• Cb Apg23, 2007

Bangladesh Caschi Bianchi

La festa dell’Aid El Kabir

Un giorno cui gli uomini indossano l’abito della festa, un’occasione per entrare nelle case e condividere un momento speciale. Nel giorno in cui si ricorda il sacrificio da parte di Abramo del figlio, che Allah sostituì con un montone, i musulmani immolano un animale e lo dividono in tre parti, una per sè, una per i vicini e la terza per i poveri. Intanto nella chiesa cattolica il parroco celebra il sacramento della confessione, e in un vicino tempio si festeggia in onore di Krishna.

Scritto da Daniele Spinelli

Mentre la ristretta comunità cristiana si appresta a ultimare i preparativi per celebrare la nascita del Cristo, la comunità musulmana di Chalna, che rappresenta circa il 90 % della popolazione, ha oggi festeggiato l’Aid el Kabir, la principale festività dopo il Ramadan.

Il Ramadan è il mese del “digiuno”, in cui la comunità musulmana si astiene dall’alba al tramonto dal mangiare, dal bere, dal fumare e dall’avere rapporti sessuali.
L’Aid el Kabir è invece la festa che si celebra 70 giorni dopo il Ramadan. (1)Ricorda il miracolo compiuto da Allah quando sostituì con un montone Ismaele, il figlio che Abramo stava per offrire in sacrificio. In questo giorno gli uomini uccidono l’agnello o la mucca che vengono consumati insieme ai familiari, dopo averne distribuita una parte ai poveri.
Per osservare questa giornata di festa mi incammino fuori dalla missione nella prima mattinata, dopo che la preghiera nella moschea è terminata.
Per le strade della cittadina, al solito gremite di persone essendo il Bangladesh il paese con la più alta densità di popolazione al mondo, è facile capire che si tratta di un giorno speciale. Tutti i maschi, adulti e bambini indossano il panjabi, tradizionale abito da festa, e il tupi, caratteristico copricapo.
L’Imam mi invita a visitare la moschea ormai vuota e con un tocco di vanità si sistema gli abiti da cerimonia prima di farsi ritrarre dalla mia macchinetta fotografica. In Bangladesh è un grande onore e divertimento essere fotografati. Forse perchè nessuno ha una macchina fotografica, almeno nella zona rurale in cui mi trovo. Quando ciò non è gradito vengo avvisato con un semplice gesto della mano.

Grazie al mio accompagnatore, Milton, un colto bengalese che attualmente lavora nella missione occupandosi di due ragazzi con problemi motori e mentali, mi viene offerta la meravigliosa possibilità di essere invitato a bere del tè, dell’acqua, da non accettare per evitare complicazioni, e ad assaggiare un dolce tradizionale o un piatto piccantissimo nelle abitazioni di diverse persone, di diversi status sociali. Questo mi consente di dare un’occhiata all’interno di questa complessa e ospitale società.

Nella comunità musulmana, mi sembra di capire, più che la religione sono il censo e la cultura a determinare lo stile di vita delle famiglie e i rapporti tra i membri. Nelle famiglie più povere ci sono numerosi figli e donne che si volatilizzano all’entrata di un visitatore nelle loro case, mentre un numero inferiore di figli e possibilità di parlare con le donne sono elementi che caratterizzano le famiglie più ricche.
Un’interessante teoria che ho ascoltato motiva la differenza del numero dei figli a seconda del reddito familiare collegandola alle maggiori possibilità di intrattenimento che un maschio letterato e benestante ha rispetto al maschio povero. Questa ipotesi mi ha permesso di intuire la considerazione che l’uomo bengalese possiede nei confronti della donna.

La prima impressione che ho avuto del Bangladesh

è quindi quella di un paese caratterizzato

da ben definiti rapporti di autorità

e deferenza, diseguaglianze sociali, analfabetismo,

una forte discriminazione nei confronti delle donne.

Pur tuttavia, all’interno degli specifici gruppi

che esistono e che ancora fatico a riconoscere,

ho l’impressione che esistano al tempo stesso

forti reti di solidarietà e fratellanza.

Intanto per le strade o nei giardini delle

abitazioni si cominciano a sacrificare gli animali con affilati coltelli ricurvi.

Mucche, bufali, capre a seconda della

disponibilità economica di colui che offre l’animale alla divinità.

E’ uno spettacolo crudo che tuttavia fa parte integrante della cultura locale.

Ho sempre pensato che le festività si potessero dividere in due tipi:

quelle in cui un gruppo legittima se stesso a lasciarsi andare alla follia per esorcizzare la paura della morte o liberarsi dai tabù quotidiani e quelle invece che servono alla società per riequilibrarsi e facilitare il senso di fratellanza con i propri vicini.

E così la visione dello sgozzamento degli animali assume per me un colore diverso dal rosso intenso del sangue, quando vengo a sapere che dell’animale morto il proprietario o i proprietari fanno tre parti. Una parte va a chi lo sacrifica, una parte ai vicini di casa o ai parenti e la terza ai poveri.
Questa spiegazione mi viene data da Mr Amin, il professore in pensione che sta cercando con grande abnegazione di insegnare a me e al responsabile italiano della casa dei ragazzi in cui dormo all’interno della missione, i fondamenti della sua lingua.
Lo incontro per la strada mentre è chino sulla riva del fiume a lavare il coltello con cui nella sua casa hanno sacrificato una capra. E infatti, dopo essere stato invitato a visitare la sua abitazione, ad assaggiare l’ennesimo dolcetto della mattinata e sorseggiare del tè, vedo arrivare due poveri a cui viene distribuita la terza parte della carne macellata.

Lo stesso accade fuori dalle mura dell’abitazione di un ricco ereditiero, che presta i soldi a tassi di interesse piuttosto elevati. A giudicare dal numero di poveri fuori dal suo cancello deve aver sacrificato una mucca intera, per riappacificarsi con la divinità, con se stesso e con i suoi debitori, almeno per un giorno. Questo e molto altro avveniva nella mattinata tra la popolazione musulmana di Chalna. Intanto nella chiesa cattolica, vicino alla missione, il parroco celebrava il sacramento della confessione. Mentre nel giardino nascosto di un’abitazione nel quartiere hindu vicino all’indaffarato bazar, in un tempio di lamiera, si celebrava una gioiosa cerimonia in onore di Krishna o di una delle loro tante divinita’.

Note:

1. La Aid el Kabir, chiamata anche Tabasky o Aid al Adha, è la Festa del Sacrificio e ricorre alla fine di Dhu ‘I-Haijjah, il mese del Pellegrinaggio alla Mecca. La Tabasky commemora il sacrificio di Abramo (Ibrahim), che non esitò a immolare il proprio unico figlio Ismaele (nella Bibbia Isacco), e il miracolo compiuto da Allah che lo sostituì con un montone. 

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