Nell’ambito del progetto della Papa Giovanni XXIII in Romania in collaborazione con l’associazione Generatie Tanara (GTR) ci è stato chiesto di insegnare l’italiano in una scuola elementare di Timisoara da marzo fino a giugno. L’idea era di farci entrare in una scuola per rafforzare la collaborazione tra quest’ultima e l’associazione GTR che da tempo promuove attività nelle scuole per sensibilizzare bambini, insegnanti e genitori a tematiche importanti come la tratta di esseri umani. Inoltre entrare nelle classi ci ha dato l’opportunità di conoscere meglio la società rumena percependone alcuni aspetti significativi, certo, filtrati dagli occhi dei bambini, ma non per questo meno veri.
Ad un certo punto abbiamo anche sentito l’esigenza di raccontare ai bambini il perché della nostra presenza in Romania, per loro un po’ difficile da capire perché di solito il flusso di persone è nella direzione inversa: dalla Romania all’Italia e non viceversa!
Inoltre il nostro desiderio era di spiegar loro chi sono i Caschi Bianchi e i valori nei quali crediamo.
L’ultima settimana di scuola abbiamo quindi dedicato una lezione alla gestione non violenta dei conflitti. Un incontro solo non è ovviamente sufficiente ma con il rientro a scuola a settembre speriamo di poter tornare e proporre alle classi un percorso maggiormente completo.
Siamo partite dalla consapevolezza che il conflitto è un’esperienza quotidiana e costante, a cui è impossibile sottrarsi. È quindi importante affrontare il problema con i bambini, renderli coscienti dei contrasti esistenti nella loro quotidianità e aiutarli a farli emergere. È inoltre fondamentale stimolarli a trasformare un episodio caratterizzato dallo scontro in un’occasione di crescita, come valido strumento per imparare a riconoscere la complessità della realtà e rispettarne la molteplicità.
Ed è proprio ciò che abbiamo tentato di fare in classe chiedendo ai bambini di raccontarci le occasioni di conflitto più comuni. L’attività di brain-storming è stata guidata da noi, aiutandoli a riconoscere forme di violenza e conflitto che di primo acchito non sarebbero stati capaci di percepire in quanto tali: l’ignorare qualcuno o emarginarlo, il non prestare attenzione quando qualcuno parla… È stato interessante vedere la grande ricettività dei bambini e la loro entusiasta partecipazione alla discussione. In certe classi alcuni hanno addirittura iniziato a parlare apertamente di situazioni nelle quali si erano comportati in maniera conflittuale con alcuni loro compagni. Spesso durante il loro racconto guardavano direttamente l’altra persona coinvolta e il tutto avveniva in un clima di grande serenità e rilassatezza e anche chi veniva chiamato in causa in quanto “vittima” non pareva serbare alcun rancore, ma il semplice fatto che se ne parlasse apertamente pareva appianare ogni tensione. Esattamente il contrario di quella che è la nostra quotidianità nell’approcciarci al conflitto! Viviamo infatti in una società più portata allo scontro che al dialogo, maggiormente tesa a “vincere” sull’altro piuttosto che a risolvere il problema, ma che allo stesso tempo tende a stigmatizzare il conflitto, a concepirlo come qualcosa di negativo che, in quanto tale, va evitato e soppresso. Un atteggiamento schizofrenico non privo di gravi conseguenze perché l’allontanamento del conflitto dalle nostre vite ne impedisce ogni forma di elaborazione positiva. Come i bambini a scuola ci hanno mostrato, il conflitto, se opportunamente gestito, può invece essere un’opportunità di scambio costruttivo tra le persone coinvolte.
Dopo questo momento di riflessione collegiale e più generico abbiamo chiesto ai bambini di pensare a una situazione di conflitto vissuta nell’arco dell’anno scolastico in cui loro ritenevano di essersi comportati negativamente con uno o più compagni, dopodiché lo dovevano scrivere su un foglietto che avrebbero poi inserito nella Cutia Magica pentru Reutatile (scatola magica delle cattiverie) la quale avrebbe provveduto a cancellare l’evento. Quando i bambini rientreranno a scuola a settembre potranno così iniziare a relazionarsi con i loro compagni senza il peso della conflittualità dell’anno precedente. Il gesto è altamente simbolico, ma l’abbiamo scelto proprio in quanto si ritiene che la ritualità sia molto utile soprattutto per i bambini, poiché consente loro di elaborare la conflittualità in modo quasi istintivo, obiettivo difficilmente raggiungibile diversamente.
Dopodiché abbiamo proposto una riflessione guidata su come si comportano i bambini per risolvere le situazioni di conflitto in cui sono coinvolti direttamente o riguardano persone a loro vicine, e che cosa fanno per prevenire tali situazioni. Anche in questo caso hanno partecipato attivamente raccontandoci le loro esperienze personali: fanno la pace, chiedono scusa, ascoltano le maestre, aiutano a casa i genitori o gli amici con i compiti, intervengono quando una persona più debole è minacciata da qualcun altro… Abbiamo chiesto loro di concentrarsi soprattutto sulla propria esperienza in classe e di raccontarci ciò che di positivo era avvenuto tra di loro. Nel concludere le attività abbiamo quindi dato ad ognuno un foglio su cui hanno scritto il loro nome, dopodiché il foglio doveva passare di mano in mano a tutti gli alunni e ognuno doveva scrivere qualcosa di positivo a proposito del proprietario del foglio. Questa attività è risultata essere in assoluto la più difficile , perché richiedeva lo sforzo di riconoscere in tutti qualcosa di positivo, anche in chi non è un amico o sta antipatico. Il riconoscimento dell’altro, dell’ “avversario” e la sua valorizzazione richiedono una grande maturità che chiaramente i bambini di 7-8 anni ancora non hanno, ma è un esercizio “centrale” nel processo della risoluzione non violenta dei conflitti, poiché costringe i bambini a cambiare prospettiva, a scardinare alcuni pregiudizi e a far percepire loro la complessità della realtà. Inoltre i bambini sono stati costretti a concentrarsi per un certo periodo sugli altri e non solo esclusivamente su sé stessi. Tali capacità sono, in nucleo, le caratteristiche e gli atteggiamenti richiesti a una persona nella gestione non violenta dei conflitti.
È stato bello vedere l’entusiasmo dei bambini mentre leggevano i loro foglietti, il sorriso sul loro volto, la sorpresa nel scoprire di avere delle qualità di cui non ne erano consapevoli, i ringraziamenti reciproci e l’imbarazzo di chi si era lasciato andare in “dichiarazioni d’amore” che erano presto diventate di pubblico dominio! Certo quest’ultimo gioco ha avuto anche delle ombre, non tutti hanno fatto ciò che era stato loro richiesto o alle volte non sono semplicemente stati in grado di riconoscere in certi loro compagni degli elementi di positività.
Questo non frena certo il nostro entusiasmo e anzi ci ricorda che l’educazione alla gestione non violenta dei conflitti e al rispetto della diversità è un’attività importantissima che richiede tempo e pazienza ed è però fondamentale per formare una società più giusta e solidale.
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