Il ventilatore al massimo smuove l’aria calda e umida della mia stanza. Seduto sul letto e circondato dalla mia zanzariera mi sento quasi protetto, come se questa tendina bucherellata fosse una magica barriera, uno scudo a prova di bomba. Ogni sera, prima di addormentarmi mi ritrovo qui a pensare alla giornata appena trascorsa, alle persone incontrate e al paese nel quale vivo che, con la sua vitalità e la sua forza mi ha rapito il cuore. Il Brasile è il contrasto, è la potenza della natura, è la nostalgia e la semplicità…
Maggio 2011. Ogni mattina, quando mi sveglio, guardo fuori dalla finestra il sole che fa capolino tra le nuvole, spruzzandole di rosa. Anche il cielo sembra diverso: a volte quasi pensi di poterlo toccare. La poesia purtroppo finisce qui perchè quando usciamo col pulmino per andare alla comunità terapeutica nella quale presto servizio come Casco Bianco, la realtà sotto i miei occhi mi sveglia: per le strade piene di buche profonde, che schiviamo zigzagando rischiando di “lasciare” la colazione sul cruscotto, vedo case senza porte né fondamenta, bambini scalzi che giocano con un pallone bucherellato e auto arrugginite abbandonate sul ciglio della strada da chissà quanto.
Vedo chioschi che vendono frutta, chioschi che vendono carne, vedo una strada in terra battuta, rossa come il sangue, che quando si riempie di pioggia si trasforma in un’unica enorme pozzanghera.
Vedo la violenza, la povertà strutturale e vedo sorrisi sinceri come non ne ho mai visti, nonostante tutto. Arrivo alla comunità terapeutica, un paradiso immerso nella natura, alle porte dell’Amazzonia. Saluto tutti con un abbraccio, ognuno di loro. Sono giovanissimi, alcuni molto più di me.
L’abbraccio è importante perchè potrebbe essere l’ultimo: questa struttura accoglie la prima fase del percorso di disintossicazione e una volta a settimana qualcuno se ne va, non regge, torna in strada, dalla droga. Qui la si trova ovunque; costa poco e serve per fuggire dalla sofferenza, dalla fame, dalla miseria.
Dopo i saluti, iniziamo a lavorare insieme in varie attività: orto, legna, cura degli animali. Durante la mattinata, tra una pausa e l’altra, ascolto le loro storie, le loro confidenze. Mi chiedono dell’Italia, sono curiosi, vogliono sapere perchè sono li con loro.
Dopo il pranzo e il riposo pomeridiano, rigorosamente sull’amaca sotto al pergolato, suona la campana: è il momento della Rota, la ruota. In cerchio i ragazzi si confrontano: analizzano i loro progressi, le loro criticità. Raccontano la loro vita e io sto li con loro. Ascolto. A volte è cosi intenso che ho bisogno di estraniarmi per 10 minuti. Mi sento come una spugna. Assorbo le loro storie e ogni tanto sento che posso intervenire anche io. Porto la mia esperienza, mi viene spontaneo, stiamo condividendo tanto e non ho voglia di pormi stupidi limiti.
Quando torno a casa, il cielo sembra comprendere il mio stato d’animo: diventa rosso, poi arancione, infine torna rosa. Il sole è pieno ma stanco, vivo e un po’ nostalgico, ma ancora gioioso.
E’ incredibile come va sempre a finire, che penso ogni volta la stessa cosa: non potrei essere in nessun altro posto al mondo oggi.
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