E’ un sonnolento pomeriggio di calore a Scutari. Sono le 6 e le pietre bianche del centro pedonale riflettono l’afa e il sudore dei passanti, gli studenti all’uscita dall’università chiacchierano e bevono caffè nei tavolini all’aperto, mamme affaccendate girano in bicicletta mentre coppiette sedute sulle panchine ridono mangiando gelato. I mormoni, con la Bibbia in mano, fermano le persone citando passi dell’Apocalisse. Poco lontano l’eco della musica della festa dell’Europa.
Davanti alla moschea due gruppi di giovani camminano, scherzano fra loro e parlano, non si accorgono neanche che stanno per scontrarsi. Una spallata, un insulto, uno spintone, un banale incidente degenera, scatta la rissa, gli amici cercano di trattenere i due litiganti ma è ormai troppo tardi, uno di loro estrae una pistola… è così semplice procurarsela in Albania e così “trendy” portarsela dietro. Tra il rumore del caricatore e lo sparo è questione di un secondo. Un ragazzo cade a terra mentre un bambino si rifugia tra le braccia della mamma, che si allontana velocemente spaventata.
Lo sparo, l’ennesimo nel pieno centro di Scutari, è un segnale, è il momento di dire basta alla violenza, alla morte e alla vendetta di sangue.
E’ la nuova Albania che si ribella: 140 giovani, adolescenti e bambini si concentrano sulla scena del dramma, come mille rivoli convergono richiamati dall’indignazione.
I loro sono gesti inequivocabili, avanti e indietro, rivolti a chi ha appena perso un amico. Il conflitto provoca dolore, porta con sé il rifiuto dell’altro, della sua umanità. Dicono NO con un semplice gesto del dito a violenza futura, sono spinti indietro dalla forza della rabbia e dal desiderio della vendetta ma non si arrendono. In uno slancio di convinzione corrono e sfondano il muro dell’odio.
La riconciliazione è un percorso in salita, tutta la comunità deve parteciparvi, circondando chi deve perdonare il dolore che ha ricevuto e chi deve perdonare se stesso per il dolore che ha fatto. Il cerchio si stringe e sostiene la scelta della pace e nel gesto di due mani che si stringono e due corpi che si abbracciano nella più umana delle espressioni il cerchio si volta, verso l’esterno per mandare un messaggio a tutto il mondo.
Ora è la società intera, senza gjakmarrja [1], che si muove, il sorriso è l’espressione di ogni volto mentre abbracci e batti cinque si moltiplicano, ora tutti salutano l’Albania nuova mentre uno striscione si srotola, coloratissimo: “Gjaku i te pafajshmeve te therret edhe ty” [2].
Tranquillo caro lettore non è cronaca ordinaria, ma cronaca ordinaria di una rivoluzione.
E’ il primo flashmob d’Albania.
[1] Vendetta di sangue
[2] Il sangue degli innocenti chiama anche te
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