L’8 ottobre, Dritan Prroi, 34 anni due figli e una moglie, è stato ucciso a Shkoder, Scutari, Albania. Ci sono molti modi di morire a questo mondo, qui in Albania ne esiste qualcuno in più.
Dritan è stato ucciso per vendetta di sangue, in albanese gjakmarrjes. La vendetta di sangue fa parte di un codice antico, il Kanun, risalente all’epoca dell’invasione turca nel XIV secolo. Questo codice consuetudinario regolava e regola la vita e la morte degli abitanti di queste zone. Con il passare del tempo ha subito modificazioni e censure, ma nonostante tutto oggi, nel 2010, molti albanesi del nord vivono ancora seguendo i suoi dettami, molti rimangono auto-reclusi in casa per non rischiare la vita a causa di queste leggi e molti altri vengono uccisi, sempre in nome del Kanun. Secondo il Kanun il sangue si lava con il sangue. Se uccidi una persona, per la famiglia della vittima ci sono solo due modi per recuperare l’onore che l’omicidio gli ha tolto: la vendetta tramite uccisione di un maschio della famiglia rivale, o il perdono tramite riconciliazione. Purtroppo la seconda via è sempre più rara, nonostante anche questa strada sia presente nel codice e considerata degna di uomini saggi e onorevoli. Le famiglie che corrono il rischio di essere vendicate o che dovrebbero vendicarsi sono molte di più di quelle che il governo riconosce, come nel caso di Dritan. Il suo non è un “semplice” omicidio, certo se così fosse sarebbe molto più comodo per le istituzioni e per il paese in vista della possibilità di entrare in Europa. Ma questo è un altro discorso.
Dritan era un pastore della chiesa evangelica di Shkoder, anche lui faceva parte di una famiglia implicata in una faida famigliare di sangue. Suo zio anni fa aveva ammazzato un uomo, e per questo ora i membri maschi della famiglia di Dritan (famiglia allargata a cugini, zii fino anche al secondo terzo grado) vivevano reclusi in casa, unico luogo sacro che nessuno può violare, per evitare la vendetta.
Solo Dritan aveva deciso che questa non era la vita che voleva fare, rimanere chiuso per lui non era il modo giusto per cambiare le cose. Per questo girava per la città per svolgere il suo lavoro di pastore evangelico e per andare a trovare altre famiglie in vendetta, chiuse, per cercare di smuovere le coscienze all’interno di questi meccanismi della legge del taglione. Con alcuni avvocati, prima di morire, stava lavorando a una proposta di legge da presentare al governo albanese in merito al problema.
Mark Njemza ha 21 anni, quando ne aveva 15 lo zio di Dritan ha ucciso suo padre. Per sei anni Mark è cresciuto con l’odio dentro, in un ambiente che spingeva alla vendetta e che animava il rancore. Quando la mattina dell’8 ottobre stava seduto in un bar del centro e ha visto per la strada Dritan Prroi, libero, che “sfidava” il suo onore violando la norma per cui, per rispetto alla famiglia della vittima, la famiglia dell’assassino deve rimanere chiusa in casa, ha deciso che l’attesa era finita. Ha rincorso Dritan per la strada e quando questo si è rifugiato in un bar e ha chiesto pietà, gli ha sparato.
Ora la faida continua, ora i ruoli sono invertiti, adesso toccherebbe alla famiglia di Dritan vendicarsi. Lui ha sempre chiesto che non venga versato altro sangue. Speriamo che gli si dia ascolto.
Certo è che questo ennesimo episodio (perché non è il solo, anzi negli ultimi mesi tali casi sono in aumento), ha dimostrato che la vendetta non solo è presente ancora oggi, ma che non rappresenta soluzione al conflitto tra le famiglie. Come il governo che fa molta fatica a riconoscere l’esistenza del fenomeno, anche la popolazione fa fatica ad alzare la testa di fronte alla realtà delle cose. Poche sono le eccezioni.
Una è rappresentata dalla chiesa evangelica di cui faceva parte Dritan, che in suo onore e per lanciare un messaggio forte al governo e alla popolazione albanese, per dire: Sì oggi 2010, il Kanun uccide ancora, ha organizzato sabato 23 ottobre a Tirana una manifestazione, a cui ho partecipato. Il grido davanti agli uffici di governo è stato JO GJAKMARRIES PO JETËS: no alla vendetta di sangue si alla vita! La via è lunga ma da qualche parte bisogna appoggiare il primo passo.
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