Gani ha 10 anni e appartiene alla comunità turca di Prizren. Oggi indossa un paio di eleganti pantaloni neri, camicia bianca e gilet. I capelli freschi di taglio e un sorriso di chi ha capito che presto potrà smettere di sentirsi semplicemente un bambino. È il primo pomeriggio di un venerdì di giugno. Il gesto di sua madre è rimasto sulla sua fronte, in un’impronta fatta di cenere. Prizren, Kossovo. Il letto sul quale viene sdraiato il bambino subito dopo la circoncisione.
Quel gesto materno sempre uguale a se stesso sulla fronte di tanti figli di generazioni e generazioni, ha dato il via ai festeggiamenti in onore della sua circoncisione, sunet. Sarà eseguita da un medico in un’attrezzata struttura ospedaliera, e non in casa come avveniva un tempo, quando a prendersi cura di questo passaggio fondamentale della vita di ogni maschietto erano uomini, spesso barbieri, muniti di arnesi metallici messi a bollire. Succederà sabato, fra una settimana, dopo canti e balli preparatori ad accoglierlo in grande stile e a pieno titolo nella umma islamica. Dall’ospedale verrà portato a casa dove sarà allestito un sontuoso letto a baldacchino (sunetlek krevet) sovrastato dall’occhio di Fatima (nazarlek) a proteggerlo dal malocchio, perché possa riprendersi dall’anestesia per il pranzo finale con 350 invitati.
A differenza di quello di tanti bambini musulmani che verranno circoncisi in Kossovo, Iraq, Afghanistan e tanti altri luoghi al mondo, il banchetto sarà degno di un vero Califfo Abbaside, di quella splendida Baghdad medievale depredata dei suoi segni di splendore secolare da guerre recenti. Ogni invitato contribuirà facendo al bambino un dono in denaro.
La strada dove vive Gani è stata tirata a lucido da tutti i suoi abitanti, a suon di secchiate. I balconi sono stati riempiti di fiori, i vetri alle finestre puliti con devozione, le pareti ritinteggiate, le ringhiere riverniciate. Tutto questo per lui. Per questo bambino che fino alla sera prima giocava a pallone tra urla e risate con gli altri bambini del vicinato, tutti scalzi e sudati come scugnizzi dei Quartieri Spagnoli.
Il suono di un tradizionale strumento a percussione (def o daire) risuona già a qualche isolato di distanza e tutta la via è un tripudio dorato di abiti kosovari tradizionali (dolama) che stavolta non conoscono differenze di etnie, anche se solo le bambine e le donne sposate possono indossarli. Un via vai di tessuti di ricchi fili intrecciati in pregiati ricami floreali, dove il gilet (sırmalı yelek) diventa un gioiello prezioso, accompagnato da cinture (sırmalı kolan), orecchini, colliers e catene (zinetler), anelli, con incastonate pietre, perle e monete fuori corso di imperi e regni che non esistono più, medaglie d’oro decorate da immagini tondeggianti che nascondono morbide lettere arabe e simbologie islamiche. Il make-up e le acconciature di boccoli spruzzate di brillantini e accompagnate da piccoli copricapi (tasfes) e fermagli d’oro e d’argento, borsette di lustrini e ventagli di piume bianche sono il tocco finale.
C’è chi invece indossa un abito da cocktail di raso, tulle o taffetas, disseminato di paillettes, chi un sobrio tailleur, chi, come vuole l’usanza, durante la festa si cambia d’abito continuamente. E ognuno di quegli abiti è fatto di drappeggi e diventa degno delle dame alla Corte del Re Sole. C’è la promessa sposa che con il bouquet in mano deve inaugurare il suo abito bianco durante un sunet, come detta la tradizione. Qualche bambina con le gambette polverose, si avvicina furtivamente richiamata dai rumori senza badare troppo all’apparenza. C’è chi è venuta dalla Germania per prender parte alla cerimonia.
Tutto è sontuoso e sa di Barocco. Tutti i particolari sono ricercati minuziosamente. Le donne entrano ed escono come pavoni dagli spazi che sono stai messi a disposizione in tutte le case più vicine a quella di Gani. Una cucina dove preparare le pietanze, una cantina che fa da backstage, dove rifornirsi di bevande e dolci da servire in vassoi d’argento a chi si riposa tra una danza e l’altra, uno spazio dove ballare prese per mano le danze tradizionali
(horo kolo) con la suonatrice rom a gambe incrociate che ne detta il ritmo per cinquanta euro, reclamando di tanto in tanto una pausa sigaretta e un sorso di Red Bull.
Le donne fanno volteggiare il fazzoletto (mendil) che stringono in mano con eleganza e civetteria, trasformandolo in un’onda spumeggiante, e se non ballano da sole, diventano le ultime di un cerchio di danzatrici mai chiuso, che accoglie chiunque decida di unirsi, vincendo il caldo e la timidezza. Alle più anziane, con splendenti visi di rughe incorniciati da copricapi di ricami e orli di merletto (shamija o tulbent), sono riservati i posti d’onore, dove regna l’ombra a protezione del sole intenso di giugno.
È un’inaugurazione in rosa fatta di sole donne. Nemmeno il padre del bambino è ammesso negli spazi riservati ai festeggiamenti d’apertura.
Agli uomini festanti verrà affidata una delle giornate immediatamente successive e allora le donne potranno soltanto sbirciare dall’uscio senza prenderne parte. E poi, fino al sabato successivo, giorno della circoncisione, canti e balli per tutti, maschi e femmine che siano.
Gani si trasforma in un piccolo sultano, sua madre e sua sorella, le zie, le cugine, le vicine di casa, anche le più piccole, sono tutte splendide principesse pronte a festeggiarlo.
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