, il perchè in Spagna si riuniscono giovani e si fanno chiamare Indignados e Occupy Wall Street.
La mia stessa esperienza di Servizio Civile è frutto di uno storico perché?, di un dubbio che si è concretizzato in una scelta con conseguenze anche terribili per chi l’ha presa prima di me, la scelta di non armarsi contro un altro essere umano.
E la mia stessa quotidianità di Servizio Civile è un perché. Perché le resistenze da portare avanti sono ancora tante in Italia e in tutto il mondo, perché sono sicura che il mondo non debba andare nella stessa direzione e che il cambiamento può avvenire anche grazie ad un perché?
La resistenza è difficile, sofferta ma nobile per chi la realizza e la sua nobiltà si accresce tanto quanto la scelta della resistenza sa rispettare l’altro nella sua umanità perché la resistenza all’oppressione, di qualsiasi forma essa sia, è l’essenza stessa dell’umanità così come il rispetto, l’amore e l’istruzione sono l’essenza di tre giovani albanesi.
Ci sarà tempo per spiegare alla ragazza in seconda fila tutte queste cose, molte le conoscerà con il tempo, ma per il momento la guardo e l’unica risposta che ho è “Faleminderit. Grazie”.
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