Timisoara è una delle città storiche della Romania e, attualmente, è uno dei poli urbani più importanti del Paese.
Timisoara si trova nella parte più occidentale del Paese, a pochi chilometri dalla Serbia, e per questa sua collocazione di confine tra Europa Occidentale e Europa Orientale, è stata al centro di varie influenze, dall’impero ottomano all’impero austro-ungarico, in un via-vai continuo di persone e di popoli.
Questo crogiolo di culture nelle varie epoche storiche ha reso questa città un polo urbano moderno e un vivace centro culturale nella regione storica del Banato. La fine del periodo comunista ha portato alla rinascita di questa città all’interno del nuovo contesto globale.
La città rappresenta bene le contraddizioni del suo passato e, urbanisticamente, i vari influssi sono visibili nei bei palazzi del centro storico e nella zona residenziale circostante ad esso, straordinariamente mantenutesi durante l’era comunista e oggi man mano ristrutturati per investire sulle proprie potenzialità turistiche. La composizione architettonica del centro storico è molto variegata, dai palazzi in stile Secessionista a quelli in stile Barocco, dall’Art Nouveau del periodo austro-ungarico (per cui è chiamata la “piccola Vienna”) agli agglomerati di cemento edificati sia in centro che in periferia da Ceaucescu, con la loro estetica grigia e squadrata dell’alienazione dell’uomo.
Il passato, a sua volta, affronta un nuovo presente come nel distretto industriale immediatamente fuori la città, in cui si trovano anche le imprese italiane delocalizzate. Enormi aree commerciali spuntano come funghi in molte zone della città, spingendo questa generazione al consumismo.
L’economia gira qua! Lo sviluppo industriale grazie agli investimenti privati dai Paesi Esteri produce stipendi e nuovi consumatori; non da meno sono le rimesse degli emigrati, presenti quasi in ogni famiglia timisoreana, che alimentano i consumi locali.
Ancora resistono gli innumerevoli negozi di alimentari e i mercatini di quartieri, ma i centri commerciali e gli iper-mercati sono diventati centri di aggregazione, spesa e consumo per giovani e intere famiglie. Come tutti i centri commerciali, colori, musica a palla, annunci allettanti e luminosi rintontiscono i passanti, a volte parcheggiati lì per ore. Non puoi non uscire senza aver comprato qualcosa o preso almeno un caffè.
Non è difficile vedere adolescenti ben vestiti attaccati alla vetrina di cellulari, rincorrendo l’ultimo modello, genitori intenti a valutare l’acquisto, a volte un regalo di consolazione, dopo aver trascorso lunghi periodi sacrificanti all’estero.
Ma se l’economia gira, trascinandosi nel suo vortice tanti timisoreani, intanto si lascia indietro una quota di marginalizzati, ai confini di questo quadro luccicante. La povertà è visibile in città nelle mani dei mendicanti, negli occhi degli anziani che a stento arrivano a fine mese, negli sguardi assenti di coloro che sono persi a pensare al loro futuro su un vecchio tramvai maleodorante.
Coloro che sono ai margini possono però essere riciclati nel circuito perverso di una società che affronta un pesante cambiamento, cadendo in situazioni ancor peggiori.
Il modo più conosciuto per far rientrare i più deboli e vulnerabili delle fasce più neglette della società è lo sfruttamento dell’unico bene posseduto: il loro corpo.
E se i centri commerciali sono pieni di rumeni che vivono in città o che vengono dai paeselli del distretto del Timis, attratti da tutti quei beni moderni e tecnologici, dalle firme e dai nuovi prodotti importati; al chiuso di appartamenti o per strada altri consumatori di merce umana passano indisturbati.
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