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Il volontariato in Kossovo: una storia già scritta e la necessità di una legge quadro

Cambiano le motivazioni dei giovani, e le modalità di sostegno, interno ed esterno, alle azioni di volontariato. In un paese dall’indipendenza giovane e dalla storia tormentata, il volontariato può aiutare la società civile a unirsi, analizzare e riflettere criticamente su se stessa, incoraggiare lo scambio, e rafforzare la comunità.

Scritto da Sara Cossu

Ovunque nel mondo, il volontariato è una pietra miliare all’interno di una società responsabile e responsabilizzata che non manca di senso civico, di un’interazione tra attori sociali pronti a stimolarla con nuove idee e nuovi input, protagonisti di attività fonti di miglioramento generalizzato e benefici condivisi.

Il volontariato non è certo assente nella storia dei Paesi socialisti dell’area balcanica, dove ricopre un ruolo tutt’altro che irrilevante in seno alla dottrina comunista: i volontari erano impiegati per la maggior parte nel settore agricolo e in quello industriale. Si trattava di un volontariato più o meno “obbligatorio”, di attività che pur non essendo frutto di una scelta individuale erano accettate all’unanimità in quanto considerate necessarie per perseguire il bene comune. Si pensi al caso limite dell’Albania. Durante gli anni della dittatura, il volontariato era reso obbligatorio e i volontari erano impiegati nella costruzione delle strade e nella loro pulizia. Oggi in Albania, lo spirito delle generazioni che hanno conosciuto il regime è quello di considerare il volontariato come vero e proprio lavoro forzato. Tuttavia esiste una giovanissima generazione che non conoscendo tale sfumatura distorta e credendo nella partecipazione attiva, inizia a ricreare un humus nel quale far fiorire e maturare una nuova storia del volontariato albanese.

Il Kossovo segue senza dubbio un percorso suo, ancora diverso. Gli anni novanta, a seguito dell’inasprimento delle politiche di Milosevic e la revoca dell’autonomia, hanno spinto la popolazione albanese del Kossovo a dar vita a un volontariato istituzionalizzato, sul quale si fondava un sistema parallelo di scuole e strutture sanitarie, finanziate per la maggior parte da donatori esterni. Si trattava di prestazioni gratuite e chi le forniva lo faceva senza essere in alcun modo retribuito. Senza tale forma di solidarietà diffusa, di puro spirito volontaristico che pulsava dentro la resistenza nonviolenta, questo sistema parallelo avrebbe avuto vita breve. Si pensi al network creato dall’Associazione Madre Teresa, che offriva supporto a chiunque fosse in difficoltà, spesso agli stessi serbi che vivevano in Kossovo.

Dopo il conflitto del 1999, con l’intervento delle organizzazioni internazionali e di numerosissime organizzazioni non governative, la responsabilità di quei servizi per i quali fino a poco tempo prima gli stessi albanesi si erano resi gratuitamente disponibili, è passata ad essere competenza di figure specifiche, professionalizzate e quindi retribuite. Sarebbe questo che ha causato la fine di quello spirito volontaristico sul quale si era poggiato e del quale si era alimentato tutto il sistema parallelo albanese.
Di quello spirito poco resta nelle nuove generazioni. Le motivazioni vanno ricercate nei cambiamenti profondi che il Kossovo ha vissuto e tutt’ora vive sul piano sociale, economico e politico. La tradizione del volontariato kossovaro è infatti il risultato di discriminazione e solidarietà etnica, dentro un sistema di oppressione generalizzata. In un clima di pace, stabilità e democrazia i giovani non sentono gli stessi stimoli, né avvertono la stessa necessità o dovere etico, che ha animato i loro genitori. A questa motivazione sicuramente più generale, bisogna aggiungere un sempre maggiore disinteresse del singolo verso la comunità allargata, il fatto che non ci sia più un consistente sostegno finanziario alle associazioni volontaristiche da parte dei connazionali all’estero, la mancanza di trasparenza di molte organizzazioni che creano un clima di sospetto e dubbi, tale da spingere tanti giovani a tenersi lontani.
Va inoltre sottolineato quanta disillusione e delusione siano state provocate dall’atteggiamento delle istituzioni attuali, che spesso ignorano o hanno completamente dimenticato chi abbia prestato servizio come volontario (medici, infermieri, insegnanti etc.) diventando quasi un eroe nei momenti più bui della politica repressiva di Milosevic.

In Kossovo circa la metà della popolazione ha meno di 25 anni. Si tratta dello stato più giovane in assoluto in Europa. Il 21% della popolazione è tra i 15 e i 25 anni. Di questi giovani il 68% dichiara di non aver mai svolto attività di volontariato. (1)
La restante percentuale è fatta di chi ha familiari coinvolti in prima linea nel sistema parallelo e per tale ragione si sente maggiormente interessato a dare il proprio contributo con attività di volontariato che spaziano in vari ambiti: educativo, sanitario, culturale, dialogo interetnico.
Per il 54 % dei giovani il volontariato ha perso quel valore assoluto che lo trasformava in un contributo essenziale allo sviluppo della comunità, della società in genere, alla difesa dei diritti umani, civili e politici. È diventato un “momento” per stringere nuove amicizie e per acquisire nuove competenze ed esperienze, magari da spendere nel mondo del lavoro (2). La demotivazione nasce sicuramente da un grande clima d’incertezza e probabilmente anche dall’assistenzialismo che hanno contribuito ad alimentare gli aiuti internazionali. Tutto ciò favorisce immobilismo, passività e disinteresse verso le “grandi tematiche”.

Alcune agenzie di grandi organizzazioni internazionali nonché fondazioni che operano nei Balcani, offrono invece sostegno alla realtà volontaristica e associativa dei giovani. Nel caso dell’Albania, si portano avanti azioni specifiche che mirano a rivedere l’attuale legge sul volontariato e a svecchiarla della veste che i decenni passati l’hanno obbligata a indossare. Si tratta di raccomandazioni, suggerimenti e azioni di supporto. Un percorso lungo, che trova già tanti sostenitori tra i giovanissimi.
Il Kossovo è tutt’oggi alla ricerca di una legge quadro sul volontariato, che nasca dal basso, dal diretto coinvolgimento degli attori sociali che animano il nascente panorama del neo-volontariato, sofferente di alcune problematiche. Tra le più urgenti: il mancato interesse da parte degli organi politici e la mancanza di un framework legislativo di riferimento sul quale fondare e si sviluppare un’infrastruttura precisa che meglio definisca il senso e gli obiettivi del volontariato, che inquadri la categoria dei volontari definendone in modo inequivocabile il profilo, che incoraggi il lavoro di rete e le relazioni, sfavorendo le attività dispersive e incoraggiando la creazione di un organo centrale, antenne periferiche con il compito di ottimizzare le attività giovanili. Tale legge dovrà anche proteggere il volontario a livello contrattuale, in modo da sfavorire lo sfruttamento perpetrato da tante realtà associative che nascondono il guadagno dietro l’etichetta del non profit.
Le organizzazioni internazionali e alcune fondazioni mobilitano i volontari, incoraggiano gli scambi e la discussione interna, aiutano a rilevare in modo analitico le problematiche, offrendo supporto per il loro superamento, diffondono la cultura del volontariato come modo per rafforzare la comunità, rendersi utili, sentirsi parte integrante della propria società. Organizzano workshop e training su “management, project proposal, strategic plans, networking, lobbying, advocacy” in vista della stesura della legge quadro, implementando specifici piani (si pensi al Kosovo Youth Action Plan – KYAP), finanziano ricerca e documentazione.
C’è tanto da fare per questo giovane Stato.

Note:

1. UNDP Kosovo, Youth. A new generation for a new Kosovo. Human development Report 2006, pp. 13, 80.
2. UNDP ibid. p. 81

Per un approfondimento:
– UN Volunteers, Developing a Volunteer Infrastructure – A Guidance Note
– UN Volunteers, Expert Working Group Meeting – On Volunteerism & Social Development, 1999

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