Caschi Bianchi Perù
Educazione dimenticata
Riflessioni sul sistema educativo delle zone andine del Perù.
Scritto da Valentina Disarò
Cusco è probabilmente la cittá andina e peruviana piú conosciuta al mondo.
Anticamera di una delle sette meraviglie del mondo, Machu Picchu, capitale del grande impero Inca messo in ginocchio dall’arrivo degli spagnoli; centro di
viaggi non solo geografici ma anche mistici, grazie alla fama mondiale dei curanderos(1) andini e delle centinaia di erbe curative che la natura generosa e tremenda regala agli uomini, Cusco è anche conosciuta come l’ “ombelico del mondo”.
Una perla coloniale adagiata tra le Ande, ma che nasconde dietro questa facciata di tranquillità e ricchezza tutte le problematiche di un paese strozzato da
divisioni interne, da una classe politica corrotta che abbandona la popolazione ad uno stato di povertà cronica e che svende la terra natia. Tutti aspetti che, in pochi giorni di vacanza, difficilmente risaltano agli occhi di un turista!
Nella mia esperienza di servizio civile di un anno sono stata affiancata al programma “Alianza Perú para la Educación Rural-Ruta del Sol”, un collettivo che
promuove il rafforzamento della educazione rurale nelle macro regioni sud del Perú quali Apurimac, Cusco, Ayacucho e Huancavelica, regioni che appartengono alla cosidetta zona andina, una delle piú colpite negli anni del terrorismo e attualmente dimenticate dai politici limegni che guidano le sorti del
paese. Il CADEP JMA, ong partner, è parte di questo collettivo che da tre anni cerca di trasformare l’educazione rurale e di contribuire a superare la povertà, promuovendo lo sviluppo umano e l’esercizio dei diritti delle popolazioni andine e amazzoniche del Perú.
In particolare questo programma intende affermare l’identitá culturale delle popolazioni indigene schiacciate, sfruttate e discriminate nelle loro stesse terre;
rafforzare lo sviluppo a livello locale e regionale; garantire l’accesso e la permanenza di bambini e bambine in una scuola pertinente e di qualità; formare insegnanti capaci di sviluppare proposte educative che rispondano alla multiculturalitá della regione in zone dove l’analfabetismo è una piaga e stimolare, infine, la collaborazione tra stato e società civile per elaborale progetti educativi regionali e locali. Tutti ambiti dove l’assenza dello stato è cronica e evidente.
Nelle zone interne del paese esistono aree, soprattutto rurali, che mantengono sopra il 50% i tassi di povertá, di esclusione sociale e marginalitá e dove è assente la presenza dello stato . Questi dati sottolineano che l’ineguaglianza nell’accesso alle risorse, in un paese peraltro ricchissimo di materie prime, è cresciuta nonostante gli indicatori ufficiali parlino di una maggiore abbondanza nel Paese.
L’accesso alle risorse, alla giustizia e servizi pubblici di qualità – ad esempio educazione, salute, sicurezza, servizio elettrico, rete fognaria e idrica – non è infatti equamente distribuita nel Paese. Differenza che ha generato nelle popolazioni indigene sentimenti di frustrazione e risentimento che hanno trasformato in conflitto sociale e aperta crisi politica la loro posizione.
Da qualche mese la partecipazione della popolazione indigena è organizzata e massiva con fini non solo rivendicativi, ma anche con esigenze politiche chiare, come ad esempio una maggiore partecipazione nelle decisioni delle concessioni territoriali, negli accordi relativi allo sviluppo di strade, al piano scolastico, al miglioramento della qualità dei servizi.
Il livello di scontro è arrivato persino nelle strade.
Nella selva si sono verificati sotto i teleobiettivi dei media di tutto il mondo, diversi scontri tra le popolazioni indigene e la polizia, che hanno portato in ultimo alle dimissioni il Presidente del Consiglio, la cui amministrazione è stata già fortemente colpita dalle prove di corruzione.
La diffusione della influenza H1N1, inoltre, ha portato alla sospensione delle attività scolastiche, utile misura preventiva nei centri più popolosi, ma misura insufficiente se si considera la situazione delle regioni rurali, andine e della selva.
Tutti questi eventi stanno creando una situazione di profonda instabilità nel Paese e, anche se quest’anno la contrattazione dei docenti e la formazione dei maestri – così come altri programmi che intervengono nel campo educativo – hanno permesso di garantire la copertura e di aumentare l’accesso scolastico, il problema dell’educazione rimane secondario nell’agenda politica di chi governa.
A livello regionale, poi, i governi non assumono il proprio ruolo nel processo di decentralizzazione. Non c’è stato alcun effettivo passaggio di competenze dal governo centrale al locale, nonostante l’annunciato decentramento visto che non sono mai state trasferite risorse economiche da impiegare nella gestione.
E’ vero che alcuni degli uffici educativi locali hanno avviato programmi decentrati, ma si stratta di iniziative sporadiche, fragili e troppo di lungo periodo per incidere in modo significativo sul quotidiano: la partecipazione degli addetti ai lavori e della società civile a questi programmi è scarsa; la stessa progettazione municipale e regionale è carente causa improvvisazione e scarsa esperienza degli operatori e scarseggiano le risorse economiche.
Inoltre negli ultimi mesi i conflitti sociopolitici nella regione di Cusco hanno portato a giorni di forte mancanza di prodotti alimentari provenienti da Arequipa e Puno, a causa dei blocchi stradali.
Se a questa situazione si aggiunge l’instabilità politica propria delle stesse autorità regionali, causata da continui rimpasti, è evidente che la situazione politica regionale e nazionale del Paese è davvero molto fragile!
In questa situazione così complessa i programmi di intervento e sviluppo educativo, che richiederebbero una pianificazione a lunghissimo raggio e un forte e strutturato impegno statale, si fanno spazio con difficoltà e continuano a dipendere tragicamente dai finanziamenti di governi occidentali che, da un lato, rischiano di incrementare il livello di corruzione del Paese per ottenere concessioni più vantaggiose dai politici di turno, dall’altro continuano a finanziare le attività delle ong locali in un circolo vizioso che mi sembra senza fine.
Note:
(1) guaritori in peruviano.
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