Caschi Bianchi Italia
Le “impronte di pace’’ dei piccoli rom messinesi
A scuola di dialogo dai bambini italiani, rom, srilankesi e filippini, protagonisti di un’esperienza di integrazione a Messina.
Scritto da Laura Conti, ex casco bianco Apg23 in Israele/Palestina
Bambini italiani, rom, srilankesi e filippini, tutti uniti da interessi comuni come il gioco e il sorriso. Le loro impronte colorate sono simbolo della loro spensieratezza. Sono i protagonisti di un’esperienza di integrazione che per le due prime settimane di luglio ha coinvolto quaranta bambini e alcuni adolescenti a Messina. Il progetto si chiama “Impronte di Pace 2008”, in risposta al provvedimento del ministro degli Interni, Roberto Maroni, sulla raccolta delle impronte digitali nei campi nomadi italiani. “Bisogna partire dai più piccoli – spiega padre Antonio Palazzotto, viceparroco della chiesa di Santa Maria di Pompei e promotore dell’iniziativa -. Attraverso il loro linguaggio diretto si costruiscono forti rapporti di conoscenza reciproca”.
A scuola di dialogo dai bambini, dunque, se la comunicazione fra gli adulti non funziona. La realtà messinese non è molto diversa da quella di altre città: i due principali accampamenti rom sono cittadelle isolate e invalicabili. Almeno fino allo scorso 6 giugno, quando l’associazione culturale rom “Baxtalo drom” (“buona fortuna”) ha “simbolicamente” aperto le porte del villaggio Fatima San Ranieri, a ridosso della stazione ferroviaria, ai cittadini messinesi per una festa.
Una trentina di roulotte e casupole di lamiera, servizi igienici deteriorati, topi e scarafaggi dappertutto: è il panorama del piccolo villaggio rom costruito 20 anni fa a Messina.
“Con la giunta dell’ex sindaco Francantonio Genovese – spiega Patrizia Maiorana, vicepresidente dell’Arci Messina che opera dal 2002 con i nomadi – erano state avanzate alcune soluzioni abitative ma non si è fatto mai nulla”. Anche il nuovo primo cittadino, Giuseppe Buzzanca ha dimostrato sensibilità nei confronti dei problemi dei rom. Tuttavia, la bonifica del litorale sud di Messina, proposta dalla giunta Buzzanca, non sembra essere compatibile con la presenza dei circa 100 “zingari” che vivono fra la ferrovia e il mare. “Se costruiranno il ponte potremo finalmente affacciarci e vedere le nostre baracche”, commenta ironicamente Enrico R., 58 anni, uno degli anziani del campo nomadi.
A San Ranieri vivono soprattutto bambini e adolescenti, perciò la Caritas punta su scolarizzazione e coinvolgimento dei più giovani per stabilire vettori di dialogo tra italiani e rom. Provengono dai Balcani e fino al 1998 avevano un permesso di soggiorno umanitario. “Perso lo status di profughi – spiega la Maiorana – non hanno più i documenti necessari e nemmeno la possibilità di trovare un lavoro”. Per questo e altri motivi l’intera comunità vive di elemosina. Per due settimane, a luglio, i piccoli hanno lasciato il campo tutti i pomeriggi. Gli animatori, tutti con esperienza di servizio nel campo, sono rimasti colpiti nel vedere una tale sintonia tra bambini di diverse etnie. “Loro, certi problemi non se li fanno”, commenta >Ivana Risitano, una volontaria.
L’iniziativa della chiesa messinese e della Caritas diocesana è stata un’occasione preziosa sia per i bambini che per i genitori che hanno partecipato attivamente alla realizzazione del progetto. “C’è ancora molto da fare. I pregiudizi di anni non si cancellano in pochi giorni, del resto e così, anche il divario economico e sociale”, conclude suor Gabriella D’Agostino della Caritas.
L’iniziativa, sfruttando l’onda mediatica, ha puntato i riflettori su una realtà trascurata, quella dei nomadi messinesi e gli organizzatori sperano che le uniche impronte lasciate in queste settimane siano quelle colorate dei bimbi. Un lenzuolo bianco e le loro impronte di pace.
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