Benin Caschi Bianchi
Cotonou – Kandi: due mondi a confronto.
Il viaggio per raggiungere Kandi, sede del serviziocivile, diventa l’occasione per raccontare e riflettere sulla città e sulla gente.
Scritto da Francesca Giubilo
Città/villaggio, verde/marrone, umidità/siccità, ricchezza/povertà… si potrebbe andare avanti all’infinito ad elencare le differenze e i contrasti che ci sono tra queste due città.
Siamo sempre in Benin, eppure sembra esista una linea immaginaria a metà del paese, all’altezza di Parakou, che divide nettamente il Benin in Nord e Sud, due entità a sé stanti.
La prima volta che sono atterrrata a Cotonou, capitale economica del Benin, mi mancava l’aria.
Scesa dall’aereo sono stata letteralmente assalita da una ventata di umidità e di caldo, un momento infernale, che in realtà ho scoperto essere solo l’apice di quel grande caldo, chaleur, che avrei vissuto spesso nel profondo Nord del Paese.
Cotonou a prima vista tutto sembra tranne una città.
Contrariamente alle altre capitali africane che ho visitato, ho percepito fin da subito la sensazione di trovarmi in un posto sicuro. Niente palazzoni, strade piccole, edifici ammassati, autobus; ma semplicemente tanti quartieri che rispecchiano le realtà di piccoli villaggi. Donne che vendono cibo per strada, uomini che passeggiano carichi di qualsiasi tipo di suppellettile o oggetto più svariato, zemidjian (moto-taxi) ovunque. Mai però come questa volta ho avuto modo di rettificare così rapidamente le mie prime impressioni. Cotonou, infatti, non è una città alla stregua di altre capitali africane, ma è sicuramente una città comparata a Kandi e al resto del Paese.
Per arrivare a Kandi, nel nord del Paese, c’è una sola possibilità: percorrere con l’autobus l’unica strada asfaltata che arriva fino al Niger. Si parla di un viaggio di circa 10 ore, in cui si viene letteralmente tartassati di soap opera stile africano e congelati dall’aria condizionata. A volte mi domando come sia possibile che gli africani, abituati ad alte temperature e quindi così sofferenti al freddo, possano poi ibernarsi volontariamente nei locali climatizzati! Questo però rientra nelle mille contraddizioni che caratterizzano questo Paese, che non riuscirò a comprendere in un anno.Sfrecciando con il “car” lunga la strada, il cambiamento paesaggistico è evidente e immediato. Il verde, il clima umido, le palme, il mare, lasciano ben presto spazio alla savana, all’aridità e ad una temperatura più secca e rarefatta. Questa è Kandi.
Tutto è diverso: dalle coltivazioni, fino ad arrivare alla popolazione e alla qualità della vita. Il Nord è la terra dei manghi, del miglio, del karité, del cotone. Da qui passano giornalmente decine e decine di camion provenienti o in transito dal Niger carichi di cotone o di altri prodotti di import/export. Kandi conta circa 125000 abitanti distribuiti su una superficie vastissima suddivisa in 39 villaggi. Non ci sono edifici ma baracche e piccole case in muratura con tetti in lamiera che si estendono intorno alla strada asfaltata. Non esistono lampioni o luci pubbliche. Durante il periodo della chaleur, quando la temperatura raggiunge i 45 gradi, spesso si resta privi di acqua e di corrente per giorni interi. Ma la difficoltà più grande in questa zona non è tanto adattarsi, quanto INTEGRARSI.
Contrariamente al sud, in cui tutti parlano francese e fon (la lingua locale), nel nord la maggior parte delle persone parla solo ed esclusivamente l’idioma del posto che, per aggravare la situazione, non è unico ma varia a seconda del gruppo di riferimento. Si parla baribà e mokolè in alcuni villaggi, dendi al mercato e peulh con i pastori nomadi. Al di là quindi delle poche parole di saluto rituali che si possono imparare, si deve selezionare il gruppo con cui si desidera comunicare per iniziare ad apprenderne la lingua.
Nulla a Kandi fa ricordare una città. Non ci sono banche, teatri, librerie, eccezion fatta per alcune buvette dove la gente si ristora dal gran caldo dinanzi ad una buona Beninoise, la birra locale. La vita di villaggio/città in Benin ha come sempre i suoi pro e i suoi contro, ma la città tende a colmare i vuoti attraverso la molteplicità di stimoli culturali e di vita sociale che offre. D’altro canto la semplicità, la dolcezza della gente di Kandi, la gioia che si prova nell’essere riconosciuta per strada dopo mesi di tentativi di integrazione, è qualcosa di indescrivibile.
Vedere poi alle 19 quella palla di fuoco che in pochi minuti si fa sempre più rossa fino a scomparire all’orizzonte, mentre il cielo si illumina di tanti piccoli occhi che sembrano scrutare ciascuno da lontano e vegliare sul sonno della gente, mi dona una strana sensazione di pace che mi culla per tutta la notte.
La mia bilancia al momento è ancora sospesa e in bilico tra queste due realtà, ognuna speciale e affascinante sotto diversi punti di vista e insieme, così complete e perfette che veramente sembrano rispecchiare le due facce di una stessa medaglia chiamata Benin. Sicuramente nel far spostare la bilancia da una parte o da un’altra è l’umore del momento, la voglia di novità e la fame di conoscenza, ma tutto ciò rientra in quella sfera soggettiva difficilmente spiegabile. Sfera che porta ciascuno di noi a preferire una realtà piuttosto che un’altra, delineando così facendo un proprio stile di vita e un giorno il proprio carattere.
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