• Foto di Elisa Grattarola, Cb Apg 23 2010.

Caschi Bianchi Cile

Diritto all’educazione: diritto di chi?

Scuola ed educazione in Cile: quale speranza per chi è nato in un quartiere di narcotraffico e non può frequentare scuole provate? “Saranno tutti delinquenti” rispondono i professori. I ragazzi invece sognano ancora…

Scritto da Elisa Grattarola, Casco Bianco Apg23 a Santiago del Cile

In Cile esistono tre tipi di scuole:  pubbliche, private e “sovvenzionate”, cioè pubbliche ma gestite da privati. Nel 2007 è stata avanzata una proposta di legge che cerca di mantenere un equilibrio tra libertà educaticava e diritto di accesso  all’istruzione di tutti i cittadini. Il punto più importante riguarda proprio la possibilità degli studenti di accedere senza discriminazioni all’istruzione scolastica.

Ciò che caratterizza maggiormente il sistema cileno è infatti l’importante presenza dei privati nella proprietà e nella gestione degli istituti scolastici. Il problema nasce perchè molti non possono permettersi la scuola privata o per carenze del sistema pubblico?

Insieme a due compagni Caschi Bianchi, svolgo un laboratorio di promozione dei diritti e di sensibilizzazione rispetto al tema della disabilità con adolescenti di un istituto pubblico di Santiago. Ci troviamo in uno dei posti più poveri della città, la comuna di Pedro Aguirre Cerda, dove dilagano droga e violenza. Camminando nei dintorni della scuola, non si incontrano molte persone, cosa strana visto che Santiago ”prende vita” tutti i giorni alle 6 di mattina. La spiegazione datami dall’assistente sociale del quartiere non mi lascia totalmente stupita: il lavoro più svolto in questo quartiere è quello del trafficante di droga, e si svolge ad ore più tarde.

Le case sono piccole e più di 15 persone vivono in spazi ristrettissimi. Accanto all’edificio scolastico si snoda una linea ferroviaria; ai bordi solo spazzatura e  poche persone che  camminano a testa bassa lungo le rotaie cercando qualcosa per sopravvivere; volti preoccupati e sguardi tristi, che neppure il passaggio del treno riesce a sollevare.

Sono davanti ai cancelli della scuola, non si vedono genitori, solo qualche ragazzino che svogliatamente si dirige all’interno dell’edificio. Una porta chiusa separa la scuola da quel quartiere ancora addormentato, ma cosa ci aspetterà dentro? Il suono della campanella delle 8 interrompe i miei pensieri.

I miei occhi occidentali non sono abituati a tutto questo. L’istituto è lo specchio di quello che si può osservare all’esterno. Pochi bambini e ragazzini vagano per il patio indecisi su cosa fare, alcuni giocano a calcio con un pallone sgonfio, altri a calcetto con le pietre al posto delle palline. Professori nei dintorni non se ne vedono; un ispettore scolastico con sguardo assente vigila sugli alunni e con sguardo molto presente osserva  le ragazzine in uniforme.

Finalmente intorno alle 8.20 i professori si dirigono nelle aule, per poi uscire nuovamente, alla ricerca di qualche alunno “disperso” per la scuola, o per allontanare dalla classe qualche ragazza con la gonna dell’uniforme troppo corta secondo le regole scolastiche.

Approfitto del tempo libero tra un corso e l’altro per scambiare qualche parola con professori, professionisti vari e alunni. Mi raccontano che i corsi, per richiesta dello Stato, devono avere una media di 40 alunni; di questi alunni, 4 o 5 hanno una disabilità e non ottengono appoggi educativi esterni. Gli alunni non frequentano la scuola con regolarità, spesso in conseguenza della vita disordinata dei loro genitori. A volte capita che interrompano gli studi perchè sarebbe troppo complicato per loro frequentare i corsi portando avanti una gravidanza. Sì, qui in Cile il 30% delle adolescenti tra i 13-17 anni abbandona gli studi per gravidanza.

“Indisciplinati” è l’aggettivo che più frequentemente si sente parlando di questi ragazzi, portatori di diritti  spesso violati, perchè hanno avuto la sfortuna di nascere in questo quartiere, di avere genitori che vivono ai margini della società e che non possono permettersi  di pagare una scuola privata per i propri figli.

Cosa pensano questi adolescenti del loro futuro? Alcuni di loro vorrebbero essere contabili, alcuni professori, altri giocatori di calcio professionisti, altri medici. Difficile da immaginare  questo futuro per loro, se le persone che li circondano quotidianamente e che si occupano della loro educazione non credono nelle loro potenzialità. Alla domanda che ne sarà di loro tra qualche anno, la risposta che mi viene data mi congela: “tutti delinquenti”. Una domanda mi pongo, dopo aver passato un po’ di tempo con loro, dopo tanto discutere  delle abilità delle persone e della discriminazione; qualcuno di loro sarà capace di uscire da quel contesto “malato” che lo circonda? E soprattutto sarà possibile un giorno cambiare il sistema scolastico per poter garantire a tutti lo stesso diritto all’educazione?

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