Caschi Bianchi Russia

Lettere da Volgograd

Estratti di alcune lettere di un casco bianco alla sua città natale: vita in un paese straniero, tra difficoltà e sorprese.

Scritto da Fabio Martini

Volgograd, 8 febbraio

Cara Rossano,
mi sembra ieri che ti ho lasciata ma sono giá passati quasi due mesi. Non prendertela se ti dico che non mi manchi affatto, qui dove sono mi piace un sacco. Malgrado la difficoltá con la lingua e la temperatura che al giorno del mio arrivo era di quattordici gradi sotto zero, sono felice. È così, quando si è entusiasti di quello che si sta vivendo, tutto si ricopre di poesia, anche le cose piú banali. Non so se per te è facile capire. Tu, così moderna, così sicura di te, così perfetta che ostenti la tua ricchezza con zone industriali e palazzoni. Forse tutto questo ti ha fatto dimenticare la bellezza di una margherita selvatica.
[…]
Vivo in una pronta accoglienza per persone senza fissa dimora e con disagio fisico e psichico, in un quartiere della periferia dell’ex Stalingrado, città storica per la grande battaglia tra russi e tedeschi dove morirono migliaia di esseri umani. In famiglia siamo in sei: io, Marco il responsabile italiano, Beniamin, un ragazzo tedesco che sta svolgendo l’obiezione di coscienza, Ruslan ,un bambinone russo di 31 anni, Jura, un 63enne russo con un passato burrascoso che adora i piccioni e la pesca, ed infine Anatoly, un russo 69enne cieco, ma che sa muoversi benissimo in città anche da solo. In casa si vive la quotidianitá, si fanno le pulizie, si va a fare la spesa, si prepara il pranzo e la cena, questa primavera ci sarà anche da lavorare l’orto. Tre mattine la settimana si fanno le uscite. Il lunedì e il mercoledì si va dietro il vecchio ospedale dove ci attendono i senza fissa dimora. Qui distribuiamo zuppa, pane, the caldo e facciamo quattro chiacchiere. Certo, io per il momento devo limitarmi a distribuire i viveri dato che non parlo ancora il russo e nemmeno lo capisco. Al giovedì, invece, io e Ruslan giriamo in tram per la città e portiamo panini, uova sode e the caldo alle persone che chiedono la carità fuori dalle chiese ortodosse, nei sottopassaggi e sui marciapiedi. Fra due settimane l’associazione aprirà un centro diurno vicino alla pronta, per dare l’opportunitá alla gente di strada di farsi una doccia, tagliarsi barba e capelli, cambiarsi i vestiti, curarsi le ferite.

Le relazioni umane non sono tra le piú facili qui, i russi sono per la maggior parte prevenuti con gli stranieri, specialmente con quelli che hanno look particolari diversi dal loro. Certo, si puó capire: stiamo parlando di un popolo che ha vissuto sotto regime fino a pochissimi anni fa. Una dittatura che propagandava sistematicamente l’anti -occidentalismo e il nazionalismo. Tutto questo, sommato alla difficoltà di comunicare, rende tutto più complicato. Comunque non mi do per vinto, con la voglia e l’impegno imparerò.

A Volgograd dilaga il problema dell’alcol e dei senza fissa dimora. Gente che non ha resistito al cambiamento al momento del crollo del regime e dell’ideale comunista. Gente che non ha retto i ritmi e i tempi che la società moderna ha imposto loro e che non è riuscita ad integrarsi. Tutte queste persone ora stazionano ai margini della città, frugano nell’immondizia alla ricerca di bottiglie di vetro da vendere così da ricavarsi i soldi per bere, muoiono di freddo durante l’inverno nella più totale indifferenza dello stato.

Immagino, cara Rossano, le domande che ti staranno girando per la testa: “…ma come fanno a vivere in quel modo? Perchè non se ne vanno a lavorare?…” Sai, dopo aver ascoltato molte storie di vita mi rendo conto, forse in ritardo, che limitarsi a pensare questo è molto superficiale e stupido. Devi sapere che la maggior parte di questa gente viene da un passato di sofferenza molto complesso, in cui l’alcol ha rappresentato spesso l’unica via di fuga da un presente ed un futuro che facevano paura.

Ora sono qui sulla scrivania che guardo fuori dalla finestra i colombi di Jura volare liberi nel cielo. Volano in gruppo sfruttando le correnti d’aria. Volano lontani dove l’istinto li guida, per poi ritrovare la via del ritorno quando ne sentono il bisogno. Penso a me stesso, all’opportunità che ho avuto di poter essere qui oggi, alle possibilità infinite che ho di scegliere qualsiasi cosa in qualsiasi momento io lo desideri. Poi mi domando, io che nella mia vita ho ricevuto e tutt’ora ricevo tanto amore, ho per qualche motivo il dovere di donarlo a chi ne soffre la mancanza? Non so, per il momento non ho una risposta. Intanto me ne sto qui in silenzio ad ascoltare il dolce fluire della vita, sperando sia lei stessa prima o poi a rispondermi.

Volgograd, 15 aprile
[…]
È vero, in Russia non ci sará certo il sole che posa in tramonti mozzafiato, in compenso però c’è Jura, 33 anni di carcere alle spalle e di lavori forzati in Siberia, una vita intrisa di violenza: l’unico pensiero era quello di sopravvivere prevaricando sull’altro. Con lui non è facile convivere, ma sto imparando che dalle persone si può pretendere un cambiamento secondo le loro possibilità; poi bisogna accettarle per come sono senza volerle piú cambiare. Da lui sto capendo che l’amore incondizionato è l’unica strada da percorrere contro l’odio, la violenza, l’incomprensione.

È vero, in Russia non ci saranno fiumi che si addentrano in foreste lussureggianti. In camera con me c’è però Anatoly, il nonnino cieco, una vita passata sulla strada a bere. Da qualche anno è stato accolto in questa casa, dove trascorre la maggior parte del tempo a letto ascoltando la radio, sempre pronto a rispondere con un sorriso ad ogni domanda che gli viene posta. Mantiene però la sua professione che ama piú di ogni altra cosa, cioè quella di chiedere la caritá in un sottopassaggio. Con lui sto imparando che troviamo dentro di noi la serenità e non ci viene data dalle cose che abbiamo intorno…piú cose abbiamo intorno e piú sono loro a possedere noi e non viceversa. […]

È vero, in Russia non ci saranno danze tribali che si muovono a ritmo dei tamburi, non ci saranno colori sgargianti o bambini che ti rincorrono per una foto. C’è però Ruslan. Lui ha 31 anni, ha un ritardo mentale. Stare con Ruslan mi sta insegnando cosa significa avere pazienza e che in alcuni casi ne serve molta. Con lui sto imparando che nella vita non vale la pena prendersela per molte cose, che una buona metà delle cose per cui ce la prendiamo sono sciocchezze, che la vita fa il suo corso e che noi possiamo decidere fino ad un certo punto, da lì in poi bisogna prenderla con filosofia.

Ora, mi guardo bene dal pensare di aver capito molto o abbastanza da quest’esperienza, queste sono solo alcune considerazioni che mi sembra di trarre dalla convivenza con queste persone.
[…] Con tutti i miei limiti cerco di camminare verso la direzione che credo piú giusta avendo sempre chiaro in mente che gli ideali non si raggiungono ma si perseguono, quindi che alla meta forse non si arriva mai. E tu Rossano cosa mi racconti, hai smesso di sognare? O nei tuoi sogni ci sono solo cose?
[…]
Ti lascio cara Rossano, me ne vado a letto perchè domani devo alzarmi presto per andare a pesca con Jura, speriamo sia una splendida giornata…

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