Brasile Caschi Bianchi

Chiudere gli occhi non ha mai cambiato niente: contro l’abuso sessuale sui minori

Un gruppo di volontari si impegna per la sensibilizzazione sul diffuso problema degli abusi, e sceglie lo strumento del video per dare un “cazzotto nello stomaco”, sperando che faccia male.
Di seguito la storia della produzione dei video e la traduzione dei testi.

Testo: Katia Cecconi (Casco Bianco a Arcuai, Brasile); Foto di Itamar Rodrigues; Video realizzato da Katia Cecconi e gruppo Coandu, Ass. Com. Papa Giovanni XXIII, Brasile

La preparazione
18 maggio in Brasile significa ricordare un fatto accaduto nel 1973. Una bambina di otto anni di nome Araceli fu rapita, drogata, stuprata ed uccisa. Questa data continua a segnare l’impegno contro l’abuso sessuale di bambini ed adolescenti.
Da marzo ho iniziato a far parte di un gruppo che poi ha preso il nome di COANDU, una parola dialettale che significa “porcospino”. Questo gruppo, nato dalla semplice buona volontà di persone non esattamene appartenenti al campo degli audiovisivi, ha pensato di creare dei clip da trasmettere sulla rete televisiva locale in prossimità del 18 maggio, dato che la realtà di questi fatti non è affatto lontana.
Tra decidere cosa fare e capire come farlo, ci sono voluti almeno due mesi, e un po’ di fatica nell’organizzare incontri tra i partecipanti, con ritardi agli appuntamenti e lunghissime conversazioni che non riguardavano neppure lontanamente il lavoro da svolgere. Parlo di lavoro nel senso che questa nostra idea è stata appoggiata da un’associazione di assistenza sociale, dalla Diocesi, dalla Prefettura, insomma l’impegno era serio.

I primi contatti
Anche se un pò scoraggiata, prendo appuntamento con un’assistente sociale per sapere cosa organizzano per il giorno 18 e per proporle una mia idea: un’amica mi ha prestato un film brasiliano “Anjos do sol”, in cui il regista, dopo aver ascoltato le diverse storie di abuso vissute da tante ragazze, le ha messe insieme per rappresentarle nella vita della protagonista, Maria. Un film duro, diretto, che mostra moltissimi aspetti legati a questa realtà, ma fa ancora più male pensare che per lo meno il film ha un inizio e una fine. Questa volta mi sento fortunata, Claudia, l’assistente sociale, mi ascolta, prende la cornetta del telefono e chiama gli addetti al lavoro, consiglio tutelare, psicologi, associazioni e fissano una riunione per la mattina seguente.
Così penso che sarebbe bello invitare la cittadinanza, specialmente le persone che vivono nei quartieri più poveri, che sono quelle che più spesso assistono a scene di abuso, violenza domestica e prostituzione di bambine. Claudia mi dà alcuni suggerimenti: il luogo della proiezione deve essere chiuso perchè il film non è adatto ai bambini, poi c’è la necessità di spargere la voce, quindi informare i rappresentanti delle diverse chiese in maniera anche rapida visto che manca solo una settimana e sarebbe bene approffittare della prossima domenica, in modo che possano comunicare la cosa alla fine dei riti religiosi. Bisogna contattare la radio per cercare di far arrivare l’informazione in tutte le case e parlare con le scuole per raggiungere anche ragazzi e ragazze che abbiano almeno 16 anni. Bene; un po’ strano però che sia un’italiana a proporre questo film sconosciuto nella sua terra, e che questa proposta vada a colmare un buco in un’attività di sensibilizzazione che non era ancora stata definita per quella giornata.

Il giorno dopo incontro i membri del gruppo Coandu: esco dalla stanza non proprio soddisfatta: il film sarà proiettato il giorno 15 per mancanza di disponibilità del salone, certo il cambio di data non è un problema, ma l’informazione non passerà per radio, nè nelle chiese, nè nelle scuole; verrà invece inviato a tutti i commercianti della città un invito da esporre. Insisto nel presentare la mia idea, l’avviso deve arrivare a tutta la cittadinanza, non solo agli “addetti ai lavori”, ma così è, non sarà un invito a 360 gradi.
All’ingresso e dentro la stanza dove sarà proiettato il film, appendiamo due striscioni con la scritta “Fechar os olhos nunca mudo nada” ovvero “Chiudere gli occhi non ha mai cambiato niente”.

Un cazzotto allo stomaco
Finisce il film, le persone presenti sono invitate al microfono, la frase utilizzata da tutti coloro che prendono parola è “mi è arrivato un cazzotto allo stomaco”. Bene, ne sono felice, ma metaforicamente spero che tutti i presenti che lavorano nel sociale diano una forma concreta alle loro belle parole, prima che il dolore del cazzotto ricevuto svanisca.
Il giudice che lavora per la difesa dei minori afferma di essere pronta a collaborare, molti si rendono conto di quanto sia importante la famiglia e quindi il dialogo, la costruzione di gruppi di lavoro, insomma, mille e un’idea, ma chissà! Se questo film ha indignato, se ha smosso anche solo una persona, è un inizio, e spero che quel cazzotto abbia fatto tanto male.

La realizzazione
I giorni successivi sono fatti di corse contro il tempo per finire i nostri video. Fino ad una settimana prima della scadenza non è ancora terminato il montaggio di un solo spot, manca la musica, bisogna ancora scegliere i dialoghi, le voci, tagliare ed incollare le immagini, i testi.
Non ci lamentiamo, abbiamo salvato due ore d’immagini per lo meno (dice la parte calma di me), col cavolo (dice l’altra)! Consideriamo che Sanzio, l’unico del gruppo che conosce il programma, non ci mette mano da tempo e che in questi giorni sta male!
Contattiamo il fotografo che ha già ricevuto i soldi per affittarci la videocamera, ma anche per editare gli spot. Parlo con lui, nel pomeriggio vado nel suo studio per dirgli di tagliare lì e incollare là, e per scegliere la musica.
Tiago più o meno ha capito il mio “fantastico” portoghese e dopo lunghe ore, mattinate, pomeriggi e notti, portiamo a termine 4 spot.

Il primo rappresenta una bambina che passeggia di notte con il suo orsacchiotto di peluche. Il video chiude con lo zoom sull’orsacchiotto che rimane sull’asfalto, concludendo con la frase: ”Questa è una scena che fa parte del quotidiano di molte strade della nostra città” e seguendo: “Non permettere che questo continui”.

Nel secondo una ragazza seduta sul letto sta giocando con una bambola, poi si allontana e la lascia sul letto con altre bambole. Questo video è accompagnato da un dialogo tra le bambole per denunciare l’abuso domestico:
Bambola 1 (ingenua e sentimentalista): “Voleva così bene a suo padre… É una pena che lui arrivi sempre in casa ubriaco e gridando a squarciagola.
Bambola 2 (perspicace, realista): “E’ un dolore! La madre corre per casa con paura
Bambola 1: “É vero! Da quando lei era piccola, lui si comporta così. Ma sembra essere buono.. le porta dolci, vestiti, quella bella gonna. Ti ricordi che io sono stata un suo regalo?
Bambola 2: “Ricordo…
Bambola 1: “Lui sempre ubriaco l’abbraccia, le fa carezze, la mette a dormire… 
Bambola 2: “Carezze? Non sono carezze di padre! E’ orribile che un padre possa comportarsi così con la propria figlia! Neppure un animale agisce così! Ricordi quella volta che lei pianse molto?” Bambola 1: “Sì, mi ricordo di quel giorno in cui lei pianse molto. Strano che la madre non sia mai in casa in quei momenti…
Bambola 2: “Ma lei esce di proposito!

Un terzo video è stato girato alla stazione degli autobus. Un uomo seduto ad un tavolo chiama una ragazza, le offre um bicchiere di birra e se ne vanno insieme. Il video finisce con l’immagine di una bambola lasciata sul tavolo ad affermare che i sogni innocenti della bambina vengono abbandonati lì.

Ultimo è quello relativo ad un fiore i cui petali cadono, mentre vengono denunciati i diritti violati dei bambini violentati. La voce che accompagna la caduta dei petali denuncia: “Le tolsero il diritto di sorridere, le tolsero il diritto di crescere, le tolsero la spensieratezza dell’infanzia…. una bambina è delicata e non sa come difendersi, non permettere che questo accada!”.

Sono semplici video, ma l’importante è che le parole trovino vita, che siano reali come la realtà di queste fragili vite ferite.

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