Caschi Bianchi Cile
La mia Santiago – parte undici
In conclusione del suo anno di servizio civile, Chiara passa il testimone, le emozioni, le difficoltà e ai nuovi caschi bianchi appena arrivati, e si chiede come proseguirà il suo cammino una volta rientrata in Italia.
Scritto da Chiara Ferrari
Si chiamano Federica, Cristina, Giulia, Miriam, Chiara, Edoardo e Alessandro: sono i nuovi Caschi Bianchi 2007, che trascorreranno il loro anno di servizio civile nella mia Santiago, che da circa tre settimane ormai è diventata anche la “loro” Santiago. Hanno gli occhi che brillano, arrivano da tre mesi di formazione che li ha caricati, hanno voglia di buttarsi, di mettersi in gioco, di imparare i nomi dei bambini, di fare amicizia, di parlare la lingua, e sono pieni di dubbi, di domande, forse qualche paura. Cile, bambini. Foto archivio Antenne di Pace.
Li ho conosciuti proprio in Cile, un privilegio raro per me, perché di solito non si riesce a passare il testimone direttamente nel Paese straniero, e invece ho avuto questa grande fortuna. In loro mi sono rivista, un anno fa, 20 dicembre 2006, arrivata appena da qualche ora all’aeroporto di Santiago, impegnata già nella prima riunione con il responsabile Caschi Bianchi in Cile. Le responsabilità, la voglia di cominciare, la paura di non essere all’altezza delle aspettative e della fiducia che ti stanno dando. Parlo con loro, mi chiedono cosa abbia fatto in quest’anno di servizio civile, io parlo del Cij, dei bambini, ed è inevitabile che mi brillino gli occhi! Se ne accorgono anche loro, sono contenta che abbiano avuto una testimonianza diretta di quello che li aspetta, e che sia stata positiva. Parliamo della formazione, di quello che hanno vissuto loro, di quello che ho fatto io, siamo sulla stessa lunghezza d’onda, con la sola differenza che io ho già scritto questo mio anno in Cile, e l’ho messo nello zaino pronta (più o meno!) per andare all’aeroporto e tornare in Italia, loro invece lo devono ancora scrivere tutto.
Un racconto, il mio, decisamente appassionante, almeno per me, che mi guardo indietro e sono consapevole di avere vissuto un periodo indimenticabile, dove mi sono accorta di essere cresciuta, anche attraverso qualche difficoltà, ma soprattutto grazie all’incontro con persone stupende che mi hanno regalato qualcosa di loro, facendomi diventare più ricca. Ho visto con i miei occhi molte contraddizioni, di cui vi ho parlato strada facendo, ma ho anche imparato concretamente quanto sia importante lottare, partendo proprio dai più piccoli particolari, perché le cose cambino. Io ci ho privato, forse non ho fatto tutto quello che potevo, forse avrei potuto farlo meglio, forse alle volte mi sono lasciata scoraggiare troppo facilmente, però ero lì, e ho provato a dare tutto quello che avevo per regalare il mio piccolo contributo, lasciare anch’io un piccolo segno, un’impronta. L’avrò fatto nel modo giusto? Non lo so, ma magari non c’è il modo giusto o il modo sbagliato, ma già solo l’intenzione e il fatto di averci provato rendono migliore le persone e le cose che ti stanno intorno.
E ora? È la domanda che mi rivolgono tutti, ma è la stessa che io per prima mi sono posta e mi sto tutt’ora ponendo. La risposta ancora non ce l’ho! L’unica cosa che so è che devo, voglio continuare a camminare, e si vedrà dove mi porteranno i miei piedi… una bella canzone ascoltata in Cile, tratta da una poesia, dice: “Viandante non c’è il sentiero, il sentiero si fa camminando”, e quindi anche il mio sentiero lo farò mettendo un piede davanti all’altro, senza fretta, un po’ con lo spirito dei pellegrini che hanno la certezza che per quanto possa essere difficile il cammino, arriveranno alla meta, perché ci credono e perché lo vogliono! Ci proverò anch’io, in realtà mi rendo conto che è molto più facile scriverlo che metterlo in pratica, però ho qualche strumento ora nel mio bagaglio che mi fa pensare che tutto sommato ce la farò, e a questi strumenti che da anni mi seguono, ora ne ho aggiunto uno in più, ed è proprio quest’anno vissuto in Cile con la Comunità Papa Giovanni XXIII. La seconda domanda, un po’ meno frequente della prima è: e ora là cosa succede? Succede che la vita a Santiago, nel Cij, procede come sempre, e quindi tutti si stanno preparando per andare di nuovo al mare quattro giorni con i bambini, esperienza bellissima che ho vissuto anch’io appena arrivata, e via di seguito.
E cosa posso fare io, cosa possiamo fare noi per aiutare? In realtà questa domanda non me la fa mai nessuno, purtroppo, ma se ora qualcuno volesse comunque conoscere una possibile risposta, eccola: io posso portarli nel cuore e continuare ad impegnarmi per loro, per i bimbi e tutte le persone che ho conosciuto, e l’aiuto concreto di ciascuno di voi, di noi, potrebbe passare attraverso un’adozione a distanza: mi dispiace fare messaggi promozionali, ma se sono utili per svegliare e dare vita a qualche scintilla, ben vengano anche questi. Perché là continua ad esserci bisogno, i disagi e i problemi restano tanti e gravi, e neanche la distanza me li fa dimenticare. Forse questo è il centro di tutto per me: non dimenticare e non farmi riassorbire completamente dal nostro stile di vita europeo occidentale, e non credo sarà poi un grosso problema, perché se in tanti sempre hanno sentito parlare di “mal d’Africa”, per me d’ora in poi esisterà anche il “mal d’America Latina”!
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!