Lunedì 11 gennaio 2010: a sei giorni dalla giornata che deciderà il futuro presidente cileno, mentre i due candidati alle elezioni presidenziali, Piñera e Frei iniziano la settimana deicisiva di campagna elettorale e con i rispettivi slogan “sumate al cambio1” e “no da lo mismo2” si contendono gli elettori ancora indecisi, Michelle Bachelet3 inaugura il “Museo de la Memoria y los Derechos Humanos4”.
La sera di quel giorno sento la notizia al telegiornale delle 20.00 e decido di recarmi, la mattina seguente, a visitare il Museo. Museo che, sebbene non ancora completamente terminato, la Presidentessa ha fortemente voluto inaugurare prima dello scadere del suo mandato. Il dolore dei bambini. Dal depliant-guida del museo della memoria, Santiago del Cile, 2010.
Come recita il libretto guida del visitatore, il museo “è un invito a riflettere sugli attentati contro la vita e la dignità delle persone accaduti tra l’11 settembre del 1973 e il 10 marzo del 1990. Affinché questi fatti non si ripetano mai più e per educare al rispetto dei diritti umani come una prassi permanente”.
Si accede alla struttura, situata di fronte al Parque Quinta Normal, attraverso una piazza, la Plaza de la Memoria, lungo un lato della quale corre un muro con i 30 articoli della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Il Museo si sviluppa su tre livelli più uno sotterraneo (che al momento della mia visita non è ancora accessibile) e ogni piano è dedicato a un aspetto differente del periodo della dittatura.
Al piano terra, nell’atrio, una parete espone una grande mappa del mondo che mostra la relazione, o meglio l’interconnessione, tra i fatti accaduti in Cile e quelli avvenuti in molti altri paesi del mondo negli anni ’60, ’70 e ’80. Il plebiscito. Dal depliant-guida del museo della memoria, Santiago del Cile, 2010.
Il plebiscito.
Proseguendo la visita si sale al primo piano, dedicato agli eventi dell’11 settembre, nella cui sala centrale è proiettato a ciclo continuo un video sul bombardamento della Moneda5 mentre, tutto intorno, tavolini con schermi più piccoli mostrano, se “interpellati” dai visitatori, video di episodi avvenuti a Santiago nelle ore successive al golpe.
Il secondo piano è dedicato agli anni della dittatura, alle torture, alla repressione, agli omicidi, e vede l’alternarsi di proiezioni video, mostre, articoli di giornale, poster e manifesti.
L’ultimo piano, infine, è incentrato sul ritorno alla democrazia. Componente particolarmente accattivante per la curiosità dei più giovani è il tavolo multimediale, posto al centro della sala, grazie al quale è possibile ascoltare le canzoni di protesta composte durante il periodo dittatoriale e vedere il video della campagna “Chile l’alegria ya viene6” che invitava a votare no al plebiscito col quale, nel 1990, si chiese ai cileni se avessero desiderato che il regime proseguisse per altri 8 anni.
La visita al Museo mi ha emozionato molto, mi ha immerso in un’atmosfera surreale, facendomi chiedere come ciò sia potuto accadere. Sembrava irreale, ma è la storia che milioni di cileni vissero e subirono durante la dittatura.
Una storia spesso sconosciuta dai giovani cileni ai quali, sovente, per salvaguardare la tranquillità sociale, gli orrori degli anni della dittatura sono stati celati, rendendo tabù i discorsi sulla dittatura, con la scusa di non riaprire vecchie ferite ancora sanguinanti o del bisogno di andare avanti non restardo fermi, ancorati al passato.
Ebbene questi giovani che erano al mio fianco nel museo, tra silenzi, commozione e risate isteriche, hanno avuto l’opportunità di riappropriarsi di un’epoca a loro per lo più ignota o della quale hanno ricevuto una visione distorta da paure, convenienze, connivenze o ideologie.
Per me particolarmente toccante è stato vedere una ragazzina, che stava visitando il Museo con una signora, presumibilmente sua madre, domandarle se lei si ricordasse qualcosa e sentirsi rispondere: “Io ero una bambina ma ricordo tutto”, e di fronte a una delle foto appese alla parete sentirsi raccontare ciò che era avvenuto a poca distanza dalla sua casa.
Credo che questo sia il modo migliore per visitare il Museo: andare accompagnati da chi quegli anni li ha vissuti sulla propria pelle e domandare, farsi raccontare, indagare nei ricordi. Ritorno alla speranza. Dal depliant-guida del museo della memoria, Santiago del Cile, 2010.
Ritorno alla speranza.
Oggi più di ieri il Cile e i cileni hanno bisogno di non dimenticare, nell’attesa del giorno in cui il processo storico di riconciliazione sarà sostenuto da una volontà politica e sociale e potrà essere avviato e accortamente gestito.
Purtroppo questo momento è ancora lungi dall’arrivare dal momento che, non solo i politici, ma anche i cileni, hanno scelto di voltare pagina alla storia del paese, auspicando un cambio del quale purtroppo non hanno piena consapevolezza, un cambio non verso qualcosa ma da qualcosa, dalla stanchezza dei 20 anni di governo della Concertación7.
Le elezioni del 2010, svoltesi il 17 gennnaio 2010, sono state infatti vinte da Piñera, che presiederà il Parlamento alla guida di una coalizione di destra della quale fanno parte anche persone che hanno avuto incarichi e ruoli di potere negli anni della dittatura.
Sebbene Piñera abbia assicurato che nessuna di loro sarà nominata Ministro, in un paese dove tante persone hanno sofferto per le torture e la morte di familiari e amici e attendono ancora che sia fatta giustizia mentre molti di coloro che hanno partecipato attivamente alla dittatura militare sono impuniti8, la strada verso la riconcililazione sarà ancora molto lunga.
All’interno di questo contesto ritengo perciò fondamentale l’istituzione del Museo della Memoria e dei Diritti Umani, per tentare di recuperare una memoria storica e legislativa (l’ambasciatore del Cile Hernán Santa Cruz fu uno degli 8 revisori della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani), e affinché si pongano le basi e possa giungere il giorno in cui tutti i cileni osino affermare Nunca Más, mai più, e rendano “la dignità degli esseri umani il vero fondamento condiviso di un paese per tutti.”
La strada sarà lunga, tortuosa, tutta da costruire, ma il primo, mi auspico, di una serie continua di passi, la Presidentessa Bachelet, che fu vittima di torture durante il regime militare, ha avuto il coraggio di compierlo. La mia speranza è che altri abbiano il coraggio di seguire il suo esempio.
Note:
1 Aggiungiti al cambiamento.
2 Non è lo stesso (slogan rivolto da Freui agli elettori di sinistra e riferito al fatto che se vinceva Piñera non sarebbe stata la stesso che se avesse vinto Frei).
3 Presidente del Cile dal 2006 al 2010.
4 Museo della Memoria e i Diritti Umani. www.museodelamemoria.cl
5 Palazzo Presidenziale.
6 “Cile l’allegria già viene” fu la campagna vincitrice del plebiscito che vide prevalere i no.
7 Concertación de Partidos por la Democracia (concertazione di partiti per la democrazia) è una coalizione politica di centro e sinistra moderata che ha governato il Cile dall’11 marzo 1990 fino al 11 marzo 2010.
8 Più associazioni di ex militari in servizio durante il regime hanno chiesto a novembre un indennizzo al governo cileno in quanto essendo stati costretti a commettere torture e a violare i diritti umani dei loro concittadini dovrebbe essergli riconosciuto un danno psicologico permanente. (http://it.peacereporter.net/articolo/18886/Cile,+ex+soldati+alzano+la+testa)
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