Dall’altra parte dell’Adriatico c’è un paese che non possiamo dire di conoscere. Certo il fenomeno dell’immigrazione ha riempito le nostre televisioni per un po’ di tempo, ma del puzzle ci hanno restituito un solo tassello, e forse nemmeno tanto chiaro. Sono appena 90 i km che separano l’Albania dalla costa italiana ma a dividerci dal popolo albanese non è il mare, bensì gli schemi mentali, le culture diverse, pregiudizi, valori diversi, modi di vivere e di pensare che nemmeno ci immaginiamo, anzi diciamolo pure, non ci interessa conoscere. Ma soprattutto è l’ignoranza, da entrambi le parti.
Forse l’Albania è troppo vicina per essere interessante, attira molto di più l’esotico, il paese che sta dall’altra parte del globo, il paese dove le differenze saltano agli occhi, dove non occorre fare nessun sforzo per accorgersi della distanza culturale. Lo so perché anche io lo pensavo prima di partire un anno fa. L’Albania è troppo vicino al nostro naso per accorgerci che esiste. Ma non è così, nonostante quello che si crede, anzi che non si sa, le distanze tra la nostra cultura e il nostro modo di vivere e l’Albania supera di gran lunga i 90 km, in particolare al nord, nella zona di Shkoder e delle montagne spesso ho l’impressione di entrare in un altro mondo. Scutari, Albania. Vita in montagna.
Per questo per il video ho pensato al titolo Tanto vicino quanto lontano, penso che spieghi molto. Mi è stato suggerito da Lugj Mila, responsabile del centro DREJTESI DHE PAQE (giustizia e pace) di Shkoder, città a nord dell’Albania, un pomeriggio in cui sono andata nel suo ufficio per proporgli un’intervista.
Il video è nato per introdurre al progetto che riguarda il Kanun e le vendette di sangue, che dal 2005 Simone Mori membro della Comunità Papa Giovanni xxiii, responsabile della casa famiglia S. Raffaele di Shkoder, porta avanti con l’aiuto dei volontari e di noi caschi bianchi. Da marzo di quest’anno anche l’Operazione Colomba, corpo civile di pace dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, ha aperto una sua presenza a Shkoder, per collaborare al progetto sul Kanun.
L’intento di questi 15 minuti è quello di denunciare questa mancanza di informazione ma soprattutto di interesse rispetto al paese, di dare un’idea molto generale della situazione sociale del paese oggi attraverso le esperienze e gli occhi della donna, prima vittima di quei meccanismi sociali ancora legati agli aspetti culturali e tradizionali più antichi. Per poi entrare nello specifico, spiegando le basi storiche del Kanun e delle vendette di sangue, di cosa si tratta e di come è inserito e praticato oggi nella società albanese.
Tutto questo dando la parola ai protagonisti: due donne albanesi, il responsabile di un’associazione di Shkoder, Simone il responsabile del progetto, un casco bianco e una volontaria dell’Operazione Colomba.
Kanun di Lek Dukagjini
Il Kanun di Lek Dukagjini è il più importante codice consuetudinario albanese tra i numerosi kanun creatisi nelle zone montane dell’Albania nel corso dei secoli. Nato nel XV secolo su iniziativa del principe Lekë Dukagjini e trasmessosi oralmente è stato riportato in forma scritta nei primi decenni del XX secolo dal padre francescano Shtjefën Kostantin Gjeçov e pubblicato postumo nel 1933. Recepito dalla legislazione del Regno d’Albania nel 1928 cadde in disuso durante il regime comunista di Enver Hoxha che tuttavia non riuscì ad eliminarlo definitivamente. Attualmente non più in vigore se ne riscontra tuttavia l’influenza nelle zone settentrionali del paese, e con il crollo del comunismo si è assistito ad una recrudescenza delle vendette codificate dal kanun.
È un insieme di norme tramandate che sono state raccolte in un codice di leggi scritte che erano l’unica fonte del diritto per regolamentare una società che non aveva altre leggi. Il riconoscimento della patria potestatis, la tutela della proprietà privata, la successione e la promessa come patto da rispettare al costo di perdere l’onore o la capacità giuridica, sono concetti che derivano dal diritto romano.
Il Kanun non concepisce la schiavitù come stato sociale dell’individuo, che deve reagire a qualsiasi tentativo di sottomissione o di attentato alla propria vita. Il codice fu adottato come propria legge dagli Arbëreshë, che con tali leggi trovavano nel contempo legittimazione e consenso alla ribellione contro gli occupanti l’Albania.
Successivamente, le emigrazioni degli albanesi portarono tale codice anche in Italia, soprattutto in regioni come la Puglia, la Calabria, la Basilicata e la Sicilia, in cui intanto stavano prendendo piede i movimenti di rivolta contro le baronie che affamavano la popolazione, fornendo un’etica ai fenomeni della brigantaggio e poi della mafia.Ormai negli ultimi anni si può vedere che gli omicidi legati al Kanun sono in notevole diminuizione.
Attorno alle “leggi” del Kanun si muove il romanzo di Hismail Kadarè Aprile spezzato, edito in Italia da Longanesi.
Regolando da secoli la vita nelle zone montuose a nord del paese il codice si occupa sia di diritto civile che penale disciplinando numerosi aspetti tra cui: i diritti e le immunità della Chiesa, la famiglia, il fidanzamento e il matrimonio, la proprietà privata e la successione, il lavoro, i prestiti e le donazioni, il giuramento e la besa, l’onore, il risarcimento dei danni, i delitti infamanti, la vendetta, il codice giudiziario degli anziani, i privilegi e le esenzioni.
La Famiglia
Il sistema familiare codificato dal Kanun è di tipo patriarcale e si basa sul clan: una famiglia allargata con a capo il maschio più anziano.I matrimoni sono lo strumento per stabilire alleanze tra famiglie, e quindi combinati all’insaputa degli interessati.
La Besa
La besa (la parola data), codificata nel Kanun, è un concetto molto importante nella cultura albanese. Il venire meno alla parola data è punibile in base al kanun. È per mezzo della besa che si regolano i periodi di tregua tra clan rivali e l’ospitalità.
La vendetta
Viene regolato dal Kanun anche il sistema delle vendette di sangue, consuetudine antichissima di origine illirica. Viene fissato in maniera rigorosa il diritto di vendicare l’uccisione del proprio familiare, colpendo fino al terzo grado i parenti maschi dell’assassino. Adempiere alla vendetta è considerato un obbligo, pena il disprezzo da parte della collettività. Il perdono da parte dei parenti offesi è previsto e regolato da uno specifico rituale.
Per altre informazioni: bajraktar wordpress
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