Caschi Bianchi Palestina / Israele

The story of Mona. Un esempio di teatro legislativo all’interno della prima stagione palestinese di TdO

Età minima per il matrimonio, diritto all’educazione, penalizzazione del delitto d’onore: questii temi dello spettacolo con cui Ashtar Theatre gira da due anni la Palestina per guidare il pubblico in una discussione e raccogliere proposte di riforma per presentarle poi al Consiglio Legislativo Palestinese. Un modo per coscientizzare la società civile.

Testo di Lorenza Sebastiani; foto di Federica Battistelli

Mona è una ragazzina di 14 anni che vive in un piccolo villaggio situato non lontano dal muro costruito da Israele attorno e all’interno della West Bank, per separare la popolazione israeliana da quella palestinese. Suo padre lavora all’interno della Green Line, dove vive con la seconda moglie. In sua assenza è il fratello ad occuparsi della sua prima famiglia, ed è sempre il fratello a suggerire alla madre di Mona che è ormai giunto il momento per sua figlia di prendere marito.

Mona è una ragazzina forte ed ambiziosa, desiderosa di scegliere in maniera indipendente il proprio futuro. Secondo lo zio ed il padre, Mona è troppo piccola per recarsi in Siria a continuare i suoi studi, troppo piccola per viaggiare da sola, troppo piccola per cavarsela senza il supporto e la protezione della famiglia… ma non troppo piccola per sposarsi, dividere il letto con uomo che non ha scelto, avere dei figli, crescerli, rinunciare alle proprie ambizioni e fare di tutto perché suo marito e i suoi figli possano realizzare le loro. Mona non è disposta ad accettare questo futuro preconfezionato e la sua ostinazione ed il rifiuto di piegarsi al volere dello zio e del padre portano il conflitto all’interno della famiglia. Gli uomini di casa, i Guardiani nella tradizione islamica, non abituati ad essere contrariati, reagiscono con crescente violenza, fino all’ultimo atto in cui, durante la cerimonia delle nozze forzate, il rifiuto pubblico di Mona, sfida il potere degli uomini della famiglia e con esso l’intero concetto di “onore”, portando all’ultimo gesto di una violenza estrema e disperata, finalizzata a ristabilire il controllo degli uomini sulla vita e sul corpo di lei, e con esso la loro rispettabilità di fronte agli occhi della comunità. Una comunità segregata non solo a causa del muro, ma anche ingabbiata da dinamiche sociali e di genere consolidate da secoli di tradizione, perpetuate dall’occupazione.

Questa la trama di uno dei quattro spettacoli che Ashtar Theater ha presentato durante la ricca stagione del Teatro dell’Oppresso, organizzata dalla compagnia a dieci anni dal suo impegno nella promozione e sviluppo di questo metodo teatrale in Palestina. Nell’ambito del festival, Ashtar ha messo in scena lo spettacolo in diverse città dei Territori Occupati: Jenin, Artas, Tulkarem, Jericho ed Hebron. The Story of Mona è uno spettacolo nato due anni fa, dall’esigenza di trattare pubblicamente alcuni dei temi più scottanti e nascosti della società palestinese, tramite gli strumenti forniti dal teatro dell’oppresso, ideali per coinvolgere il pubblico in una discussione. Lo spettacolo solleva spinose questioni sociali, a cui ancora non sono state date trovate soluzioni politico-legali e su cui gli spett-attori sono invitati a riflettere: età minima per il matrimonio, diritto all’educazione, penalizzazione del delitto d’onore.

The Story of Mona, non è solo teatro forum, ma è anche uno dei primi spettacoli di teatro legislativo messi in scena da Ashtar. Il Teatro legislativo è una delle ultime sistematizzazioni del lavoro di Boal, il cui scopo è quello di coinvolgere la base popolare nel processo legislativo, nel tentativo di rendere le istituzioni consapevoli dei bisogni e dei desideri della popolazione, o meglio di gruppi organizzati della società civile, ed attuare quel processo che Boal definisce di democrazia transitiva, intermedia cioè tra quella delegata e quella diretta. In linea con il pensiero e il lavoro di Boal lo scopo della produzione di Ashtar Theater, nell’ambito del teatro legislativo, è quello di risvegliare l’attenzione delle istituzioni e dei legislatori su certe questioni che, con l’allontanarsi della prospettiva di un futuro Stato palestinese e con lo scoppio della seconda Intifada, sono passate del tutto in secondo piano, come la riforma del diritto di famiglia, l’emancipazione della condizione femminile, la violenza all’interno delle famiglie. Allo stesso tempo rimane un imperativo quello di coscientizzare la società civile, che è andata disgregandosi e appiattendosi con il peggiorare della situazione politica ed economica. Nei suoi spettacoli, presentati come teatro-forum, Ashtar discute e dialoga con il pubblico, o meglio guida il pubblico in una discussione, riguardo alla desiderabilità o meno di certe leggi, raccoglie idee e proposte, e nella stessa sede, cioè il teatro, le sottopone ad una votazione. Dopo un lavoro di analisi e pulitura, presenta eventualmente le proposte al Consiglio Legislativo Palestinese.

Nei due anni in cui Ashtar ha presentato questo spettacolo al pubblico palestinese, ha raccolto diverse proposte di riforma che sono ora raccolte in un breve testo. L’idea è quella di portare lo spettacolo al Consiglio Legislativo Palestinese e mostrare ai suoi membri come l’argomento sia stato sollevato ed affrontato a livello popolare. Il cambio di governo ha bloccato in parte la realizzazione di questo progetto, ma la compagnia è ancora intenzionata a portarlo a compimento e attende che si presenti l’occasione giusta per presentare il lavoro al nuovo governo.
Nel contesto palestinese la scelta di adottare questa modalità teatrale rappresenta un compito particolarmente arduo, ma sicuramente importante. Se si comprende il Teatro Legislativo come un processo aperto e circolare fra base ed istituzioni, come un processo finalizzato a produrre leggi che nascano da esigenze condivise dalla base, allora questo richiede non solo una grande sensibilità politica da parte delle istituzioni, ma anche una società civile forte ed in qualche modo organizzata e strutturata in categorie sociali consapevoli dei propri diritti e pronte a rivendicarli.
Dalla fine degli anni settanta fino alla seconda metà degli anni novanta, caratterizzati da grande fermento politico, sono sorte decine di organizzazioni femministe che come altre organizzazioni a base popolare hanno sviluppato ed avanzato una propria agenda politica nel contesto del movimento di liberazione nazionale. Le donne che hanno partecipato attivamente alla prima Intifada, svolgendo un ruolo di fondamentale importanza non solo sul campo di “battaglia”, ma anche fornendo legittimità ad un movimento che vantava un carattere autenticamente popolare, hanno percepito gli anni seguenti come una fase di transizione e come una reale possibilità di portare avanti le proprie rivendicazioni di parità ed uguaglianza. A più di un decennio di distanza, queste richieste di giustizia sociale, messe da parte da anni di occupazione e di disordine politico, rimangono senza risposte. Al contrario l’insorgere della seconda Intifada e la crescente militarizzazione della società hanno lasciato le donne ai margini della società e della lotta di liberazione. Altri elementi sono emersi creando scenari a cui ora è necessario dare nuove risposte: la delusione provocata dal fallimento degli accordi di Oslo; le resistenze manifestate dalla leadership palestinese rispetto all’integrazione della questione delle donne all’interno della propria agenda politica; l’opposizione dei leader religiosi; gli effetti dell’insorgere dell’Islam politico, non solo in Palestina, ma in tutto il mondo arabo; il conseguente ritorno ai valori tradizionali; la crescente contrapposizione fra mondo occidentale e mondo islamico; il deteriorarsi delle condizioni economiche; l’isolamento e le segregazione causata dalla politica di closure e, in tempi più recenti, dalla costruzione del muro; l’isolamento internazionale. Tutti questi elementi, se non adeguatamente affrontati, contribuiscono a paralizzare una società e possono dare adito a tendenze regressive e reazionarie.

Nel contesto del Teatro Legislativo, far esprimere la base non significa però rimanere neutrali rispetto alle proposte che emergono. Delicato è quindi il ruolo di chi guida, sostiene e stimola questo processo di partecipazione e coscientizzazione, affinché la presentazione e il dibattito pubblico su problematiche sociali non scivoli nella trasmissione di verità precostituite, né nel lasciar passare tutto come espressione della volontà popolare. La storia di Mona è una storia comune, la storia di molte giovani donne palestinesi, che in teatro, ad Hebron come ad Artas (i luoghi in cui abbiamo assistito agli spettacoli), si sono immedesimate in Mona e hanno alzato la mano per modificarne la vicenda. Inscenando questo spettacolo in diversi teatri della West Bank, Ashtar ha raccolto impressioni e collezionato punti di vista, ottenendo una fotografia della società palestinese e di quelle che sono le risposte che essa fornisce a problematiche comuni. Secondo Iman Aoun, direttrice artistica di Ashtar Theater, che svolge il ruolo di Jolly o facilitatore nello spettacolo, “la distanza fra le posizioni degli uomini e quelle delle donne è ogni giorno maggiore”. Per questo motivo, “è fondamentale coinvolgere entrambe le parti nella discussione e stimolare la comprensione reciproca”. “Quando gli uomini si fanno portatori di istanze regressive, essi sono invitati a salire sul palco ad interpretarle e ad osservare quelle che sono le conseguenze delle proprie azioni”, aggiunge Iman. Da questo osservatorio, Ashtar ha potuto notare il lento scivolare della società verso posizioni sempre più conservatrici, il trasformarsi della frustrazione della gente in fatalismo e rassegnazione. Sul terreno ha potuto constatare l’affidarsi della gente a forze politiche che promettono più un posto in paradiso che giustizia politica e sociale. “La difesa delle proprie tradizioni e quindi della propria identità, messa in costante pericolo dall’occupazione e dall’imperialismo economico e culturale occidentale, spinge e costringe la società in un piccolo spazio, in cui è difficile trovare soluzioni alternative a quelle offerte dai principali attori in campo”.

Tramite il Teatro dell’Oppresso, Ashtar Theater vuole offrire spazio e tempo per riflettere. Come spiega Iman, tramite questo metodo teatrale si vuole dare la possibilità alla società e soprattutto ai giovani di fermarsi a pensare, affinché le loro azioni non siano solo e semplicemente re-azioni. L’esperienza del Teatro Legislativo intende essere un processo democratico e partecipativo, in cui tutti i punti di vista vengono accolti e discussi. Alla fine sono le soluzioni maggioritarie ad essere promosse e, nonostante l’apparente involuzione della società palestinese, le proposte emerse durante le tante discussioni comprendono un innalzamento dell’età minima per il matrimonio a 18 anni (oggi l’età legale è 15 per le donne, 16 per gli uomini), l’innalzamento della scuola dell’obbligo fino a 18 anni e pene più severe per chi commette un “delitto d’onore” (oggi quasi impunito).

Essere al Children Happiness Center di Hebron, una delle città più conservatrici e tradizionaliste della West Bank, mentre questi temi venivano discussi in Teatro, è stata un’esperienza veramente emozionante. In una città in cui l’occupazione assume una delle sue peggiori forme, quella dello scontro quotidiano con coloni ultra-fondamentalisti, in cui la radicalizzazione, politica, ideologica e religiosa, sembra essere un risultato più che naturale, giovani donne sono salite sul palco per modificare la situazione di oppressione di Mona, una situazione di oppressione e marginalizzazione che appartiene a tutte e che non sono più disposte ad accettare.

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