• Cb Apg23, 2009

Brasile Caschi Bianchi

Progetto Escola infantil Espaço Creativo

In un piccolo paese del Minas Gerais, Marli realizza una scuola diversa per costruire una società meno violenta.

Scritto da Laura Lanni

15 gen 09: periodo di vacanze estive a Coronel Fabriciano, nello stato del Minas Gerais, Brasile. Anche stamattina Marli approfitta del tempo libero per mettere a posto la casa, mentre i suoi figli giocano con i bambini dei vicini che spesso passano da qui per salutare la Tia, zia.

Non è facile però trovare tempo per le faccende domestiche, perché sempre più di frequente arriva una voce dalla strada: Tia Marli! Marli si affaccia alla finestra: a chiamarla è una donna che vive nella strada accanto, con il pancione e un bambino per ogni mano. Marli sorride e scuote la testa: sa già cosa la aspetta. Le iscrizioni per la escolinha, la scuola per cui ha riservato il piano inferiore della sua casa, sono già chiuse da un po’, ma le richieste continuano ad arrivare. Scende e rientra poco dopo: “Come posso dirle di no, ha due piccoli, è in attesa di un altro, ed è sola! Prendiamola come grazia di Dio…” e scioglie la tensione in una risata.
Due nuovi piccoli di questo barrio, quartiere, di periferia, si sono aggiunti alla lista di circa 80 bambini tra i 2 e i 4 anni che aspettano la fine delle vacanze estive per tornare a scuola, dal 2 febbraio prossimo, tutti i pomeriggi da mezzogiorno alle cinque, divisi in tre gruppi classe.

Fino a 8 anni fa Marli insegnava

in una scuola privata, in centro a Fabriciano.

Era soddisfatta del suo lavoro e della collaborazione

con i colleghi, in particolare con la direttrice,

una persona con la sua stessa passione

per l’infanzia e per il mondo dell’educazione.

Vedeva però un grosso limite:

quella era una buona scuola,

ma per funzionare dipendeva dalla retta che i genitori

dei bambini dovevano pagare per i loro figli. Una retta che nessuno, nel barrio dove Marli vive, poteva permettersi. Sentiva di essere inserita in un sistema che alimenta alla radice il divario e l’ingiustizia che sono la base dell’altissimo tasso di violenza infantile e intrafamiliare che caratterizzano gran parte del suo paese.
I bambini dei suoi vicini crescevano con un grande senso di inferiorità rispetto alle possibilità, alla capacità di pensare e di esprimersi dei bambini del centro, sapendosi già condannati a una vita fatta di marginalità e di espedienti di strada. “Sognavo di poter dare ai bambini del mio barrio le stesse possibilità -racconta Marli- per questo quando, dopo il matrimonio, i genitori di mio marito ci hanno regalato una cifra sufficiente a costruire una casa per la nostra famiglia, ho pensato a riservare alcune stanze per una piccola scuola. Ho iniziato in uno spazio angusto, con i pavimenti di cemento, una piccola cucina, senza bagno, da sola con 30 bambini. Poi ogni anno, ho ricevuto un aiuto in più, e ho potuto ampliare lo spazio, renderlo più accogliente, confortevole e funzionale, tanto che oggi può davvero essere definito uno spazio che permette ai bambini di sviluppare la loro creatività, come suggerisce il nome del progetto. Inoltre abbiamo all’interno della struttura due stanze per un pediatra e un dentista che una volta alla settimana seguono i bambini dal punto di vista sanitario.”

    I bambini che usufruiscono di questo spazio provengono tutti da famiglie con madri sole, costrette a lavorare e a lasciare i figli a se stessi, in un ambiente in cui sono esposti con grande frequenza a situazioni di violenza fisica, psicologica e affettiva. E’ raro che bambini provenienti da simili famiglie    abbiano la possibilità di crescere in uno spazio sano, pagando una retta minima o addirittura senza dare nessun contributo, a seconda delle necessità. Per conoscere a fondo queste necessità, Marli ha visitato le famiglie casa per casa. Durante le visite si sentiva rivolgere spesso la stessa domanda: “Una scuola per bambini così piccoli, e per fare cosa? per giocare? non possono ancora leggere…” 

“Ho spiegato a tutti che sicuramente i bambini avrebbero avuto modo di giocare, ma che il progetto è più ampio, e si propone di riscattare valori cognitivi, espressivi, affettivi e spirituali che gradualmente possano contribuire a uno sviluppo sano e integrale del bambino, promuovendo in questo modo un accrescimento dell’autostima, con la finalità ampia di costruire una società più giusta. Andare a scuola non significa solo imparare a riconoscere le lettere dell’alfabeto, ma imparare a leggere la realtà che ci circonda in modo critico, sviluppando la capacità di esprimere idee e pensieri, di essere protagonisti della nostra vita. E questo si impara da piccoli.”

“Quello dell’autostima – continua Marli – è un problema enorme in una società in cui il senso di inferiorità viene alimentato in tanti modi: la discriminazione si basa sulle condizioni di nascita e sull’appartenenza razziale. Nella mia scuola vivono insieme bambini neri, bianchi, meticci, appartenenti alle tante chiese e gruppi religiosi che qui crescono come funghi. A tutti chiedo lo stesso rispetto l’uno per l’altro e a tutti ripeto: Voi non siete inferiori a nessuno.Concretamente poi cerco di dare loro la possibilità di sviluppare le proprie capacità creative, di relazione e di espressione, in modo semplice: usiamo giocattoli realizzati con materiali di riciclo, cerchiamo di dare spazio alla individualità di ciascuno e di creare momenti di comunicazione circolare e di scambio, evitando il più possibile di essere direttivi ma creando un clima di accoglienza in cui il bambino possa gradualmente imparare a essere responsabile di sé e degli altri, così da creare un domani una società civile attiva e critica. Puntiamo alla formazione di personalita’ equilibrate che possano un giorno trasformare la realta’ in cui vivono, e non solo ricevere assistenza. L’educazione e’ in questo senso il primo strumento per ridurre il livello di violenza della societa’ e per rimuovere le cause che creano emarginazione e disagio. Inoltre cerchiamo di dare elementi di riflessione sul mondo esterno: per questo abbiamo realizzato ad esempio un’attività di conoscenza sulla raccolta dei rifiuti nel nostro quartiere, varie attività di informazione sulla salute, come quella sulla denge, una febbre emorragica molto diffusa qui. In quell’occasione abbiamo poi percorso le strade del quartiere per mostrare i risultati del nostro lavoro e responsabilizzare anche la gente del quartiere. Questi sono alcuni esempi del lavoro che ho iniziato da sola, ma a cui vorrei dare una continuità e una possibilità di sviluppo. Per questo ho coinvolto altre persone del quartiere che collaborano come insegnanti, cuoche e aiuto nelle pulizie. Con loro preparo una programmazione quindicinale riconosciuta dal segretariato municipale per l’educazione. Il sogno è quello di poter ampliare lo spazio e accogliere più bambini.”

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