• Cb Apg23, 2007

Caschi Bianchi Russia

Problemi di vista? Putin e le elezioni del 2 dicembre 2007

Una campagna elettorale a senso unico e vietato l’ingresso agli osservatori internazionali per le recenti elezioni nella Russia di Putin, definite “le più disoneste nella storia della Russia moderna”. Il punto di osservazione di un casco bianco dopo un anno di condivisione con i più poveri tra i russi, per i quali la distanza con i pochi ricchi si fa sempre più ampia.

Scritto da Mirella Zanon

All’indomani delle elezioni del 2 dicembre ‘07 per il rinnovo della Duma, il parlamento della Federazione Russa, mentre l’OSCE, il Consiglio d’Europa e l’UE denunciano brogli, il presidente Vladimir Putin si gusta la vittoria. Il suo partito, Russia Unita, con il 64,24% dei voti ha ottenuto un riconoscimento senza precedenti, conquistando 393 seggi su un totale 450, una quantità sufficiente ad approvare modifiche costituzionali. Il resto viene mestamente diviso tra il KPRF (il partito comunista), secondo partito del paese con l’11,59% dei voti, e i due partiti sostenitori del Cremlino, che hanno ottenuto assieme il 16% dei voti. I partiti di opposizione con posizioni filo-occidentali, come il partito della Giustizia Sociale, il Partito rurale o il partito della Mela non otterranno neanche un seggio in parlamento, poiché al di sotto della soglia prevista del 7%. È la prima volta che la Duma viene eletta con un sistema proporzionale puro ed una soglia di sbarramento aumentata dal 5 al 7%. La nuova legge elettorale inoltre ha reso più complessa la registrazione di un partito in una coalizione per conquistare diritto di rappresentanza, rendendola più costosa. Infatti dei 35 partiti presentatisi in lista, solo 11 hanno ottenuto il consenso della Commissione elettorale centrale.

Dunque il successo di Russia Unita non è solo da considerare alla luce del prestigio personale di Putin, senza paragoni nel panorama politico attuale della Russia, ma anche come ipoteca in prospettiva delle elezioni presidenziali del marzo 2008. Già in passato il presidente ha negato qualsiasi intenzione di modificare la Costituzione federale per poter essere rieletto al terzo mandato consecutivo, ma disponendo di una tale maggioranza in parlamento ora la tentazione potrebbe essere molto forte.

Cosa si nasconde dietro questo successo di Putin? Le voci che sostengono l’irregolarità delle elezioni sono completamente inventate oppure c’è una base di verità? Qualcuno ha manipolato i risultati, o piuttosto è lo stesso elettorato che è stato privato della libertà di fare una scelta diversa? Per dare una prima risposta superficiale a queste domande è sufficiente dare uno sguardo alla campagna elettorale svoltasi nel Paese.

Già ad inizio settembre, e dunque ben prima dell’apertura ufficiale della campagna elettorale, ad Astrakhan, periferia meridionale della Russia ai confini col Kazakhstan e alle porte del Caucaso, appaiono i primi cartelloni elettorali: Il piano di Putin – la vittoria della Russia, Russia Unita – Russia forte, Russia Unita – credere in se stessi. Altre scritte si incontrano nel centro città e in periferia. Sono grandi cartelloni che portano i colori della bandiera russa e pubblicizzano tutti un solo partito: quello del presidente Putin. Per strada non esiste un minimo indizio circa l’esistenza di una qualsivoglia opposizione. Solo per televisione ci si imbatte in sporadici spot del LDPR, il partito liberaldemocratico, e del KPRF, il partito comunista.
L’opposizione sembra davvero un fantasma: qualche manifesto si vede solo viaggiando in marshrutka, il mezzo di trasporto più diffuso in città, affisso all’interno dei furgoncini, quasi timoroso del confronto con i grandi cartelloni presidenziali per le strade. Ad ottobre si intensificano i cartelloni in città e cominciano ad apparire per le strade del centro gruppi di ragazzi accompagnati dalle bandiere di Russia Unita, intenti a distribuire volantini elettorali, come se ci fosse ancora il bisogno di convincere l’elettorato a compiere una scelta.

In fondo Astrakhan è una cittadina di provincia, periferica, dove è praticamente impossibile trovare i principali quotidiani nazionali, come la Komsomolskaja Pravda, Moskovskie Novosti o la Nesavisima Gazeta, (la Gazzetta Indipendente): non mi stupisco troppo del torpore civico dei russi qui. In fondo in questa città di confine la gente vuole solo sentirsi protetta dai conflitti alle porte (Cecenia, Abkhazia) e il governo Putin in questi anni ha portato stabilità: l’appoggio nei suoi confronti è una conseguenza logica del desiderio di dare continuità a questa stabilità politica, per quanto possa essere discutibile. Forse in altre città la situazione sarà diversa…

Volgograd è una metropoli dove la presenza di imprenditori stranieri è molto marcata, una città che guarda a Mosca come modello e che in generale è più attenta anche a quello che succede ad ‘ovest’. È la città degli eroi, della famosa battaglia contro i tedeschi del 1942, culturalmente più attiva di Astrakhan. Quando arrivo a Volgograd a metà novembre, invece, sono incredula. Sono le ultime settimane di campagna elettorale e la città è letteralmente avvolta da manifesti di Russia Unita, tanto che gradualmente mi convinco che qui i russi debbano avere dei problemi di vista. La città è tappezzata da enormi cartelloni elettorali del partito Russia Unita, che annunciano solenni che Volgograd è per Putin. Mi sembra quantomeno grave come affermazione, in quanto non ammette alternative e sottintende che Volgograd è SOLO per Putin. Anche la piazza centrale vicina alla stazione ferroviaria, dove avvengono le celebrazioni per le grandi occasioni pubbliche sia politiche che mondane, porta ben in vista la propaganda del partito del presidente. Tutta la città grida il suo sostegno a Putin: le strade, le terrazze delle case, i muri, tutto ricorda agli elettori cosa devono votare. ”D’altronde chi avrebbe potuto dubitare della vittoria di Russia Unita?”, commenta un utente del sito www.volgograd.ru.“Tutta la città era avvolta dalla loro pubblicità. Si poteva solo supporre dell’esistenza di altri partiti”. Per fortuna internet resta ancora un mezzo d’informazione relativamente libero, per chi lo possiede ed è in grado di utilizzarlo in maniera critica.

E la libertà di parola? E la par condicio? E la democrazia? La Russia non si proclama formalmente forse paese democratico? Ma i russi ci vedono bene? Il paragone mi sorge spontaneo: succedesse in Italia una situazione del genere in campagna elettorale, non solo si griderebbe allo scandalo nazionale, ma sono sicura che a livello internazionale qualcuno interverrebbe. Qui invece sembra tutto normale: a nessun cittadino medio viene in mente che la propaganda del partito di Putin sia antidemocratica, e che non venga lasciato spazio adeguato alla libertà di parola di altre forze politiche. Allora non mi stupisco tanto del risultato delle lezioni del 2 dicembre se l’antefatto è stata una campagna elettorale di questo tipo.

L’attenzione della Comunità internazionale si risveglia ora che Putin ha ottenuto un successo eclatante, ma nessuno è intervenuto prima, quando forse era possibile cambiare qualcosa. “Nonostante i ripetuti tentativi per ottenere i visti d’ingresso nella Federazione Russa da parte dei nostri esperti e osservatori”, denuncia in un comunicato l’organismo Osce, “essi ci sono stati continuamente rifiutati”. L’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa si stava muovendo già a fine ottobre per monitorare la campagna elettorale ed essere presente nella Federazione Russa con i propri osservatori al momento delle elezioni, ma è stata data la possibilità di entrare nel Paese solo con 400 osservatori per un totale di 95 mila seggi. Una presa in giro.
“Abbiamo ricevuto rapporti che denunciano violazioni a favore del partito di Putin”, ha detto Grigory Melkonyants, dell’organizzazione indipendente di monitoraggio “Golos”, in italiano “Voce”, “secondo cui molti dipendenti sono stati costretti a procurarsi le schede per votare sul posto di lavoro anziché nei seggi, così da segnare le preferenze sotto la vigilanza dei loro capi”. Sembrano reminescenze dell’Italia fascista o dell’URSS stalinista.

La gravità di queste violazioni non è la sola a far da cornice alle elezioni di quest’anno: il 23 novembre Kasparov, ex-campione mondiale di scacchi ora leader del partito “Altra Russia” (per altro non ammessa alle elezioni), uno dei primi oppositori di Putin, è stato arrestato per la seconda volta per esser sceso in piazza alla guida di 3000 persone nel centro di Mosca, con l’intento di contestare la regolarità delle imminenti elezioni. Gli uomini speciali della sicurezza, Omon, lo hanno malmenato e caricato su un pulmino verso la centrale più vicina, con il risultato di 5 giorni di reclusione. Kasparov era già stato fermato a maggio nella capitale durante un’altra manifestazione, assieme ad Alexandr Petrov, attivista dell’associazione “Human Rights Watch”, impegnata soprattutto nella denuncia delle violazioni dei diritti umani in Cecenia. Chi avrebbe dunque il coraggio di vedere bene in un paese dove la libertà di espressione è continuamente punita con l’arresto? All’inizio dell’estate la Corte Costituzionale russa ha addirittura stabilito che si possono riaprire processi già conclusi per inasprire eventualmente le pene ai condannati, qualora l’accusa lo ritenga necessario.

Le elezioni del 2 dicembre 2007 sono state definite da Boris Nemtsov, una delle più autorevoli voci di opposizione al Cremlino, come “le elezioni più disoneste nella storia della Russia moderna”. Non c’è dunque da stupirsi se sono stati eletti in parlamento candidati come Andrej Lugovoj, del partito liberale democratico (LDPR), di fatto movimento statalista e nazionalista: l’ex spia del KGB, accusato dell’assassinio di Alexandr Litvinenko del novembre 2006 a Londra e più volte oggetto di richiesta di espatrio da parte delle autorità inglesi per essere sottoposto a giudizio, ha ottenuto protezione ed immunità parlamentare grazie a queste elezioni.
D’altronde Vladimir Putin, 55 anni compiuti il 7 ottobre, è cresciuto proprio nel KGB, come agente inviato negli anni Ottanta nell’allora Germania dell’Est (RDT), quando ancora la cortina di ferro spezzava l’Europa. Conosce bene la strategia della paura, e gli effetti che questa ha sulla popolazione. La sua politica ha portato ad una crescita economica alimentata anche dai prezzi petroliferi e del gas. “Grazie a Dio, la campagna elettorale è finita…”, annunciava sornione dopo aver votato domenica mattina. Come se fosse stata faticosa. Gli elettori gli hanno riconosciuto in massa di aver portato stabilità e di apprezzare l’orgoglio nazionale che Putin alimenta nella critica verso l’Europa e gli Stati Uniti. Poco importa se dalla seconda metà del 2007 i prezzi dei prodotti di prima necessità come latte, formaggio, pane e carne sono aumentati, con punte del 100% in alcuni casi. Poco importa se al di fuori di Mosca la gente muore ancora di fame, l’alcolismo è una delle prime cause di morte nel paese e aumenta la forbice tra i pochi che possiedono tutto e la maggioranza dei russi. Poco importa se molti bambini chiedono l’elemosina per le strade o il numero dei senza fissa dimora, anziani e non, aumenta di anno in anno. Putin è un oratore e la sua presenza nella Federazione Russa durerà ancora a lungo.

“Vivere così è orribile. Vorrei un po’ più di comprensione, ma la cosa più importante è continuare a raccontare quello che vedo”, diceva Anna Politkovskaja poco prima di essere assassinata nell’androne del suo palazzo a Mosca il 7 ottobre 2006, che per uno strano scherzo del destino è lo stesso giorno del compleanno di Putin. Impegnata nel denunciare le violazioni dei diritti umani da parte dell’esercito regolare russo in Cecenia e forte oppositrice di Putin, era stata più volte minacciata di morte ed aveva subito tentativi di avvelenamento. Si definiva “una persona che descrive quello che succede a chi non può vederlo”, dal momento che – continua – in Russia “i servizi trasmessi in tv e gli articoli pubblicati sulla maggior parte dei giornali sono quasi tutti di stampo ideologico”. Anche Anna forse aveva problemi di vista?

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