Nella cultura Inka non esistevano sistemi carcerari. Scontavano la pena attraverso lavori socialmente utili. Il mondo moderno concepisce la privazione della libertà come l’unica forma di riabilitazione sociale.
Negli stessi luoghi dove la cultura Inka aveva risolto le devianze sociali con sistemi utili al bene comune, ora la situazione è del tutto mutata.
A La Paz, capitale politica della Bolivia, esistono quattro strutture carcerarie:
– San Pedro, carcere maschile ubicato nel centro della città;
– San Pedro di Chonchocoro, carcere maschile situato nella città dell’Alto;
– Obrajes, carcere femminile per reati minori;
– Miraflores, carcere femminile di massima sicurezza;
San Pedro si presenta come una sorta di città in miniatura. Al suo interno troviamo mercati, alloggi per i più e i meno abbienti, aree addette alle attività sportive e molto altro.
I detenuti che vivono all’interno possono ospitare la loro famiglia, che spesso rimane a vivere nel carcere per tutta la durata della pena. Il governo offre solamente il pranzo e un posto per dormire nel pavimento, tutto il resto si paga. Ci troviamo, quindi, di fronte a due grandi classi di detenuti, quelli che possiedono soldi, e che quindi possono prendere in affitto o comprare la loro cella e sostenersi, e quelli che non ne possiedono. Questi ultimi sono quasi tutti costretti ad usare sistemi alternativi per mantenersi. Il metodo più diffuso è quello del traffico di droga che avviene sia all’interno della struttura sia fuori.
Lo spaccio interno ha come protagonisti, oltre ai detenuti, compratori esterni che possono facilmente accedere all’interno del carcere se sono di nazionalità Boliviana; gli stranieri invece vi entrano pagando circa trecento boliviani a dei personaggi non ben identificabili che aspettano fuori dal cancello.
Lo spaccio esterno, invece, vede come protagonista la famiglia del detenuto, compresi i bambini, che entrando ed uscendo senza essere perquisiti a dovere fanno da tramite.
Riportiamo ora la testimonianza di un Peruviano detenuto a San Pedro:
“ Sto qui a San Pedro per la 1800, la legge sul narcotraffico. Ora è quasi un anno che sto in questo porcaio , non so quando uscirò perchè non ho ancora un garante. Sai, il garante è quello che dice che sei cambiato, che hai un lavoro che sei nuovamente utile e così via, ma se fuori faccio qualche altra cazzata è lui che lo prende in culo al mio posto. Io ancora non l’ho trovato, forse me lo devo comprare mierda.
Che vi posso dire ragazzi? Qua dentro fondamentalmente non ci manca niente, la droga costa molto meno che fuori. Pensa, una dose di pasta base la rimedi a cinque boliviani, è l’alcohol che costa molto. Le donne entrano, le paghi e via ..tanto la pula è stra corotta. Sono loro i peggiori puta. La polizia mica ci prottegge: se succede qualcosa fa finta di niente. Dobbiamo sorvegliarci tra di noi e ci sono dei cornuti che con un palo e un beretto con scritto “seguridad” sistemano tutto.
Il problema sono i ragazzi giovani. Sì, per loro un po’ mi dispiace. E’ facile, cari Italiani, che sti ragazzi diventino dei veri e propri tossici qua dentro, qualcuno si uccide pure. Sai, la disperazione e la solitudine è forte qua dentro e poi ci sono anche le violenze e gli abusi sessuali, è pieno di merda qua dentro.
La regola principale di questo posto e quella di farsi gli affari propri, così nessuno ha il pretesto per farti passare brutte situazioni. Questo è San Pedro, che altro posso dirvi, che ve vaia bien.”
Dei carceri femminili possiamo raccontarvi una storia. Chiameremo la protagonista Rocky. Questa stava nel carcere di massima sicurezza, è un donnone, con un peso che oscilla tra i cento e i cento venti chili, non ha marito ma si porta con sè i suoi cinque figli. L’hanno dovuta trasferire dal carcere di massima per metterla nell’altro più tranquillo perchè un giorno ha massacrato di botte tre poliziotti. Questi non potevano intervenire perchè usufruivano del mercato della Rocky. Lei gestisce la prostituzione sia all’interno dei due carceri, sia fuori grazie ai suoi cinque figlioli. I clienti dentro sono per la maggior parte i poliziotti di turno e fuori quei quattro sfigati.
Le è stata assegnata una pena di trentanni per omicidio colposo, non ha più niente da perdere e fondamentalmente se la passa bene dentro.
Alla Rocky piacciono le donne e se sono giovani è meglio, e molte delle novizie si affiancano a lei per cercare protezione.
La nostra nel carcere è stata un’esperienza breve, per via di problemi che non siamo riusciti a capire bene, tuttavia ci ha permesso di capire quali siano i diritti maggiormente violati:
– gli adolescenti non stanno in strutture specifiche;
– i figli dei detenuti sono costretti, loro malgrado, a vivere una situazione non idonea;
– le pene non prestano differenze tra adulti e minori;
– c’è poca informazione sui diritti che possiede un detenuto;
– scarsa attenzione medica;
– forme di isolamento medievali;
– arresto preventivo;
– non esiste la presunzione d’innocenza;
– al termine della pena non si esce se non si è garantiti;
– igiene e alimentazione non adeguate;
Anche se esiste una normativa nella legislazione Boliviana, attualmente si continua a vivere una situazione di violazione dei diritti umani.
Il carcere è solo una delle tante facce delle violazioni che vive ancora questo paese: la forte corruzione e la poca considerazione dell’essere umano fanno sì che la bolivia sia ancora un paese del terzo mondo.
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