Brasile Caschi Bianchi

La faccia sporca dell’energia pulita

Visita a Guariba: il dolore di un milione di tagliatori di canna da zucchero, costretti a lasciare il nord del Brasile e la famiglia, per un lavoro da schiavi che delude ogni aspettativa di guadagno, e la sofferenza della terra sempre più sfruttata sono un prezzo alto da pagare, che spesso però non viene calcolato.

Scritto da Katia Cecconi, Casco Bianco ad Arcuai

Un mare di verde interrotto da una piccola striscia d’asfalto che porta a San Paolo. Un freddo che neppure potevo immaginare di trovare in Brasile. Mi metto addosso tutto quello che ho ma sono davvero colta di sorpresa: il freddo ha la meglio persino su Emma, mia compagna di viaggio. Lei è di Boston, sa cosa vuol dire il freddo, ma risulta difficile associare questo clima al Brasile per chi non conosce ancora bene questo immenso Paese.

La lingua d’asfalto che porta a Guariba passa in mezzo ad interminabili coltivazioni di canna da zucchero, quasi che gli unici colori presenti siano l’azzurro del cielo ed il verde delle foglie che crescono in cima alla pianta di canna da zucchero. Penso che si possa parlare di monocultura visto che l’intera regione non produce quasi nient’altro. Nella regione circostante Riberão Preto in cui mi trovo, sono arrivati come ogni anno 60 milioni di Brasiliani dal nord del Paese, in totale nello Stato di San Paolo ne arrivano circa un milione all’anno.
Ma non stiamo parlando di numeri, è bene pensare cosa significa tutto ciò. Significa che tutte queste persone, per il 90% uomini, hanno lasciato le loro famiglie in cerca di fortuna, una fortuna che nasce con tutte le goccie di sudore che cadono sul terreno e con quasi 10 mila colpi di machete al giorno. Significa abitare lontani dalla famiglia, da figli appena nati da rincontrare solo al ritorno, dopo 9-10 mesi, da donne che si definiscono e sono chiamate “vedove di mariti vivi”. Significa lasciare quel davvero poco di sicurezza che hai, magari una casa di paglia e fango e abitare in un luogo conosciuto.

Guariba è una piccola città, costituita per lo più da persone che negli anni sono immigrate e non sono più tornate indietro.
Dietro qualche pezzo di legno o di lamiera, spesso ci sono piccole stanze affittate a prezzi da strozzini. Sono niente più che stanze, il bagno comune è fuori, così come i lavandini, gli stessi per lavare e per cucinare. Ad alcuni, al di là del peso dato dal costo, piace stare qui, è meglio di come vivevano prima, ma sono quelli appena arrivati a dire questo. Non ci sono leggi che regolino il costo degli affitti, lasciati al libero mercato, e qualcuno sta mangiando i risparmi di queste persone venute dal nord del Brasile, che hanno fatto quasi 3 mila chilometri in autobus clandestini.
Parlando con i lavoratori che abitano queste case, capisco che la maggior parte viene dallo stato del Marahão, molti sono arrivati qua senza le loro famiglie, l’autobus costa 180 reais, sembra poco per tutti quei chilometri ma è una gran cifra per tutte queste persone, motivo per il quale non sono riusciti a venire con i loro familiari. 180 reais per un autobus clandestino, se si rompe lungo il tragitto o se succede qualcosa sei fregato.
Di solito sono contattati da intermediari che qua prendono il nome di “gatti” e che si assicurano il 5% del salario dei lavoratori. I gatti vanno nelle campagne ad arruolare nuovi lavoratori, rimangono presenti fino alle prime visite mediche e fino alla partenza degli autobus per poi scomparire subito dopo, lavandosi le mani e lasciando il lavoratore in balia della sua scarsa conoscenza legislativa, ad arrangiarsi con un lavoro terziarizzato.
Alcuni di questi uomini sono arrivati qui per sentito dire, qualcuno perchè il fratello gli aveva detto che c’erano possibilità lavorative, altri perchè hanno lavorato qui lo scorso anno. Alcune delle mogli ci ospitano nello loro case/stanze, alcune le abbiamo già incontrate questa mattina in un centro creato ormai trent’anni fa dalla Congregazione degli Scalabriniani, missionari che si dedicano agli immigrati.
Padre Garcia ci aveva presentato queste signore che s’incontrano per fare alcuni lavori manuali, per stare insieme evitando di rimanere ghettizzate tra quattro mura, non conoscendo nessuno e sapendo che a volte il fatto di essere mogli di tagliatori di canna da zucchero non le esclude dai cattivi giudizi a cui sono soggetti i loro mariti: la povertà è qualcosa da tenere lontana.
Molte ci dicono che stanno cercando di far sì che i lori figli le raggiungano, alcuni sono piccolini, hanno pochi anni di vita e sono stati lasciati alle cure delle nonne rimaste nelle città di provenienza. Ma i soldi non ci sono neppure per un autobus clandestino.
Prima di arrivare qui, vivevano tutti in campagna, alcuni di loro avevano un pezzettino di terra, alcuni una casa, alcuni né l’uno né l’altro: questa è una terra di latifondisti, che ha come risultato molta terra in poche mani.

Il nord del Brasile è conosciuto come la parte più povera del Paese, il lavoro manca e non ci sono grandi possibilità. La maggior parte delle persone è analfabeta e non ha prospettive lavorative. Sono arrivati qui e sono circa 400mila in questa zona, ma in realtà raggiungono il milione se si considerano quelli senza contratto, ogni anno arrivano nel sud del Minas Gerais, nel nord di San Paolo, e nel Mato Grosso per guadagnare qualcosa che possa toglierli dalla fame, al costo di un lavoro duro, spesso sfruttato e motivo di problemi alla colonna vertebrale, alle braccia, ai polmoni e che spesso sono stati causa di non ritorno per tanti.
E pensare che è passato più di un secolo dalla teoria del taylorismo, da un modo di intendere il lavoro alienante, fatto di mansioni ripetitive, come mostrava Chaplin nel film “Tempi moderni”.

Sono “più fortunati” coloro che vivono negli alloggiamenti: costruiti dai datori di lavoro all’interno dei campi di canna da zucchero. Ovviamente i posti sono limitati e possono ospitare solo i lavoratori e non le loro famiglie. Qui i lavoratori non devono pagare affitti assurdi e l’igiene ha livelli accettabili; tutto questo se sei fortunato perché può anche capitare che magicamente venga decurtato dallo stipendio il costo dell’alloggiamento e allora c’è da piangere perchè ci si ritrova ad aver fatto pari con il lavoro prestato e senza soldi per tornare a casa. Certo è che si finisce con l’identificarsi nella canna da zucchero: l’odore è forte, un misto di alcool e zucchero, si taglia canna tutto il giorno e ci si abita pure in mezzo.
Qui vicino ci sono fabbriche di lavorazione della materia prima, che la trasformano in zucchero, alcool ed etanolo. Quest’ultimo è motivo di grande interesse a livello internazionale, e chi ci guadagna non è certo l’ultimo anello della catena. In questo caso vedo due ultimi anelli: l’uomo e la terra.

L’uomo non ha molte alternative se vuole scegliere un lavoro onesto. Per questo però deve sostenere diverse spese: morali e fisiche, dovendo tagliare almeno 10 tonnellate al giorno, cosa che comporta circa 73 mila colpi di machete, circa 36 mila flessioni di gambe per poter tagliare la pianta alla base e 8.800 metri di camminata spesso sotto un sole cocente; ed anche economiche considerando che uno stipendio base è di 600 reais al mese per 6 giorni di lavoro, per chi taglia 10 tonnellate al giorno, e aumenta a 800 reais per 14 tonnellate al giorno e infine, per i superuomini sale a 1400 reais per chi taglia 20 tonnellate al giorno, cifra che non può pareggiare i conti con la morte per eccesso di lavoro: 15 casi tra il 2004 ed il 2005. Questi salari vanno diminuiti del costo dell’alloggiamento, o del costo dell’affitto, del mangiare, dell’acqua ed eventualmente moltiplicati per il numero dei familiari a carico.
La terra rimane priva di sostanze minerali a causa alla ripetuta coltivazione della stessa pianta, perchè la canna viene continuamente coltivata sullo stesso terreno.
Inoltre solitamente prima di essere tagliata, la canna da zucchero viene bruciata, e non si parla di pochi metri di piantagione: la notte prima che i tagliatori vadano a lavorare, alcuni addetti si recano sul luogo appiccando il fuoco. Sembra quasi l’inferno della canna, per gli animali che vi vivono in mezzo lo è di certo. Questo procedimento è effettuato solo per le zone in cui avvengono i tagli manuali, perché bruciata la paglia, è più facile tagliare e perché la materia prima produce più saccarosio. Quella foresta in fiamme non è certo un aiuto all’ecosistema, né ai lavoratori che poi si trovano a doverne respirare la cenere.
Ora si sta passando alla canna da zucchero geneticamente modificata., più leggera e questo farà sì che per un lavoratore che tagliava giornalmente mezzo chilometro di canna, il carico di lavoro raddoppi.

Negli archivi dell’ordine degli Scalabriniani, trovo la foto di un cartello indicante l’ordine del giorno della meccanizzazione del taglio della canna da zucchero, tema scottante. La foto è datata 1990: ciò significa che in 17 anni si è mosso veramente poco. I sindacati premono per rallentare questo passaggio al fine di garantire posti lavorativi, ma a costo di vite umane, senza d’altro canto riuscire a migliorare gli aspetti lavorativi più di tanto. Anche nella prospettiva che questo avvenga, quali sono le possibilità di sopravvivenza di questo milione di lavoratori (numero che può essere triplicato considerando che dietro ad ognuno di loro c’è una famiglia)? Quali alternative sta pianificando il Governo Brasiliano? Uno è certo, ed è stato anche sancito dall’incontro Lula – Bush avvenuto lo scorso marzo, quello di aumentare la produzione di etanolo, comunemente chiamato energia pulita(1)… forse perchè non sanno che è intrisa di sudore e sofferenza.

Note:1. L’etanolo è un alcool ottenuto mediante un processo di fermentazione di diversi prodotti agricoli ricchi di carboidrati e zuccheri, quali cereali (mais, sorgo, frumento, orzo), colture zuccherine (bietola e canna da zucchero), frutta, patata e vinacce. Viene utilizzato come componenete per le benzine. L’interesse per l’etanolo è dovuto inoltre ai finanziamenti di origine governativa legati alla caratteristica “rinnovabile” di questa fonte energetica.
Per far fronte al saldo negativo della bilancia energetica nazionale, dovuto all’insufficiente produzione di petrolio grezzo, fu individuata una fonte di energia alternativa, economicamente sfruttabile, nell’etanolo estratto dalla canna da zucchero.
L’obiettivo del Programma Nazionale dell’Alcol, PROALCOOL, ente creato nel 1975, fu quello di promuovere l’uso dell’etanolo come carburante sostitutivo della benzina, e la sua produzione per tutti gli scopi industriali in genere.
Nel 1985, a dieci anni dall’inizio del programma, erano già stati investiti 6,5 miliardi di dollari nella produzione di circa 50 miliardi di litri di etanolo, ed erano stati creati 500.000 nuovi posti di lavoro. A quella data, 2,5 milioni di veicoli erano alimentati a etanolo puro, mentre tutta la benzina distribuita nelle stazioni di servizio brasiliane conteneva un 20% di etanolo.

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