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Caschi Bianchi Cile

Informazione taciuta sui Mapuche

Arrivano continui aggiornamenti sulle condizioni dei minatori vivi nel sottosuolo cileno, ma viene oculatamente taciuta la vicenda di altri uomini che stanno lentamente morendo, in lotta per i loro diritti di popoli originari. Nelle strade di Santiago si manifesta contro l’arbitraria applicazione di leggi antiterroriste. Aggiornamenti su una situazione taciuta dai media e dal governo cileno.

Scritto da Irene Antonietti, coordinatrice Caschi Bianchi per il servizio Giustizia e Pace di Apg23 a Santiago del Cile

Alcune settimane fa il Cile intero si è commosso di fronte alla storia dei 33 minatori trovati vivi a 700 metri di profondità nelle viscere della terra, dopo il crollo della miniera nella quale stavano lavorando. Ancora una volta ho visto e sentito un paese intero stringersi, farsi forza e commuoversi, per la storia di uomini abituati a lavorare nell’oscurità e, troppo spesso, in assenza di norme di sicurezza minime.

Della reale e profonda commozione di quei giorni resta oggi solo una pallida traccia. Tutto lentamente si è trasformato in una sorta di “grande fratello” ambientato nelle profondità terrestri. Le telecamere mostrano quotidianamente cosa mangiano i minatori, cosa bevono, cosa leggono, che medicine usano, cosa dicono alle famiglie che sono fuori ad aspettarli. Si sciacallano emozioni, rovistando nelle loro vite e in quelle delle mogli, delle madri e dei figli alla ricerca di pettegolezzi da prima pagina.

A questo continuo e costante brulichio di informazioni che tiene occupata la popolazione fa eco un impressionante silenzio rispetto ad altri 32 uomini cileni, 2 dei quali minorenni, anche loro imprigionati, che lentamente stanno morendo.

Fino a qualche giorno fa non c’era infatti traccia nelle televisioni e tanto meno nei giornali dei 32 prigionieri politici mapuche in sciopero delle fame da 50 giorni, per chiedere che non venga più applicata la legge antiterrorista, elaborata durante la dittatura di Pinochet [1], che continua a essere utilizzata nei processi a membri del popolo mapuche.

Un silenzio che il 24 Agosto l’ordine dei giornalisti cileni ha rotto attraverso un comunicato stampa, in cui dichiara preoccupante la mancanza di copertura informativa rispetto alla situazione dei prigionieri mapuche in sciopero della fame.  In questa occasione il presidente dell’ordine dei giornalisti Roberto Miranda[2] ha dichiarato che “sebbene i giornalisti possano influire ed esprimere suggerimenti rispetto alle tematiche dei notiziari, tuttavia non sono incaricati di programmare le notizie da offrire alla popolazione, compito che ricade nelle mani di chi controlla i mezzi di comunicazione.”

Una dichiarazione forte che lascia intuire una possibile pressione politica alle radici di questo silenzio mediatico. Ipotesi plausibile se si pensa da un lato che gran parte dei proprietari dei mezzi di comunicazione sono personalità vicine al governo di Piñera, e dall’altro che il presidente non ha alcun interesse ad affrontare, a una settimana dai festeggiamenti del bicentenario dell’indipendenza una situazione complessa come quella che viene portata a galla dallo sciopero dei prigionieri politici, soprattutto dopo una vicenda come quella dei minatori, che ha portato consensi al governo.

Nei giorni successivi alla dichiarazione dei giornalisti la società civile ha reagito promuovendo una manifestazione in appoggio agli scioperanti che ha portato circa 3000 persone nelle strade di Santiago, chiedendo a gran voce che si ponga fine all’indifferenza, al silenzio e alla discriminazione della quale la legge antiterrorista è un esempio lampante.

La legge antiterrorista viene applicata per atti definibili come terroristici, il che significa, secondo la definizione delle Nazioni Unite, per atti che dovrebbero essere di una gravità tale da essere considerati come crimini di guerra in tempo di pace[3]. Le legge cilena considera crimini terroristici i seguenti eventi: l’omicidio, la mutilazione, il sequestro, l’invio di materiale esplosivo, l’incendio, l’appropriarsi con la forza di navi, treni, autobus o altri mezzi di trasporto pubblico in servizio, attentare contro la vita o l’integrità fisica del capo dello stato o di altre autorità politiche, militari o religiose o di persone internazionalmente protette, collocare, lanciare, innescare bombe o artefatti esplosivi e incendiari che possono provocare danni, e associarsi illecitamente per commettere uno dei delitti sopraelencati[4].

Una definizione che ha richiamato l’attenzione del Comitato dei Diritti umani delle Nazioni Unite nel 2007[5] (e di altri organismi internazionali come Right Watch, Amnesty Internacional), poiché essendo estremamente vaga e ampia, rende possibile che situazioni di protesta o lotta sociale, come quelle portate avanti dai Mapuche in Araucania, siano giudicate come atti di terrorismo, e di conseguenza terroristi coloro che le compiono. Il direttore del centro di Diritti Umani dell’Università Diego Portales di Santiago del Cile, avvocato Jorge Conteste afferma che, laddove le rivendicazioni mapuche hanno raggiunto intensità tali da generare situazioni definibili come atti delittuosi (per esempio l’incendio di terreni o attacchi a latifondi), questi atti possono essere giudicati attraverso la legislazione penale cilena, ma non possono essere considerati atti terroristici, alla stessa stregua quindi dell’attacco alle torri gemelle o dell’esplosione delle bombe nei treni spagnoli.

Nella realtà dei fatti però la legge antiterrorista continua a essere usata. Conseguenza principale dell’utilizzo di questa legge è l’applicazione del codice di giustizia miliare nei processi: l’imputato che ricade nei casi di “terrorismo” viene di fatto condannato a pene molto più severe rispetto a quelle previste per gli stessi tipi di imputazione dal codice penale. Un esempio: l’incendio di un terreno viene punito dal codice civile con 5 anni di reclusione, e con 90 anni dal codice marziale!

La legge antiterrorista genera di fatto una condizione di “eccezionalità” che altera il regolare svolgimento dei processi: ha permesso quindi di mantenere il segreto sulle investigazioni per tempi straordinariamente lunghi, o di utilizzare testimoni a volto coperto in funzione di una straordinaria protezione degli stessi. La legge inoltre rende estremamente difficile le applicazioni di misure cautelari differenti dalla prigione preventiva e pertanto gli imputati processati secondo la legge antiterrorista vengono privati della libertà per tempi straordinariamente lunghi. Emblematico il procedimento giuridico a carico della documentarista Elena Vareña, la quale, dopo un processo protrattosi per due anni grazie all’applicazione della legge anti terrorista, il sequestro del materiale audiovisivo prodotto, l’incarcerazione, è stata assolta dal tribunale di Villarica. Tra i Mapuche attulamente in sciopero solo due sono stati condannati, gli altri sono tutti in prigione preventiva.
Sostanzialmente da 20 anni, come ha dichiarato in un comunicato stampa  il collegio degli antropologi del Cile “i Mapuche oltre a essere privati delle possibilità di vivere la propria cultura e le proprie tradizioni, sono privati dei diritti basilari per poter difendere la propria dignità. La legislazione particolare che si applica in casi di eventi di resistenza o lotta nega sistematicamente quello che su un altro fronte si continua ad affermare, ossia l’uguaglianza di fronte al resto della cittadinanza. Di fatto i Mapuche vengono trattati come nemici di guerra.”

Ad oggi, 10 Settembre 2010, nulla di nuovo… I giornali continuano a parlare di altro, Piñera dichiara che la legge antiterrorista verrà modificata dal Congresso (senza chiarire tempi, intenzioni, senza una parola rivolta a chi sta scioperando), e i Mapuche continuano in una protesta coraggiosa e estrema che è urlo in questi giorni di silenzio.

Note:

[1] Usata per la prima volta nel conflitto con i popoli indigeni del sud, durante il governo di transizione di Alwyn (1990-1994).
[2] Periodista della sezione Cultura del quotidiano a tiratura nazionale “la Tercera”.
[3] Nel lungo dibattito interno alle Nazioni Unite rispetto alla definizione di terrorismo degli anni ’90, il funzionario delle Nazioni Unite A.P Schmid propose di basare la definizione di terrorismo sul concetto di crimine di guerra, estendendola a epoche di pace.
[4] Definizione contenuta nella Legge antiterrorista numero 18. 314 del 16 del maggio 1984
[5] Dichiarazioni contenute nelle raccomandazioni del Comitato dei Diritti Umani nel 2007. Tra le raccomandazioni si legge: “modificare la legge antiterrorista che a causa di una definizione ampia di terrorismo ha permesso l’applicazione abusiva della legge stessa in azioni di protesta sociale del popolo mapuche”. Per maggiori informazioni: http://www.politicaspublicas.net/panel/estandares/cidh/cat_view/141-expediente-chile-informes-organos-ddhh.html

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