La coscienza ecologica è un valore che difficilmente si trova in Palestina: non esiste la raccolta differenziata, né l’idea del risparmio energetico e i prodotti riciclabili sono una rarità. L’unica vera capacità di riutilizzo delle risorse è legata al mandato britannico, in ogni negozio dove puoi comprare una birra paghi un deposito per la bottiglia di vetro che ti viene restituito quando porti indietro la bottiglia vuota, il vecchio vuoto che in Italia esisteva per le bottiglie del latte. La situazione ambientale palestinese sta subendo un rapido degrado, come risultato di una serie di fattori: l’aumento della popolazione urbana, l’industrializzazione, i cambiamenti climatici e il controllo da parte israeliana delle risorse naturali, come l’acqua.
In questo contesto, dove il consumo critico è solo un’idea per i ricchi paesi occidentali, sta nascendo un movimento ecologico che dagli anni ’80 è presente in svariati paesi, la permacultura. Il nome deriva da due parole permanent agriculture (agricoltura permanente) e si può definire come un modello d’agricoltura che attraverso un’attenta progettazione delle fattorie, dalla decisione di come saranno disposte le colture fino al tipo di energia da utilizzare, cerca di avere un impatto di basso profilo con l’ambiente in cui s’inserisce. Nata dall’idea dell’australiano Bill Mollison, scienziato e naturalista, si sviluppa nel corso degli anni ‘70 con il supporto di David Holgrem, altro ecologista australiano. La permacultura si prefigge la costruzione d’insediamenti umani che rispettino il più possibile gli ecosistemi nei quali si inseriscono. Il concetto di produzione massimizzata dell’agricoltura moderna è totalmente estraneo all’idea di Mollison, la teoria vuole che si sviluppino sistemi produttivi che siano sostenibili e durevoli nel tempo, che cioè si possano rinnovare con un basso consumo d’energia. Per ottenere questo si tenta di seguire i cicli naturali di produzione, relegando il profitto a un piano secondario.
Nel nord della Cisgiordania, nel piccolo villaggio di Marda, vi è una fattoria che segue i principi della permacultura. Marda si trova in una valle. Sulla collina che sovrasta il villaggio sono all’opera grandi escavatrici per l’ampliamento della colonia israeliana Ariel. Murad, il proprietario della fattoria, la cui estensione supera di poco l’ettaro, dice: “Sono venuto a conoscenza della permacultura nel 1993: qui nel villaggio c’era una fattoria nella quale si tenevano corsi per apprendere gli elementi base (Permaculture Design Course). Sin da principio sono stato molto interessato. Dopo aver seguito due cicli di incontri ho iniziato a lavorare nella fattoria, ma la mia famiglia aveva bisogno di un supporto economico, quindi nel 2001 sono andato negli USA per lavorare. Non facevo altro che sognare di tornare qui a lavorare la mia terra. Nel 2006 sono tornato, la fattoria non esisteva più, ma io caparbiamente ho voluto ricominciare. Sono partito da niente, giusto con tre alberi, ho costruito la serra per le verdure e da allora le coltivo seguendo metodi biologici.”.
Murad ospita periodicamente volontari internazionali che, oltre a dare una mano nella gestione della fattoria, seguono una serie di lezioni di introduzione alla permacultura. Jesse è venuto da Vancouver, con sua moglie, per tenere un corso. Racconta come si è avvicinato alla permacultura due anni e mezzo fa: “Lavoravo in una ditta che produceva alimenti biologici, ma mi risultava evidente che molti dei processi che monitoravo quotidianamente erano ben lontani dai principi a cui si ispiravano. Mi capitò fra le mani il libro Introduzione alla Permacultura. Dopo aver letto le prime pagine, sentivo di condividere tutto quello che c’era scritto. Iniziò per me come un hobby, disegnavo fattorie efficienti e che rispettano alcuni semplici concetti ecologici. A poco, a poco mi rendevo conto che non era più un passatempo, ma che poteva diventare il mio stile di vita, quindi iniziai a viaggiare per studiare il pianeta e la natura, per poter progettare nuove fattorie sempre più integrate con gli ecosistemi locali.”.
Questo stile di vita contadina è solo il primo passo che si propongono Mollison e Holgrem. Il compito che si prefiggono è ben più arduo, vogliono educare la società ad usare l’energia nel miglior modo possibile, vogliono creare una coscienza verde. Jesse conclude “La fattoria è un passaggio, si possono progettare città o addirittura nazioni seguendo i principi della permacultura, cioè prendendosi cura dell’ambiente e delle persone che vi abitano.
Tra i volontari che hanno seguito un corso di permacultura a Marda, c’è un gruppo di ragazzi inglesi, che sono sicuramente meno teorici, ma egualmente convinti che la permacultura non sia un’utopia. Thomas è vissuto un paio d’anni nella foresta colombiana e dopo aver partecipato alla creazione di tre fattorie in Sud-america ha deciso di riprovarci in una cittadina vicino a Betlemme: “Abbiamo deciso di relizzare questa fattoria in continuità con il progetto di un ostello ecologico, che alcuni di noi avevano intrapreso sul territorio un paio d’anni fa. Dopo aver trovato un bel pezzetto di terra ci siamo messi all’opera, per ora stiamo ristrutturando la casa. Abbiamo ideato e ora stiamo istallando un sistema per il riciclo delle acque grigie.
Inoltre sono orgoglioso di dire che abbiamo seminato la settimana scorsa e ci sono già i primi germogli.” Alice, ricercatrice nel campo delle risorse idriche e una dei primi inquilini della nuova fattoria, pone l’accento sulla sensibilizzazione sul territorio: “Bustan Qaraqaa (il giardino delle tartarughe), questo è il nome che abbiamo dato alla nostra piccola valle, dovrà essere un modello per mostrare ai contadini locali che permacultura rappresenta una scelta economica, facilmente adattabile alle proprie esigenze e che può portare a risultati significativi se adottata adeguatamente. Per esempio la riscoperta di antiche pratiche per la raccolta delle acque, potrebbe essere una risposta forte all’aumento della desertificazione in atto in questa zona.”.Bustan Qaraqaa sta muovendo i primi passi e cerca volontari che vogliano vivere un’esperienza a contatto con la natura, ma che soprattutto credano nella possibilità di resistere all’occupazione israeliana con un metodo non convenzionale, l’attivismo ecologista.
http://www.greenintifada.blogspot.com
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