• Cb Caritas, 2008

Caschi Bianchi Kosovo

Pristina 17 febbraio 2008

Grandi festeggiamenti e una nuova bandiera per il Kossovo: l’augurio è che le sei stelle rappresentanti le sei componenti etniche del Paese possano rischiarare insieme le notti del nuovo stato indipendente.

Scritto da Enrico Maestri

Sono le otto e mezzo quando assonnato ed infreddolito infilo le scarpe, indosso la giacca, controllo superficialmente di aver preso tutto il necessario ed esco di casa. Prizren negli ultimi due giorni è freddissima, un vento gelido spettina i capelli e sferza il viso. Ma l’aria è tersa ed un pallido sole invernale le dona un’insolita luminosità. La macchina fotografica è carica, la memory card vuota. È infatti in attesa di essere colmata da istantanee che raccontino di un giorno atteso da decenni dalla popolazione albanese di questa regione dei Balcani Occidentali. Nel tragitto che mi porta da casa al posteggio dei taxi, oggi niente autobus, non incontro nessuno. Provati dai caroselli della sera precedente tutti riposano in vista di questa storica domenica. Per le strade solo qualche scheletrico cane randagio che fruga avidamente nel pattume. Da ogni finestra spuntano i vessilli con l’aquila bifronte nera su sfondo rosso. In ogni balcone campeggiano le scritte “Urime pavarësia” o “Gezuar pavarësia”. Buona indipendenza.

Contratto per una decina di minuti il prezzo del mio viaggio. Alla fine spunto una cifra accettabile. Davanti a me, innestata sul marchio marcedes all’estremità del cofano, sventola una mini bandierina albanese. All’interno, sul cruscotto impolverato, l’adesivo del momento: la foto di Adem Jashari, storico leader dell’Esercito di Liberazione del Kossovo, l’UCK, ucciso con tutta la sua famiglia nel ’97 nel corso di una mirata operazione militare serba. Indossa il plis, il copricapo che connota gli anziani capifamiglia e, poco sotto la sua folta barba, la scritta “Bac, u Kry!”, zio, è fatta!
Scendo a Shtimje, il taxista non si spinge oltre, è di Prizren e oggi vuole lavorare il più vicino possibile a casa. Decido così di fare colazione. Baklava e machiatoe vogël, ossia una torta tradizionale turca intrisa di miele ed un caffé macchiato, il barista rifiuta i miei soldi. In me nasce spontaneo il dubbio: dipende dal fatto che sono italiano ed il mio paese appoggia la secessione del Kossovo o la sua magnanimità è rivolta a qualsiasi avventore?

Prendo un altro taxi, anch’esso bardato di bandiere, adesivi, slogan e quant’altro. Alle 10 sono a Pristina. Tra qualche ora potrò dire “la capitale”. In via Nëna Tereza non si passa. Una calca di persone la invade pacificamente e si passeggia a ritmo di musica tradizionale, erogata con potenza da casse sparse qua e là. Sui tetti delle case non più cecchini come nel ’99, ma schiere di cameraman e fotografi, che curano le riprese panoramiche per le tv di mezzo mondo, oggi concentrate qui e a Belgrado. Il Grand Hotel Pristina, dove durante la guerra la “tigre” Arkan l’ex capo degli ultrà della Stella Rossa e leader delle milizie paramilitari serbe, stabilì il suo quartier generale, ospita il Media Center. Non è difficile entrare, basta bluffare un po’ ed appena sentono che parli un’altra lingua ti sei automaticamente guadagnato l’accredito come giornalista. Non ti chiedono testata, né carta d’identità, né tanto meno il tesserino che attesta la tua appartenenza all’albo.
Trascorre così la mia mattinata, tra passeggiate per le vie del centro tracimanti una fiumana festosa mai vista prima, e qualche visita al Media Center, allo scopo di essere aggiornato in tempo reale. Il primo ministro Hasim Thaci ed i politici kosovari sono infatti riuniti in parlamento per una sessione straordinaria dell’assemblea. Alle due vado “da Rada”, una brasserie vicina all’UTL e all’OSCE dove si mangia una buona cucina italiana a prezzi irrisori. Ed è proprio qui che, mentre sono in attesa del caffè, Thaci dichiara al mondo intero, in anticipo rispetto alle voci di corridoio che correvano al Media Center, l’indipendenza del Kossovo e la nascita nel cuore del Vecchio continente del 193° stato del pianeta. La gente esplode in una gioia irrefrenabile e per qualche minuto è difficile capire realmente cosa stia accadendo. Poi dopo un brindisi collettivo nel ristorante torna la calma dettata dalla routine quotidiana.

Decido così di riprendere la passeggiata. In Nena Tereza si sta dando l’assalto alle due torte di 25 metri preparate da due rinomate pasticcerie kosovare ed incredibilmente rimaste intatte durante tutta la mattinata. Un nonno tenendo per mano la nipotina cammina lentamente davanti a me. Lo sorpasso e l’osservo, giusto un attimo, vorrei fotografarlo, poi, appena vedo che ha le lacrime agli occhi distolgo lo sguardo e mi ripeto: è il loro momento, devo essere trasparente e non invadente, così riuscirò anche a coglierne più profondamente alcune sfumature.
Alle cinque sono ancora al Grand Hotel, mi accomodo sulle poltroncine della sala stampa in attesa che arrivino, oltre a Thaci, il presidente della Repubblica Sedjiu e quello del parlamento Krasniqi.

Viene dapprima issata la nuova bandiera. Sfondo blu, al centro il Kossovo in giallo e sopra di esso un semiarco composto da sei stelle rappresentanti le sei componenti etniche di questa variegata regione (in rigoroso ordine alfabetico Albanesi, Ashkali, Bosniaci, Rom, Serbi e Turchi). Il rimando alla bandiera dell’Unione Europea è inevitabile, come d’altro canto a quella della Bosnia, altra creatura figlia del conflitto, pacificata ed amministrata dalle Nazioni Unite e purtroppo anch’essa uno stato privo di sovranità.
Il discorso dei tre leader politici della nuova Repubblica del Kossovo è quanto mai istituzionale e di ricorrenza. Nonostante ciò, sui loro volti è visibile la tensione del momento. Su di loro gli occhi del mondo. Come se non bastasse i tre arrivano da cinque mesi di estenuanti e fallimentari trattative con la Serbia, condotte e mediate dalla trojka composta da UE, Russia, USA. Lo stesso stanno vivendo Tadic e Kostunica a poche centinaia di chilometri a nord, nella Città Bianca, l’ormai ex capitale anche del Kossovo.
Finita la conferenza stampa si va di corsa nel piazzale antistante il palazzo dello sport “Adem Jashari” e limitrofo al quartier generale della Missione delle Nazioni Unite in Kossovo (UNMIK). Li, a ritmo di Hip-Hop con i successi di Fifty Cent, che a Pristina ha tenuto esattamente due mesi fa, il 17 dicembre 2007, un maxi concerto di Natale per le truppe statunitensi, forniscono la colonna sonora. Viene scoperto il nuovo monumento a memoria di questo giorno. Gigantesche lettere gialle compongono la scritta “NEW BORN”.
Immediatamente vengono distribuiti pennarelli neri con i quali autografarle. I giovani si accalcano e fanno a gara per conquistare pochi centimetri nei quali marcare con la loro presenza questo giorno. Poco più in là, svanito l’assordante Hip-Hop, si possono ancora ascoltare le melodie tradizionali ed ammirare i balli folkloristici.
In serata sono previsti due maxi concerti, uno al palazzetto l’altro sul palco situato in fondo a Nëna Tereza, la grande arteria che taglia in due Pristina. Canterà Adelina Ismaijli la regina del pop/turbofolk kosovaro. Io però vinto dal freddo, la temperatura è infatti scesa a dieci gradi sotto lo zero, e provato da una giornata molto intensa, decido di tornare a casa.
Inizia la ricerca del taxi, un’impresa. Alla fine ne trovo uno. Non sto a preoccuparmi molto dell’auto. Non ho molta scelta ed anche in questo caso il prezzo è accessibile. L’importante è tornare a casa a riscaldarmi. Nemmeno usciti da Pristina, percorrendo la leggera salita che permette di imboccare la strada per Prizren, l’auto inizia ad arrancare. Velocità di punta trenta all’ora, di questo passo non solo non arriveremo prima di cinque ore, ma soprattutto non valicheremo mai il passo di Dula situato a novecento metri d’altezza ed obbligatorio. Il taxista mi dice che probabilmente gli hanno allungato la benzina con l’acqua in un distributore del quale non conosceva il titolare. Non stento a credergli, capita. Alla fine ci mettiamo d’accordo, lui è convinto di farcela e qualora si sbagliasse chiamerà un collega. Dopo una sosta per gonfiare i pneumatici e mettere dieci euro di diesel nel serbatoio si riparte scortati da un sinistro fumo bianco che fuoriesce dal cofano. Fortunatamente arrivati a Shtimje getta la spugna ed amaramente constata che da lì in poi, iniziando il tratto montuoso, non se la sentiva di andare. Menomale. Cambio taxi, come all’andata. Quest’ultimo taxista invece, incurante delle condizioni del manto stradale per buona parte ghiacciato, percorre il tratto montuoso ad una media dei novanta. Tanto dice, quassù la polizia non c’è mai. Rallenta infatti nella lunga piana che separa Suva Reka da Prizren, dove invece la polizia c’è e di frequente.

Arrivato a casa scopro di essere senz’acqua e corrente elettrica. Sono le undici e il fatto di averle utilizzate in abbondanza per i festeggiamenti degli ultimi due giorni ha provato particolarmente le riserve della KEK, la compagnia elettrica kosovara. Decido così di andare a letto. A lume di candela. Chissà quanto tempo servirà per disporre di un’adeguata erogazione delle utenze di prima necessità. L’auspicio più vero è però che le notti kosovare siano illuminate dal risplendere sotto di un unico cielo di tutte le “sei stelle” che lo compongono. Un futuro da condividere assieme agli altri paesi della regione e da costruire con i valori della pace e dell’integrazione quali pietre angolari. Perché, come mi ha detto il parroco di Prizren Don Lush Gjergj qualche settimana fa, un “bene” non è un “bene” se non è “condiviso”.

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