Caschi Bianchi Tanzania
Ugali quotidiano
I diritti fondamentali ad avere una casa, due pasti al giorno, una famiglia dove crescere serenamente, e dove ricevere affetto; il diritto a un’istruzione e a un lavoro stabile, non sono sempre garantiti in questa parte di mondo. Il centro nutrizionale di Ngome vuole trovare una risposta.
Scritto da Simone Ceciliani
“Hali yao siyo ngumu sana…”. La salute dei tuoi bambini non è molto grave. Non è stato facile dirglielo. Non è mai facile negare aiuto a una persona che ne ha bisogno con la motivazione che ci sono altri che stanno ancora peggio. E sono queste le persone per cui il centro nutrizionale è stato pensato. Siamo andati a spiegarglielo l’altra mattina io e Luca. Lei è una delle tante mamme di Semtema, uno, se non il, quartiere più povero di Iringa. E come molte mamme di Semtema i problemi da affrontare ogni giorno sono tanti, a partire dalla situazione familiare, spesso disastrosa. Senza marito, con due figli a carico, peraltro non suoi ma della sorella minore, scappata via, ha deciso su consiglio del mwenyekiti di rivolgersi a noi.
È una mattina soleggiata, ci aggiriamo per Semtema un po’ disorientati, cercando la casa. La via principale di Semtema è come l’emblema di questo piccolo quartiere. Da una parte le baracche/mercato dove puoi trovare di tutto, dalle schede telefoniche alle banane; dall’altra i kilabu, i pub del luogo dove la bevanda locale per eccellenza, il pombe, aiuta molti a dimenticare i parecchi problemi che ogni giorno devono affrontare. Ci addentriamo nei vicoletti. Sono tutti uguali, tutti rossi di terra, lo stesso colore delle abitazioni che sembrano fare un tutt’uno con la polvere sottostante, sembrano sorgere da quel rosso. Qua e là orticelli e piccoli campi, dove trovi la base dell’alimentazione locale: mais, fagioli e verdure varie. Il confine tra città e campagna qui a Iringa non è ben definito, e l’attaccamento alla terra rimane comunque forte. Non c’è famiglia che non abbia il suo piccolo appezzamento da curare. Ad ogni angolo che svoltiamo c’è qualche bambino che ci guarda incuriosito, ci saluta, ci sorride. Watoto vipi mambo? Poa! Finalmente troviamo la casa, fatta di terra, acqua e paglia, come molte qui da queste parti. Hodi? Karibu! Entriamo. L’ambiente è semplicissimo. Due stanze, niente finestre, poca luce. Sedie e tavolino sono le uniche cose che riempiono quello che è il salotto. Dietro la tendina di separazione c’è la stanza da letto. Niente cucina: il cibo lo si prepara fuori. Ci sediamo, spieghiamo la situazione, spieghiamo che per i suoi bimbi deve rivolgersi a qualcun altro. Lei accetta, non so se ci ha veramente capiti, ma ci ringrazia. E io intanto, guardandomi intorno mi domando cosa significhi nascere e vivere qui. Me lo chiedo spesso. Non ho risposte. Non sono povero, non sono tanzaniano, non potrò mai capire cosa vuol dire nascere senza nulla e vivere con così poco. E mi ritrovo qui a dire a questa mamma “No, non posso far nulla per te…”.
Noi siamo abituati a dar per scontate molte cose perché molte cose le consideriamo, a volte giustamente, altre volte no, come dovute: nati fra le coccole di mamma e papà, cresciuti con giochini di ogni tipo, con la possibilità di divertirci, di istruirci, di poter scegliere della nostra vita, del nostro futuro, di poter essere veramente indipendenti. In questa parte di Mondo invece, anche l’ugali quotidiano (la polenta che mangiano ogni giorno, sempre e solo quella) non è sempre assicurata. I bambini non hanno giocattoli, e soprattutto spesso non hanno genitori. In questa parte di mondo, i diritti sacrosanti ad avere una casa, due pasti tutti i giorni, ad avere una famiglia dove crescere serenamente, e dove ricevere affetto; il diritto di ricevere un’istruzione valida e un lavoro stabile, non sono sempre garantiti. E girando per Semtema te ne accorgi subito. Quale futuro per queste mamme, sole con i loro figli; quali progetti? Per alcune di loro, il progetto giornaliero consiste nello sfamare i propri bambini che, nei casi più estremi possono anche essere a rischio vita.
Ed è a questi bimbi con le rispettive mamme che il centro nutrizionale di Ngome, gestito dalla Papa Giovanni, vuole dare una mano.
Pochi capelli, sguardo spento, incapacità di reagire agli stimoli, e in alcuni casi incapacità di piangere perché non ci sono le forze. Oggi guardando i loro visi sorridenti non lo diresti, ma molti di loro per questi momenti neri ci sono passati. Li incontriamo tre volte a settimana al centro; vengono per la mensa e noi teniamo loro compagnia. Una volta al mese invece ci spostiamo noi, andandoli a visitare direttamente a casa. C’è infine il sacchetto del sabato che tutte le mamme ricevono: patate, fagioli, zucchero e sembe (farina di mais) per andare avanti durante la settimana. Le mamme sono undici e si va dalle ragazzi madri (la mama Dayness per esempio ha 23 anni e già due figli) fino alle nonne con i nipotini. Ognuna di loro ha una storia diversa, ma c’è almeno una cosa che le accomuna tutte ed è la situazione familiare problematica.
Molte di loro sono state abbandonate dai loro mariti. E per delle donne sole diventa veramente dura. Perché c’è da lavorare il campo, c’è da fare la legna, c’è da tirar su qualche soldo per pagarsi l’affitto e il necessario per vivere, e soprattutto ci sono i bambini. Inutile dire che per una madre, vedere il proprio figlio malnutrito sia la cosa più triste e avvilente che possa esistere, una cosa che ti toglie anche la speranza se non la capacità di amare. Ecco quindi che al di là della mensa e dei sacchetti è il rapporto con queste mamme e con i loro bimbi la cosa fondamentale, ed è l’unico luogo, penso, dove veramente possiamo cercare di donare qualcosa. Riguardo all’aiuto materiale, beh quello è semplicemente un restituire ciò che è loro dovuto, un diritto sacrosanto, diritto di cui sono state private dal “sistema mondo”, che elargisce a noi occidentali l’80% delle risorse planetarie, lasciando agli altri le briciole. Tirando le somme poi finisci sempre per ricevere, in questo rapporto coi poveri, molto più di quello che puoi dare: è difficile descrivere i sorrisi, l’allegria, l’accoglienza di questi bambini; se incontri Upendo per strada, lei ti corre incontro abbracciandoti, ad Amani piace salirti sulle spalle, Veronica si diverte a “fare il giro” come dice lei, mente Isahia, il bimbo più timido del mondo, è difficile da avvicinare; Doto e Kulwa sono due gemellini stupendi e tranquilloni, mentre la Dayness quando si scioglie diventa una chiacchierona. Dani infine è l’ultimo arrivato, è piccolo e quindi sempre infagottato sulla schiena della mamma: ancora non parla, ma quello che ti deve dire te lo comunica coi suoi occhioni. La loro accoglienza è grande e loro che non hanno niente, non hanno che questo dono preziosissimo da farti, accoglienza verso di te, mzungu, uomo bianco venuto da lontano per abbracciare questa realtà e che ti ritrovi alla fine ad essere avvolto dal suo abbraccio.
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