Caschi Bianchi Kosovo
La Serbia di fronte all’indipendenza del Kossovo
La complicata situazione a Belgrado nei giorni immediatamente successivi alla dichiarazione di indipendenza del Kossovo e ad una grande manifestazione serba.
Anna Arcuri (Casco Bianco a Belgrado, Serbia)
Scritto da Anna Arcuri
Sono le 07:00 di un venerdì come tanti altri, la città si è svegliata come tutti i giorni e con lei anch’io, che sono ormai al mio sesto mese di servizio civile qui in Serbia. Ma c’è qualcosa di diverso in questa giornata, infatti nei giorni scorsi, il 21 febbraio in particolare, Belgrado è stata teatro della grande manifestazione titolata “Kosovo è Serbia”, che voleva pronunciare il suo dissenso verso la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo dalla Serbia.
Le immagini di questo avvenimento hanno fatto il giro del mondo: da un lato le molte persone che tenendo in mano candele accese pregavano per i serbi del Kosovo di fronte al tempio dedicato a San Sava, e dall’altro lato immagini di violenza contro le ambasciate di alcuni paesi, tra cui Stati Uniti e Croazia. I segni di questa notte sono ancora visibili,di fronte al tempio sono state lasciate dai fedeli candele e immaginette sacre mentre in via Knez Milosa le vetrine rotte e i palazzi anneriti dalle fiamme testimoniano la violenza che si è scatenata qualche ora prima.
É molto difficile per me capire a fondo questa situazione, complicata di per sè, capire i due volti di questa Serbia, che sette mesi fa, dall’Italia sembrava più comprensibile monolitica. A volte si ha quasi l’impressione che la città sia impazzita da un giorno con l’altro, e che i mille volti di Belgrado, città di stile occidentale, ma nella quale convivono caratteristiche dell’ est Europa e del passato dominio turco, non riescano più ad andare d’accordo
In questi giorni ho cercato di informarmi, capire, leggere, ascoltare le persone attorno a me, intuire le loro opinioni, speranze e timori, sono quindi arrivata ad un vero surplus di input che si sono accumulati nella mia mente, mai come ora in frenetico movimento. Non credo di essere riuscita a capire molto di più rispetto a prima, d’altronde questa non è la mia nazione, non è la mia storia e non credo di poter esprimere un’idea e un’opinione chiara e nitida su questi avvenimenti, imoltre non credo nemmeno sia compito mio.
Però…..sono convinta che da qualsiasi esperienza sia possibile trarre un insegnamento e così ho cercato di fare dopo queste turbolente giornate. In primo luogo ho avuto la possibilità di sentire più vicine le persone che mi stanno attorno, capire i loro sentimenti, capire cosa vuol dire essere nato e cresciuto in Serbia, avere vissuto bombardamenti, dittature ed embarghi ma continuare a sperare e a costruire giorno per giorno il proprio futuro.
Inoltre penso di aver appreso ancor di più l’importanza del servizio che sto svolgendo. Non mi riferisco alle singole attività che porto avanti qui in Serbia, ma alla presenza e attenzione continua, al continuo porsi al servizio, dedicandosi all’ascolto e comprensione, che sono tipiche di Caritas e dei Caschi Bianchi. Senza dubbio le immagini di violenza e vandalismo mi hanno fatto preoccupare ed agitare, ma so che ci sono innumerevoli persone che vogliono una cosa diversa, una Serbia stabile e pacifica nella quale la vita possa scorrere tranquilla e spensierata, un paese che può crescere e mostrare le sue bellezze, partendo dallo spirito delle persone , lo stesso spirito accogliente e festoso che ho avuto modo di incontrare in questi mesi. In questo momento, ancor più rispetto a prima mi sento vicina a queste persone e alle loro speranze. Credo che finché ci saranno persone così non smetterò di credere in quello che io e tutti i volontari Caritas facciamo…e so per certo che queste persone continueranno ad esserci qui e in tutto il resto del mondo. Continueranno a impegnarsi nella costruzione di un futuro migliore; e io spero di poter continuare a camminare al loro fianco per poter imparare da loro.
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