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Caschi Bianchi Kosovo

I serbi: un testamento spirituale e un no all’indipendenza del Kossovo

Volti e luoghi della memoria storica serba in territorio kossovaro. I serbi rimasti in Kossovo dopo i bombardamenti Nato non dimenticano. Le parole di uno di loro.

Scritto da Sara Cossu

La persona intervistata mi ha chiesto di restare nell’anonimato. Potrebbe trattarsi di un ragazzo serbo che vive in un’enclave come Gorazdevac. O del giardiniere di uno dei monasteri medievali patrimonio dell’UNESCO presidiati dalla KFOR. Potrebbe essere un ristoratore di Strpce, un albergatore di Bresovica, un cittadino di Mitrovica della parte al di là del fiume Ibar, che separa i serbi dagli albanesi. Potrebbe trattarsi di un operaio che restaura una delle tante chiese ortodosse distrutte e profanate, di un politico, di un religioso, di un intellettuale. Di uno che lavora con gli internazionali nei tanti progetti di dialogo interetnico.
Tutti loro conoscono la storia, i passaggi fondamentali che fanno di quest’angolo dei Balcani un motivo per cui lottare, una questione di principio.
Si tratta sicuramente di uno dei serbi che, a differenza della maggioranza, con l’arrivo della NATO ha deciso di continuare a vivere in Kossovo.

Il 17 febbraio il Kossovo ha dichiarato l’indipendenza unilaterale da Belgrado. I serbi la considerano una dichiarazione illegittima sotto il profilo del diritto internazionale e una violazione alla sovranità di uno Stato. Parlano di storica ingiustizia che mai accetteranno. Perché perdere il Kossovo significa perdere il cuore della Serbia? 

Il Sud della Serbia centrale e il Kossovo i Metohija sono il cuore storico, culturale e religioso dei serbi. Si tratta della culla del nostro popolo, della nostra civiltà. La Serbia medievale mette radici in queste terre. Dal XIII secolo Peć è divenuta sede della Chiesa Ortodossa Serba. San Sava ha ricevuto dal Patriarca di Costantinopoli la benedizione che ha reso la Chiesa Serba indipendente. Ancora oggi il patriarca di Belgrado porta il titolo di “Arcivescovo di Peć”. Metohija significa “proprietà del monastero”. I serbi hanno sempre insistito perché questa parola del nome continuasse ad essere parte integrante del nome del territorio noto in Occidente semplicemente come Kossovo. Metohija non viene più usato, volutamente, per cancellare le radici serbe. Noi siamo testimoni ogni giorno di questa epurazione dei toponimi. Il 90 % dei nomi erano serbi. Gli albanesi li hanno cambiati tutti. Nelle carte geografiche, nei segnali stradali, nei nomi delle vie. Dečan è diventato Deçan, Srbica è diventato Skenderaj e potrei citarne tantissimi altri. Si pensi a Peć: il nome ricorda gli eremiti, alcuni dei quali vivevano nelle grotte della Valle Rugova. Pejë, la versione rivista in chiave albanese, non ha niente a che vedere con il significato insito nel nome stesso.
Nelle guide turistiche redatte dagli albanesi i nostri siti religiosi sono descritti come siti degli Illiri, un’antichissima popolazione dalla quale gli albanesi dicono di essere diretti discendenti. È impossibile dire che nei Balcani ci sia un popolo diretto discendete degli Illiri! È un’invenzione storica degli albanesi, molto recente, di circa 50 anni. In Italia c’è un popolo che può dirsi diretto discendente degli Etruschi o dei Romani così mischiati come siete?
È una questione molto politicizzata. C’è un processo di purificazione etnica che investe la lingua, le persone, i toponimi. Ma è solo l’ultima fase di un processo che dura secoli. Il Kossovo è il secondo paese in Europa, dopo la Bosnia, con il maggior numero di musulmani. Per i serbi ortodossi la storia è stata segnata dalla battaglia di Kossovo-Polje, la Piana dei merli, nel 1389, storica battaglia contro gli ottomani. Il capo dei cavalieri serbi, il principe San Lazzaro, è morto in battaglia da martire. La tradizione popolare vuole che in quell’occasione San Lazzaro dovesse scegliere tra impero celeste e impero terrestre, e scelse il primo. Questa scelta è un testamento spirituale per il Kossovo. Questa battaglia mette fine alla Serbia medievale. Durante il periodo dell’impero ottomano i serbi sono vissuti con l’idea del Kossovo nel cuore. Il Kossovo è per i serbi come Gerusalemme per i Giudei, come La Mecca per i musulmani, come il Vaticano per i cattolici.

Anche le giovani generazioni hanno sfilato per le vie di Belgrado manifestando contro l’indipendenza. Quanta sincerità e quanta manipolazione c’è in tutto questo?

Pensate che l’Italia potrebbe mai perdere Roma? Avete certamente tante altre belle città, Venezia etc, ma Roma? Ci riuscirebbero i giovani in Italia a pensare all’Italia senza Roma? Credo proprio di no. Per noi è altrettanto inaccettabile pensare alla Serbia senza il Kossovo. Il Kossovo è parte della nostra identità. Questa perdita sarebbe terribile. Lo sarebbe per i serbi di tutte le generazioni. La religione è sempre stata strumentalizzata, ma qui c’è solo sincerità. I giovani di Belgrado hanno manifestato con il cuore e in modo pacifico. Gli episodi di violenza sono stati casi isolati.

Con la missione Eulex l’Unione Europea crea di fatto un protettorato europeo in Kossovo. Che ne sarà della membership europea della Serbia dopo questa contestatissima imposizione? Ingresso nell’Unione Europea da un lato, indipendenza dall’altra. Vivete questo come un ricatto della diplomazia occidentale?
Tutti i serbi considerano la missione Eulex una violenza. Veniamo trattati da criminali. Siamo stati dipinti così. Siamo stati bombardati. Ma noi i bombardamenti NATO non li dimentichiamo. I nostri morti, i nostri luoghi di culto distrutti, le nostre case bruciate, la gente che è scappata. Questa missione europea è la continuazione di un percorso della politica internazionale di prevaricazione assoluta e violenta. Gli Stati Uniti hanno il potere. Esiste un centro di potere e gli altri eseguono. I Paesi sconfitti durante la seconda guerra mondiale non hanno una politica estera. Eseguono ciò che i centri del potere mondiale prescrivono.

Le dimissioni dell’anti-europeo Koštunica, ormai ex premier serbo, e le posizioni del neopresidente filo-europeo Tadić; si rifletteranno sulla questione dell’indipendenza? 

I giochi diplomatici e di politica interna non sono facili da comprendere. Quello che importa è che Tadić abbia chiara l’illegittimità della dichiarazione d’indipendenza. Per tutti noi questo è ciò che conta. E comunque dobbiamo avere paura di isolarci nuovamente dall’Europa. Ma non dobbiamo perdere il Kossovo. Nel mondo politico si può continuare la battaglia diplomatica per non perdere il cuore del nostro popolo e allo stesso tempo per restare dentro l’Europa. Noi siamo necessari all’Unione Europea. Siamo un ponte con la Russia, che a noi è più vicina per cultura e tradizioni. La Serbia necessita di una realpolitik, cosa che l’ha sempre contraddistinta. Siamo un ponte dinamico, nei Balcani. In una prospettiva europea siamo una cerniera tra culture diverse. Questo l’Unione Europea lo sa bene. C’è la possibilità di costruire un buon rapporto con l’Europa, continuare a stare vicini alla Russia e mantenere il Kossovo. Si può. Tutto si può.

Sulle elezioni previste per l’11 maggio in Serbia cala il cono d’ombra dell’indipendenza. Il Kossovo sarà il cavallo di battaglia della campagna elettorale?
Noi serbi del Kossovo siamo tagliati fuori da questi eventi politici, nella loro evoluzione quotidiana. Che succederà in questa battaglia politica… staremo a vedere. Preghiamo perché si faccia un politica di buoni rapporti. Il popolo serbo ha sofferto per il comunismo, per il radicalismo albanese finanziato dal crimine organizzato che è una mafia potentissima, ed ha sofferto per i poteri forti della diplomazia internazionale. Il primo Paese a riconoscere l’indipendenza non a caso è stato l’Afghanistan, primo produttore al mondo di eroina, che si riversa nelle piazze europee. Quanti mali: comunismo, radicalismo e postcomunismo. Il popolo serbo ha sofferto del regime di Milošević, non si creda il contrario. Non hanno sofferto solo gli albanesi.
Ma per capire il problema dei rapporti tra serbi e albanesi in Kossovo bisogna andare indietro di 300 anni. Sotto il dominio ottomano molti cristiani si convertirono all’Islam. Sia cattolici che ortodossi. I convertiti divennero strumenti nelle mani degli oppressori musulmani per controllare il territorio. Istanbul non poteva maltrattare direttamente i suoi sudditi agli occhi delle potenze occidentali di allora e usava i convertiti. Qui iniziarono i problemi tra albanesi e serbi. Molti albanesi musulmani di oggi hanno come antenati serbi convertiti. E poiché storicamente gli albanesi sono musulmani, ecco che è avvenuta l’albanizzazione dei serbi. L’Impero ottomano ha usato i curdi per colpire gli armeni, gli albensi per colpire i serbi.

I serbi non hanno accettato di far parte della Commissione costituzionale che sta elaborando la Costituzione della Repubblica del Kossovo. Non rischiano l’isolamento?

Questi episodi non sono chiari. Non accettiamo cooperazione se questa vuol dire indipendenza e perdita del Kossovo. La cooperazione in futuro sarà necessaria. I serbi che vivono in questo territorio devono cooperare con i locali albanesi. Come questo avverrà, io non so dirlo. Sarà difficile. Noi temiamo un Paese governato da criminali. Ci sono 400.000 fucili illegali in Kossovo. L’80% dell’eroina che arriva in Europa passa per il Kossovo. I capi dell’UÇK e alcuni capi mafiosi sono ai vertici della politica, sono ministri. Non possiamo accettarlo.

Alla Chiesa di Serbia il Pacchetto Ahtisaari, che si dice verrà ripreso dalla Costituzione del Kossovo, assicura protezione, diritti e immunità. Monasteri, chiese, siti religiosi continueranno a far parte della Chiesa di Belgrado. Sarà realmente così?

Le leggi kosovare elaborate in questi ultimi anni dagli attori internazionali e dai loro giuristi sono le migliori d’Europa. Ma quando si tratta di mettere in pratica ciò che è stato messo per iscritto, tutto cambia radicalmente. Se si vuole ottenere qualcosa si deve parlare con i padrini della mafia albanese kossovara. Senza la presenza di Belgrado, senza la sorveglianza delle forze internazionali, viviamo nell’incertezza, abbiamo paura.

Il Kossovo indipendente sarà in grado di assicurare la protezione e l’inviolabilità di siti e l’incolumità dei membri della Chiesa Ortodossa?

No. Non ne è capace. Questa società è assolutamente incapace. Quest’indipendenza non interessa in fondo nemmeno agli albanesi. Interessa ai centri del potere mondiale. È strategicamente fondamentale nello scacchiere internazionale. Non possiamo immaginare la nostra vita senza la protezione dei militari internazionali. Siamo protetti dalla KFOR e dalla NATO, che prendono parte ai giochi di equilibrio mondiale. Accettiamo la KFOR perché ufficialmente è arrivata come forza di pace. I militari presidiano i nostri siti che andrebbero distrutti, proteggono la nostra gente. Anche se la Nato qua sostiene l’indipendenza. Non è mai stata ufficializzata questa posizione, ma è così. La storia è un grande paradosso, è piena di paradossi. E questo è uno di quelli. Ci facciamo proteggere da chi vuole l’indipendenza!

Con la dichiarazione d’indipendenza molti poliziotti serbi della KPS (Kossovo Police Service) si sono dimessi. Non è pericolosa per la sicurezza dei serbi una polizia monoetnica composta solo da albanesi?

Anche questi sono eventi contingenti troppo recenti per collocarli su una scala più ampia e comprenderli nella loro dimensione più a lungo termine.

Gli eventi di Mitrovica, l’attacco alle forze UNMIK e KFOR, la morte di un agente… quali saranno gli sviluppi?

Tutto questo è stato frutto di tensioni portate allo stremo. I serbi hanno paura che tutto sarà imposto con la forza. Il 17 marzo del 2004 sono state bruciate 4 chiese, 20 persone sono morte, 1000 serbi sono fuggiti. Non a caso i disordini sono successi in questo giorno. A Mitrovica i serbi aspettavano i soldati dalla Serbia che non sono arrivati. Sono state arrestate tante donne, una di queste aspetta un bambino.

Vivere in un’enclave, vivere solo in una parte della città, al di là del fiume Ibar, luoghi dove continua a circolare la moneta della Serbia, dove non si parla albanese, vivere costantemente presidiati da forze militari, che cosa significa?

Gjakovica era una strada serba presidiata dai militari. I monasteri ortodossi in epoca ottomana erano protetti dai militari serbi. Per noi tutto ciò è assolutamente normale. I problemi di sicurezza non iniziano nel 1990 con Milošević. A Dečan ci sono solo due donne serbe. Coraggiosissime hanno fatto rientro in una zona che è il centro dell’estremismo albanese. Vogliamo che i serbi facciano rientro in Kossovo. È importante per preservare un’identità. È ancora più importante della questione dello status. I serbi devono lavorare anche a livelli bassissimi, tra la gente, non solo a livello della diplomazia. Devono far ritorno in Kossovo.

C’è una stella anche per i serbi nella nuova bandiera…
Questa bandiera manco gli albanesi la vogliono! Vogliono quella con l’aquila bifronte, che tra le altre cose è un simbolo anch’esso dei serbi! Ci ricorda Giorgio Kastrioti Skenderberg, un cristiano ortodosso, storico eroe.

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