• Cb Apg23, 2010

Bangladesh Caschi Bianchi

Kobiraj

I kobiraj hanno un grande potere in Bangladesh: fanno parte della cultura locale e la gente si affida a loro laddove la medicina non sa dare risposte. Sfera magica e sfera religiosa si confondono in queste figure.

Scritto da Daniele Bagnaresi

C’è un detto corrente in India: L’intero universo è soggetto agli dei; gli dei sono soggetti ai sortilegi; i sortilegi ai brahmani, quindi i brahmani sono i nostri dei (1)

Il termine bengalese kobiraj non ha una traduzione specifica, ma può essere inteso come guaritore. Esistono svariati kobiraj in Bangladesh, specialmente nelle zone rurali. Possono essere di entrambi i sessi e sono di religione hindu, anche se, come vedremo, attingono i propri poteri anche da altre religioni. I kobiraj non sono persone comuni, sono stati contattati e prescelti da un dio. Il dio locale maggiormente venerato e che permette loro di esercitare il mestiere è la dea hindu Kali. La dea Kali (detta la nera (2) ), dalla pelle bluastra, è terrificante e spaventosa. Ornata da teste e mani mozzate viene spesso rappresentata danzante, con la lingua rossa (3) ben in evidenza, sopra il suo spasimante Shiva.

Ci sono due interpretazione sulla nascita della dea. Il primo mito, scritto nel Devi Mahatmya, la vuole nata dalla mente di Durga (4) per fermare il terribile demone Raktabija, “seme di sangue”. Per ogni goccia del proprio sangue che cade a terra, il demone si moltiplica. Kali dunque, leccando il sangue del demone e interrompendone la rigenerazione, aiuta Durga a sconfiggerlo. Un’altra interpretazione invece la vede come la parte oscura e collerica di Parvati, la moglie di Shiva (5). In questo secondo mito Kali si accompagna a Shiva in una danza senza freni, in cui la dea minaccia di distruggere il mondo. Solo il dio è in grado di placarla, sfidandola nella danza e ottenendo infine la vittoria. Kali non è solamente la personificazione al negativo di ogni attrattiva femminile e del lato oscuro di ogni essere umano. Qui in Bangladesh e nella regione indiana del West Bangla, ad esempio, la dea è venerata anche come madre dal ruolo protettivo (6).

Investito dal suo incarico, solitamente dopo un sogno rivelatore, il kobiraj comincia la sua professione salvifica: curare i bisognosi. Come già scritto in altri articoli, la superstizione qui in Bangladesh è forte. Basti pensare a come truccano i neonati. Bisogna sapere infatti che in molti Paesi del mondo vi è la credenza che i neonati siano i soggetti più vulnerabili nel ricevere maledizioni. Ad esempio, in certe parti dell’Africa (ma anche qui in Bangladesh), appena una madre partorisce, seppellisce in un posto nascosto la placenta e il cordone ombelicale affinchè nessuno possa fare del male al bambino. Qui in Bangladesh, invece, vi è la credenza che lo sguardo invidioso e malevolo delle persone possa recare danno ai più piccoli. I genitori per proteggere il neonato, disegnano su un lato della sua fronte (generalmente il sinistro), con della tinta, un cerchio nero, simile ad un occhio. Questo, dicono, serve per respingere gli sguardi malevoli delle persone, il cosiddetto “malocchio”, che qui in Bangladesh, è chiamato oshubo dristi. In più, ma solo per estetica, dipingono con la solita tinta anche le sopracciglia al neonato (oltre che a disegnargli il “tip” in mezzo alla fronte), affinchè crescano ben scure.

I kobiraj, oltre a curare i mali fisici, si occupano anche di questo aspetto etereo attraverso i tabis. I tabis hanno la stessa funzione del nazar turco o della khamsa (mano di Fatima) nei paesi islamici. Un informatore spiega a proposito: “Il kobiraj prepara i tabis. Dentro c’è un tipo di radice che cambia a seconda del tuo problema. Per chiuderli usano le candele. Io ho chiesto al kobiraj un tabis perché avevo paura dei serpenti quando camminavo la sera. Adesso non ho più paura”.

Quasi tutte le persone qui a Chalna hanno un tabis.

Generalmente viene legato alla vita con una cordicella nera e nascosto sotto i vestiti.

Un’usanza simile musulmana è quella di adoperare lo stesso oggetto per inserirvi all’interno versi sacri del Corano con lo stesso intento protettivo. Potrebbe essere dunque che gli induisti abbiano preso e modificato questa usanza qui in Bangladesh. Lo stesso informatore dice a proposito dei kobiraj: “Mio padre era malato e aveva sangue nelle feci. Andò da un dottore ma non guarì, così andò poi dal kobiraj e guarì. Alcuni sono molto bravi. A Chalna ci sono molti kobiraj. Usano solo le piante per guarire. Le cure del kobiraj si basano sulla fede: se ne hai guarirai, altrimenti no”. Un altro informatore dice: “Una volta avevo paura dei fantasmi e andai dal dottore ma non mi aiutò. Dopodichè andai dal kobiraj che mi diede delle piante, guarii e non ebbi più paura.”

I kobiraj detengono uno status particolare all’interno della società. Sono temuti e rispettati dalla maggior parte delle persone per i loro poteri e il loro controllo della sfera sacra. La sfera religiosa e la sfera magica si confondono nel kobiraj, per questo i religiosi si oppongono e combattono questi guaritori. Sentono che l’altezzosa autosufficienza del mago e la sua sfrontata pretesa di esercitare un dominio simile al loro, piegando i poteri del divino a propri scopi, è blasfema e pericolosa. Il potere del kobiraj è garantito e sorretto dalle superstizioni e dalla kushonoskar(7) che delinea questa società.

Incuriosito dalle pratiche di questi guaritori ho deciso di incontrarne uno. Dopo essermi messo d’accordo con A., un giovane bengalese che vive all’interno della Missione, abbiamo intrapreso un viaggio in richshaw all’interno delle campagne intorno a Chalna per raggiungere la casa di un kobiraj. Ad accompagnarci è venuta anche un’amica francese, interessata alla medicina tradizionale. A. ed io ci siamo messi d’accordo nel chiedergli dove fosse finito il suo lettore MP4 recentemente scomparso. M., il kobiraj in questione, è una donna vedova che da diversi anni esercita la sua professione. Possiede un pezzo di terra e vive con la sua famiglia: i genitori e le due figlie. Ci fa accomodare e dopo averci offerto il thè, ci porta all’interno del suo “santuario” dove riceve i pazienti. All’interno del santuario ci sono due grandi statue della dea Kali e della dea Mamonosha (8) ed ai piedi delle statue un tappeto di petali rossi. La donna ci spiega che all’interno del santuario vive un serpente a cui lei offre cibo quotidianamente, in cambio dei suoi poteri. Ci sediamo all’interno del santuario, ma quando la pianta del mio piede tocca il suolo, M. mi riprende subito invitandomi a sedermi a gambe incrociate in modo da non calpestare direttamente il luogo sacro. Ho notato che gli hindu riservano particolare attenzione alla terra: prima delle danze tradizionali delle tigri Tamil, ad esempio, le danzatrici chiedono perdono alla terra poiché si apprestano a calpestarla. Quando le chiedo l’origine dei suoi poteri, la donna risponde: “in passato stavo male, avevo un cancro e così provai a consultare dottori, ma non riuscirono a curarmi. Andai in India da altri dottori e laggiù feci un sogno. Sognai la dea Kali. Mi disse che avrebbe guarito il mio male. Inoltre mi disse di tornare a casa e di curare le persone che ne avessero avuto bisogno grazie ai nuovi poteri che lei mi avrebbe dato”.

Prepara dei bicchieri d’acqua che dispone a lato e dice: “quando avrò finito di contattare kali, versatemi addosso quest’acqua per risvegliarmi”. Mentre raccontiamo a M. la storia sulla scomparsa dell’MP4, visto per l’ultima volta sul tavola della cucina di casa di A., indossa la sua veste cerimoniale bianca dagli orli rossi. Prende poi uno specchio e intona preghiere affinchè kali e altri dei (udiamo anche bismillah (9)) gli diano la forza. Finita la cantilena sputa sui bicchieri e sullo specchio. L’usanza di sputare su cose e persone è molto antica e diffusa: in Africa ad esempio, in questo modo i regnanti benedicono i sudditi, oppure i guaritori che praticano la brujeria (10) in Centro e Sud America usano sputare sui pazienti trasmettendo così la propria energia. In questo caso invece, è come se l’effetto della preghiera ricada sugli oggetti tramite il passaggio della saliva su un altro corpo. Prende poi una tinta rossa e, con l’indice macchiato, preme nove volte il dito sullo specchio formando tre linee da tre punti ciascuno. Mischia la prima linea con un petalo tracciando il nome di A. Tiene lo specchio con forza e le mani le tremano mentre lo fissa come se riuscisse a vederci attraverso. Poi d’un tratto emette un grido e crolla al suolo. Kali comincia a parlare: “Il tuo oggetto era in casa, in una stanza sopra un tavolo… Chi te lo ha rubato è alto e robusto, ha una camicia con dei fiori e pantaloni color marrone e porta i sandali. Si dirige a ovest, poi a nord, poi entra in un edificio con due sole stanze…Smette di parlare. Si dimena e urla, così pensiamo sia giunto il momento di gettarle addosso l’acqua. Ansimando comincia a riprendersi. Dopo che la dea è uscita dal suo corpo e il suo fiato tornato regolare, con l’aiuto del padre (che ha osservato la possessione da fuori del santuario), puntualizza gli indizi che la dea avrebbe dato per scoprire chi ha rubato l’MP4 di A. . Una volta finita la spiegazione le chiedo come mai avesse pronunciato anche il nome di Allah durante la preghiera. M. risponde che Kali non è l’unica a cui chiede aiuto, ma che vi è anche un antico santo musulmano. Chiedo poi al padre quanti clienti abbia mensilmente e questi mi risponde che sono intorno ai mille. Probabilmente un numero esagerato, ma c’è da dire che sia prima che durante la seduta il cellulare di M. ha squillato di frequente impegnando la donna in tanti appuntamenti futuri.

Personaggi folcloristi come il kobiraj fanno parte della cultura locale e vengono ancora ascoltati e creduti da molte persone.

Concludo narrando una storia che viene raccontata nelle scuole e che mi è stata riferita:

– Un ragazzo voleva passare un esame scolastico ma non aveva voglia di studiare. Così andò dal kobiraj e chiese al guaritore di preparargli un tabis per passarlo.

Questi gli disse che doveva immergere il tabis tre volte nell’acqua ogni volta che doveva bere. Il ragazzo così fece, ma comunque non passò l’esame. Provò a sostenerlo altre volte, ma senza buoni risultati. Un giorno poi aprì il tabis e trovò scritto: “Se leggi (inteso in questo caso come studiare) avrai successo, se non leggi non avrai successo – .

Note:

1. James Frazer, Il ramo d’oro, Newton, Roma 2006, pag 75
2. Dall’hindi kalo significa nero
3. Nei Paesi asiatici la lingua estesa era segno di potenza e forza vitale, perché imitava il sacro linga-yoni: l’unione del genitale maschile e femminile. La lingua mostrata dalle divinità è dunque sinmbolo positivo e di buon auspicio.
4. La dea nata dall’unione dei più potenti dei del phanteon hindu
5. Shiva è tra le divinità hindu più importanti: è il grande asceta, ma anche il re della danza. Attraverso la sua danza Shiva segna il ritmo del tempo, guidando l’esistente nel ciclico processo della creazione, vita e dissoluzione.
6. Ad esempio in Calcutta, chiamata Kalikata prima dell’arrivo degli inglesi. Molti studiosi sono d’accordo nel sostenere che l’etimologia originaria del termine della città significhi “terra di Kali”.
7. Letteralmente cattiva tradizione. Ad esempio bruciare viva la moglia nella pira del marito dopo la di lui morte (tradizione hindu).
8. La dea dei serpenti
9. Che significa “nel nome di Allah”.
10. Quell’insieme di pratiche magiche e stregonesche avversate dalla Chiesa e dall’Inquisizione.

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