Mi chiamo Fosta Kunda, ho “circa” 70 anni. Vivo nel villaggio di Chikotwe a 8 km dal centro di Mansa. Nel 1999 ho perso mia figlia Mary e con lei, un anno dopo se ne è andato suo marito David. Sono morti a trent’anni per HIV. Con me sono rimaste le loro due figlie, due gemelle. Given ed Elizabeth. Hanno 12 anni. Anche loro hanno il virus dell’HIV. Frequentano la “Kaole Basic School”, nella classe quarta, grazie al progetto di adozioni a distanza di Susan, della Comunità Papa Giovanni XXIII. Ricevono le medicine, non gli antiretrovirali, specifici per l’aids, ma dei palliativi, come il Panadol o il Fansidar dall’Home Based Care, il programma di assistenza ai malati di aids della Diocesi di Mansa.
Tutto ciò, nonostante sia un grande aiuto, non è sufficente. Nel Dicembre 2007, la casa in cui vivevamo è crollata a causa delle piogge, il tetto in paglia non ha più retto. È successo di notte, mentre dormivamo. Ci è crollata addosso. Grazie a Dio, solo qualche livido e tanto spavento. Ora viviamo in un’altra capanna qui vicino, prestata da amici che la usano soltanto nel periodo della stagione secca, poichè qui hanno della terra da coltivare. Quindi verso aprile dovremo cercare un’altra sistemazione. Non ho soldi per comprare i mattoni per una nuova casa e nemmeno per pagare degli uomini per costruirla. Non ho nessun parente. La famiglia di mio genero vive lontano da qui, ma anche loro hanno grossi problemi ad andare avanti. Ho un piccolo pezzo di terra dove coltivo della cassava e delle zucche, ma l’età non mi aiuta. Le bambine sono spesso senza forze, l’alimentazione è uno dei problemi principali. Quando prendono le medicine dovrebbero mangiare, ma questo accade raramente. Una persona che vive con l’aids ha bisogno di un’alimentazione variegata ed equilibrata. Ricevo qualche piccolo aiuto dalla comunità del villaggio, per sopravvivere. L’ospedale è lontano da raggiungere, ovviamente a piedi, e io sono vecchia.
Capita spesso che le gemelle prendano la malaria, devono stare a casa da scuola e l’unico sostegno che hanno sono i farmaci che ricevono dall’HBC. La vita da nonna sola con due orfani da mantenere non è facile: la mia età, l’hIV e il fatto di non avere nessun parente aggrava tutto. Se potessi avere delle galline da cui ricavarne uova e carne, e un pò di farina per preparare l’inshima (polenta ndr), forse le gemelle starebbero meglio. Continuo però ad andare avanti, a non perdere la speranza come insegna la mia cultura africana. Le mie radici rimangono Given ed Elizabeth, e spero che da queste possano crescere alberi forti e rigogliosi. Come alberi d’Africa.
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