Sostituiamo gli eserciti con corpi di polizia
Pubblichiamo la lettera che P. Angelo Cavagna ha scritto per “Settimana” di maggio: non esiste nessun aggettivo che possa giustificare la guerra!
Caro direttore,
Avvenire di mercoledì 29 ottobre 2008, p. 26, riportava la lettera di “Don Gerardo: quando la fede entra in caserma”. Si tratta del “cappellano militare regionale della guardia di finanza della Campania”.
L’inizio di tale lettera dice già tutto: «Sono uno dei circa 200 preti appartenenti a quella che io considero una delle più giovani diocesi italiane: la chiesa dell’ordinariato militare. La mia “diocesi” non è legata al territorio, ma alle persone: dove ci sono i militari – con le loro famiglie – lì c’è la diocesi. E non solo in Italia, ma anche all’estero. Io credo che ove c’è l’uomo, la chiesa – obbedendo al comando di Cristo – annuncia la buona notizia, spezza il Pane e serve ogni uomo e donna, in questo caso, con “le stellette”, nel loro esercizio di costruttori di pace, di giustizia e di libertà». Aggiungo solo quest’altro passaggio: «Non sono un cappellano che offre solo servizi religiosi, ma un vero parroco, con e nella mia porzione di popolo di Dio affidatami dal vescovo. Non mi limito al culto, certo: il mio ministero esige una pastorale completa in grado di vivere, accompagnare l’intera vita delle persone e della comunità».
Personalmente capisco e leggo con ammirazione queste note del cappellano militare don Gerardo. Tanto più che da giovane, appena diventato prete, avevo pensato con simpatia all’ipotesi che i miei superiori dehoniani mi potessero destinare a tale ministero, grazie alla formazione avuta, sia liceale che teologica all’università Gregoriana di Roma, sulla “guerra giusta”. Più tardi, in occasione dello scontro tra don Milani e i cappellani militari, avendo scoperto e letto il libro di J.M. Hornus, parroco svizzero e patrologo, Evangile ed labarum (Labor et fides, Géneve 1960), mi dissi: «Non m’ imbroglia più nessuno su questa questione». Infatti, risultava chiaro che nei primi secoli della chiesa, quei militari che figuravano tra i “santi”, diventavano tali perché, diventando cristiani, rifiutavano il militare, perché non potevano uccidere e perché venivano martirizzati.
In più, nella mia non breve vita, ho incontrato generali e soldati semplici che mi hanno sempre più convinto sull’irrazionalità e immoralità di qualsiasi guerra, confermata ormai anche dall’evoluzione della dottrina morale e da alcuni documenti ecclesiastici come l’enciclica Pacem in terris, il nuovo Catechismo degli adulti ecc.
Porto alcuni esempi.
P. Luigi Lorenzetti dehoniano, noto professore nonché direttore della Rivista di teologia morale, ha scritto recentemente un libro dal titolo “Guerre ingiuste, pace giusta. Se vuoi la pace, prepara la pace. Dove va la morale cattolica?” (Pardes Edizioni, Bologna 2004).
La tesi del libro è la seguente: non c’è alcun aggettivo che si possa accostare alla guerra per giustificarla: giusta, necessaria, umanitaria, preventiva… La guerra è un fatto irrazionale e, per chi è credente cristiano, immorale. Basti pensare che, affinché la guerra fosse giusta, era necessario che non si uccidessero i civili. Nelle guerre moderne i civili uccisi sono il 90% e oltre.
Nell’occasione di un convegno organizzato dai laici dehoniani, il vescovo di Modena, Benito Cocchi, non potendo partecipare al convegno, inviò una lettera nella quale, tra l’altro, diceva: «Leggendo il piccolo (ma soltanto nelle dimensioni materiali), ultimo libro di p. Lorenzetti, si coglie la necessità per tutti i cristiani di una sincera “revisione” del modo di valutare il problema della guerra».
Il nuovo Catechismo degli adulti della Cei segna, su questo punto, una svolta che non è esagerato dire “storica”. Ne parlai in un articolo su Settimana il 2 luglio 1995 (n. 26).
Interessante anche la conclusione di uno scritto dell’ ordinario militare per l’Italia, Vincenzo Pelvi, che cita la seguente frase, indicata come un decalogo ancora attuale, di san Giovanni da Capestrano, proclamato il 10 febbraio 1984 da Giovanni Paolo II patrono dei cappellani militari: «Amore e patria; predicare il coraggio e la resistenza; non prendere le armi contro il nemico; curare i feriti; salvare le anime; seppellire i morti; calmare e comporre le discordie; spirito di preghiera; accettare ogni sacrificio per la giusta causa; attuare le opere di misericordia» (L’Osservatore Romano, 13 gennaio 2008, p. 6). Interessante il “Non prendere le armi contro il nemico” rivolto ai militari.
Al riguardo sento utile citare il passo di un’ intervista nella quale il generale Bruno Loi ha diviso nettamente la funzione dell’esercito da quella della polizia: «Non si possono mandare gli eserciti a fare azioni di polizia internazionale: l’esercito va allo sbaraglio; la polizia non ha lo scopo di uccidere, anzi dovrebbe essere dotata di armi intrinsecamente non letali». In pratica: esercito = uso omicida della forza; polizia = uso non omicida della forza. Ciò è consentito anche ai cristiani: come Gesù ha scacciato i mercanti-ladri dal tempio senza uccidere nessuno.
A questo punto occorre far memoria della “via istituzionale alla pace” tanto insistita da don Dossetti, Giorgio La Pira e altri, che l’hanno concretata nell’ art. 11 (seconda parte) della Costituzione italiana, che dice: «L’Italia ripudia la guerra…; consente, a parità con gli altri stati, a cedere parte della propria sovranità per istituzioni internazionali, che garantiscano giustizia e pace per tutti i popoli».
È fondamentale che l’Onu abbia vera autorità sopranazionale, con un «corpo di polizia internazionale ed eliminando tutti gli eserciti», come al momento della costruzione dei singoli stati vennero eliminati tutti gli eserciti intrastatali, mantenendo la polizia a livello nazionale, regionale, provinciale e comunale, secondo il principio di sussidiarietà. Dice infatti ancora il Catechismo degli adulti: «La guerra è il mezzo più barbaro e più inefficace per risolvere i conflitti. Si dovrebbe togliere agli stati il diritto di farsi giustizia da soli con la forza, come è stato tolto ai privati cittadini e alle comunità intermedie… Meritano sostegno le proposte tendenti a cambiare struttura e formazione dell’esercito per assimilarlo a un corpo di polizia internazionale… Si auspicano forme di governo sopranazionale con larga autonomia delle entità nazionali» (cf. cap. 26 pp. 493-494 e cap. 28 pp. 528-529).
Purtroppo nella pastorale ordinaria non si sente ancora valorizzata questa svolta storica come meriterebbe. Nella gran parte della politica attuale si sente l’allergia a una vera autorità sovranazionale, temendo restrizioni al liberismo economico-finanziario: non si vuole il superstato. Però alcune personalità incominciano a capire che invece occorre una vera autorità universale. Eccone alcuni esempi:
«Sarebbe necessario un governo dei processi mondiali» (on. P.F. Casini 20 novembre 2001); «L’Europa deve operare per la crescita di istituzioni di governo mondiale e capaci di governare il mondo» (on. Ciampi, 31 dicembre 2001); «In termini politico-istituzionali, penserei a una scommessa per dare nuova forza ed efficacia alle Nazioni Unite, come sistema che renda progressivamente più democratico il governo mondiale» (on. Rutelli 2001); «In politica ora l’accento è posto sulle grandi questioni epocali planetarie» (V.E. Agnoletto); «Una globalizzazione senza un governo mondiale e quindi senza una legge mondiale va verso il caos» (G. Bocca 21 gennaio 2002); «Si potrebbe in tempi relativamente brevi rafforzare ulteriormente i caratteri di un vero soggetto politico sopranazionale (un vero governo mondiale!). Soltanto in questo modo si potranno battere i fondamentalismi» (on. D’Alema); «Non vi è dubbio che la dimensione sovranazionale dei problemi… esiga una adeguata governance» (avv. G. Agnelli); «Dobbiamo avere la capacità di globalizzare la democrazia… L’alternativa ormai è netta. O accettiamo che sia la pura logica di potenza a governare il mondo nel prossimo futuro o dobbiamo subito cominciare a progettare le istituzioni del mondo globale» (La Repubblica 19 dicembre 2001 – 12 gennaio 2002).
L’anziano, ma sempre giovanile di spirito, on. Giovanni Bersani, bolognese, per diversi anni co-presidente della Convenzione di Lomé, ha avanzato anni fa una proposta di composizione leggera e funzionale di “parlamento mondiale”, composto non da rappresentanti da tutti i popoli, ma di “parlamenti continentali” (26 ottobre 1996).
Da tutte queste prese di posizione per una governance mondiale può derivare la possibilità di eliminare tutti gli eserciti, sostituiti da veri corpi di polizia secondo il principio di sussidiarietà.
A mio parere, sarebbe meglio che imitassero tutti don Arcangelo, cappellano militare dei lagunari: «Sono stato in Kosovo, ho dormito insieme all’uranio, ma quella era una bella missione. Adesso me ne sono andato; sì, ho lasciato. Ho fatto una scelta di pace e questo non è più l’esercito che porta la pace» (La Repubblica 18 maggio 2004).
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