La prima volta che andai alla comunità di Bilsa era da poco arrivato il 2010.
Ci arrivammo, come sempre, e solo accade qui, in lancia. Partenza dal molo, ma al primo bivio lasciamo il fiume Muisne per imboccarne uno più piccolo con curve strette; Rodrigo, il responsabile di turismo improvvisato motorista, conduce con sicurezza; le camaroneras [1] ci accompagnano sia a destra che a sinistra. Dopo un ampio curvone sulla sinistra, Rodrigo mette il motore al minimo e compie un curva strettissima a destra per imboccare un minuscolo canale avvolto da mangrovie, tanto che dobbiamo abbassare la testa per poter passare. Dopo poche decine di metri, passando tra rami, fango e granchi, arriviamo ad una passerella sul canale. Lì attacchiamo un tabellone che recita “Comunità di Bilsa, Turismo Comunitario, con l’appoggio di Fundecol”; giriamo la lancia e ce ne andiamo. Case, capanne, persone, coltivazioni, animali domestici avvistati pari a zero! L’unico segno di vita era quella passerella.
Dopo un settimana ci torniamo, passiamo la passerella, arriviamo a due minuscole camaroneras abbandonate ed a una capanna, costruita grazie ai finanziamenti del progetto di turismo comunitario con lo scopo di creare un centro di interpretazione e servire il pranzo ai gruppi di turisti. La presenza umana non è ancora pervenuta. I colleghi mi dicono che stanno seminando il mais, li andiamo a cercare: dopo 5 minuti a piedi troviamo la prima capanna, dai lì a 15 minuti la seconda, collocata su di una collina, e dall’alto possiamo vedere disperse nella valle altre tre o quattro case. Questa è la comunità di Bilsa! Altri 10 minuti a piedi e raggiungiamo la casa con relativo orto dove tutti insieme stanno seminando per aiutare il vicino.
Stanno seminando un declivio con una pendenza del 6-7%. Prima quello era un bosco, ora hanno tagliato piante e arbusti e dato fuoco per pulire l’area.
Quando arriviamo gli abitanti di Bilsa sono in fondo alla valle che con un palo appuntito fanno dei buchi nel terreno per gettarci all’interno i semi. Ci avviciniamo per salutarli e collaborare. Nel tragitto passiamo tra legni bruciacchiati, cenere, plastica bruciata, vetro, pile e lattine di allumino.
Più che da una comunità Bilsa è formata da poche capanne sparse, senza corrente elettrica ed acqua potabile; l’unica via di accesso è il fiume salato, che durante la bassa marea si ritira prosciugando il canale d’accesso, costringendo così le persone ad un giro ben più largo per entrare ed uscire dalla comunità.
In tutto questo quello che mi ha più scioccato però è la quantità impressionate di spazzatura che circonda le case e si trova lungo i vari sentieri.
Un sistema di smaltimento dei rifiuti non esiste nemmeno a Muisne, che è capoluogo di provincia, il camion passa ad orari e giorni imprecisi a raccoglie la spazzatura messa fuori frettolosamente al suono del clacson. Dopodiché il destino della spazzatura è segnato: una bella discarica a cielo aperto in una vallata con canale al fondo, ogni tanto si accende un allegro falò e tutto va bene!
Pensate, però, andare a raccogliere la spazzatura in una zona di cambio tra l’ecosistema delle mangrovie e il bosco umido tropicale, dove non ci sono strade per entrare ma solo stretti sentieri fangosi. La futura spazzatura entra a Bilsa sotto forma di involucri per il cibo, attrezzi, detersivi, borse di plastica e ne uscirà solo dopo molto tempo, scomposta in semplici elementi chimici.
Artemidoro è il presidente dell’associazione “Real Fortuna” che riunisce le poche famiglie che vivono in questa zona. Un giorno gli chiedo come fanno o pensano di fare con il problema della spazzatura. Mi risponde: “Non ne abbiamo molta, solo un po’ di plastica e allumino.” Mi verrebbe da replicare, “ma Artemidoro se attorno a casa tua è un cimitero di carte, cartine, cartacce, bottiglie di Coca-cola arancioni, inspiegabili scatolette di tonno”, visto che quello fresco costa meno della metà … Non gli parlo di questo mio ultimo pensiero, ma mi fermo un attimo a pensare, a come vivono, agli enormi contrasti che stanno passando queste generazioni: hanno il cellulare, ma non la corrente in casa per caricarlo; hanno vestiti marcati Billabong e Americanino (saranno pure falsi cinesi, ma intanto la marca arriva) che però lavano nel fiume; vanno a Esmeraldas o a Quito e vedono auto di lusso e fuori strada da 60.000$ quando l’unico modo per arrivare a casa loro sono i piedi o al massimo le mule, e in qualsiasi caso si sporcano di fango.
Il passaggio è stato troppo violento e improvviso che non si può definire assimilato, bensì imposto e considerato dato di fatto. I miei bisnonni e nonni quando vivevano nelle stesse condizioni si facevano il sapone in casa e utilizzavano l’erba parietaria per pulire i vetri e quando entravano nei piccoli negozietti di paese trovavano prodotti caserecci o locali. Non erano sommersi, come capita qui, da Nestlè, Coca-Cola e compagnia bella credendo addirittura che siano marche ecuadoriane, tanto sono diffuse.
Per esempio i “bilsiani” sono convinti di coltivare in maniera agro-ecologica, che di per sé è vero, semi e piante locali e senza l’utilizzo di prodotti artificiali per migliorare o aumentare la produzione. Il problema di fondo è che il suolo è già contaminato a priori visto tutta la spazzatura che gli hanno gettato e bruciato sopra e questo pensiero non li sfiora minimamente!
Convivono con la spazzatura in perfetta armonia come prima convivevano con la natura.
La soluzione al problema è ben ardua, oltre che ai corsi di formazione e alle tante spiegazioni che a volte possono sembrare astratte, credo che la cosa più semplice da fare sia che l’associazione nella quale mi trovo a lavorare, essendo di difesa ambientale, si impegni a ritirare settimanalmente la spazzatura di questa e altre comunità. Il risultato nell’immediato non cambierebbe molto visto che i rifiuti finirebbero nella discarica a cielo aperto, ma pensando in un’ottica futura e quindi in uno smaltimento dei rifiuti muisneñi si creerebbe una sana abitudine.
Per anni nel mio paese in Italia abbiamo fatto la raccolta differenziata, per poi scoprire che solo recentemente sono stati costruiti gli impianti adatti allo smaltimento: prima finiva tutto nello stesso inceneritore!
Bilsa ha una storia comune perché dispersi nel bosco umido a 4 ore di mula dalla prima comunità, a 20 minuti in moto dalla prima strada asfaltata, a un’ora da Muisne, la situazione non è di certo migliore!
Note:
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