La signora Aida mi viene incontro con un largo sorriso che vuol dire “benvenuto”. Son qui per fare due chiacchiere con questa tenace signora, ora vedova, che ha avuto la sfortuna di vedersi erigere il Muro di Separazione a pochi metri da casa. Voglio saperne di più della sua storia, della sua lotta per non andarsene dall’abitazione e dalla terra che da generazioni i membri delle sua famiglia si tramandano. “Hanno cominciato la costruzione del Muro circa 4 anni fa, e subito l’hanno finito”, racconta Aida con gli occhi spalancati, “ci hanno più volte chiesto di lasciare la casa, ma noi ci siamo rifiutati, questa è la nostra terra, la nostra sicurezza, perché mai dovremmo lasciarla? E dove me ne andrei?”. Ora l’imponente costruzione si staglia a qualche metro da casa sua, rubandole il paesaggio, il sole, l’aria. Suo marito è morto d’infarto due anni fa, i suoi figli sono sposati e vivono altrove, Aida è rimasta sola nella casa dei suoi antenati, e vive dando lezioni d’arabo-palestinese agli stranieri.
Dalle terre ora confiscate (senza compensazione ovvio) per la costruzione del Muro, la famiglia di Aida ricavava l’olio necessario per sè, e riusciva anche a venderlo, buon modo per arrotondare l’economia familiare: “Ora devo comprarlo”. L’anziana signora non può più incontrare i vicini che sono rimasti nella parte “israeliana” del Muro (eccetto rare occasioni nelle festività), perché per passare il posto di blocco del Muro serve il permesso delle autorità israeliane.
Il Muro di Separazione è una recinzione costituita da grigi blocchi di cemento alti otto metri, serrati gli uni agli altri, tra i quali svettano ad intervalli torrette militari. Attorno al muro si estende una “zona di sicurezza” di qualche metro, con strade per il pattugliamento, recinzioni, fossati. Iniziato nel giungo del 2002 e presentato come “barriera di sicurezza” per impedire attentati terroristici o attacchi da parte dei palestinesi, in realtà il Muro è costruito per oltre l’85% del suo tracciato all’interno dei Territori palestinesi. In questo modo Israele stabilisce di fatto i propri confini annettendo terra e risorse palestinesi (l’acqua in primo luogo), ed includendo i principali blocchi di colonie israeliane presenti in Cisgiordania. Basta una cartina che segnali il tracciato del Muro e le colonie per capire il vero significato di questo atto di prepotenza, condannato nel luglio del 2004 dalla Corte Internazionale di Giustizia in quanto palesemente contrario al diritto internazionale. Il Muro spezza la continuità territoriale della Cisgiordania, impedisce la libertà di movimento e imprigiona di fatto i palestinesi in grandi blocchi territoriali. Interi paesi vengono spezzati in due dal Muro, o privati delle terre coltivabili, altri addirittura circondati su tre lati. Per questi motivi è stato battezzato “Muro della vergogna”, o “Muro dell’Apartheid”.
Da quando il Muro è stato eretto, tutti i venerdì Aida, insieme a persone dell’Università di Betlemme, del Caritas Baby Hospital, del vicinato e altri, si trova alle 5 e mezzo per una passeggiata che fiancheggia il Muro, recitandolo con preghiere di speranza. “Così come per il muro di Berlino, mi auguro che un giorno anche questo cadrà, prima o poi, se Dio vuole”, afferma Aida, occhi al cielo, come per fasi ascoltare meglio dall’Eterno.
Anche io, cara signora, me lo auguro, inshallah. E se così sarà, allora un giorno ringrazieremo la tua tenacia e le tue preghiere.
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