Caschi Bianchi India

Navaspoorthi: la scuola che fa la differenza

Dalle oscure stanze di dimenticati villaggi di una delle più arretrate zone di una povera regione della lontana India del Sud questi bambini hanno trovato la luce, l’affetto, la gioia e più importante, una propria identità

Scritto da Stefania La Mendola (Casco Bianco IBO)

Quando ripenso al mio primo giorno di scuola ricordo nitidamente l’edificio grigio contornato da un alto muretto torreggiato da spesse barre d’acciaio, la ghiaia fitta a ricoprire il terreno e un direttore austero fasciato da un altrettanto austero doppio petto.

La Navaspoorthi è un palazzetto rosa contornato da un rigoglioso giardino di rose odorose, buganvillee e di centinaia di altri fiori colorati; ogni singolo seme è frutto dell’atto d’amore di uno dei bambini della scuola, che lo ha piantato. Accanto all’edificio principale c’è un piccolo campo da pallavolo che a dire il vero è più uno sterrato sul quale è stata posta una rete tra due pali, ma quando al pomeriggio si anima di centinaia di voci e mani e sorrisi di bambini la sua gloria supera di gran lunga quella di un qualsivoglia rinomato palazzetto dello sport. Attualmente la scuola ospita 15 bambini, 15 bambini molto speciali…Fino a qualche hanno fa questi bambini erano tenuti nascosti nelle stanze più remote di ogni villaggio, guardati di malocchio, considerati una maledizione per se stessi e per le loro famiglie. Nessuno tra i Padri Gesuiti della comunità di Mundgod era a conoscenza dell’esistenza di questi bambini fino a quando un giorno per caso uno di loro in un villaggio ne ha visto uno…era un bambino handicappato. I quindici bambini della Navaspoorthi sono l’emblema della lotta di questi Padri al fianco dei più oppressi tra gli oppressi e soprattutto dei bambini.
Navaspoorthi significa nuova vita e mai definizione è stata più veritiera di quest’ultima. Dalle oscure stanze di dimenticati villaggi di una delle più arretrate zone di una povera regione della lontana India del Sud questi bambini hanno trovato la luce, l’affetto, la gioia e più importante, una propria identità. Ognuno di loro a causa dell’handicap ha sofferto, sin dalla nascita, per le tante negazioni generate dall’ignoranza: la negazione dell’affetto della famiglia, la negazione dell’istruzione, la negazione di un sorriso, la negazione dell’infanzia e addirittura la negazione del diritto all’esistenza. Per questo alla Navaspoorthi l’obiettivo principale è l’affermazione e l’affermazione principale è IO ESISTO. Ben lontani dalle cogitazioni cartesiane i Padri assicurano loro i basilari diritti che ogni bambino dovrebbe godere.

In questa scuola-ostello a tutti i bambini viene garantito vitto e alloggio, l’assistenza di un’infermiera, la presenza costante e vigile di un insegnante e l’affetto di una famiglia. L’impegno di questa struttura è finalizzato ad accrescere se non creare la fiducia di ogni bambino nelle proprie capacità facendo loro comprendere che a prescindere dall’handicap possono essere membri attivi e degni della comunità. Proprio a tal fine la Navaspoorthi è definita “transitional school” dal momento che, fornita un’assistenza tutoriale per uno o due anni, i bambini devono superare l’esame per essere ammessi in normalissime scuole governative.
Ogni giorno è commuovente vederli studiare, dipingere, recitare, cantare con un entusiasmo tale che quasi dimentico che da queste parti mucche e maiali sono considerati divinità da venerare accudire e adorare mentre questi bambini sono chiamati “intoccabili”, indegni perfino di parlare o camminare nelle vicinanze di un appartenente ad una casta superiore. Le attitudini ed i progressi di ciascuno sono vari e diversi così come per tutti gli altri bambini del mondo. Per Santosh la sfida da vincere è stata quella di camminare in posizione eretta; Santosh ha 10 anni, è un bambino allegro, sorridente e sorprendentemente vispo. Il suo villaggio, Nadikatta, non dista molto dalla scuola eppure lui sembra esserci giunto dopo aver attraversato un milione di mondi. Quando è nato la sua famiglia gli ha dato il nome di Santosh che significa felice e lo ha accolto con fastose celebrazioni alle quali hanno partecipato tutti gli abitanti del villaggio oltre che a tutti i parenti vicini e lontani; la nascita di un figlio maschio, infatti, è considerata una benedizione del cielo (inutile specificare come considerano la nascita di una figlia femmina!). Per un anno è stato l’orgoglio di mamma e papà, la casa era sempre animata dalla risa dei tanti parenti che venivano a fargli visita e le speranze di tutti per una vecchiaia priva di preoccupazioni economiche albergavano in quel piccolo corpicino.

Poi un giorno, forse proprio in uno dei tanti momenti di allegria della famiglia accade l’irreparabile: un secondo, soltanto un secondo di distrazione, Santosh cade, forse scivola dalle braccia della madre e batte la testa. Immagino che tutti abbiano trattenuto il fiato per lunghi lunghissimi secondi durante i quali ognuno si sarà detto “…vedrai che non è successo niente, piange solo per lo spavento…”. Danni permanenti al sistema nervoso questa è stata la diagnosi dei medici.
Con il passare dei mesi Santosh ha sviluppato una struttura ossea anomala e distorta che oltre a non consentirgli una normale deambulazione lo ha privato irrimediabilmente della sua infanzia e del suo futuro. I suoi genitori hanno subito compreso che non solo quel bambino non avrebbe più potuto prendersi cura della famiglia ma che a quel bambino serviva qualcuno che si prendesse cura di lui. Ma come aiutarlo? Come sperare di poter trovare denaro e mezzi per assicurargli le cure ed il sostegno necessario? Per qualche tempo la madre, che non ha smesso neanche per un momento di amare la sua creatura, lo ha portato con se, sul suo fianco, avvolto in un bellissimo sari di seta, lo ha custodito gelosamente come una conchiglia con la sua preziosa perla. Poi un giorno qualcuno le dice che i Padri Gesuiti in Mundgod hanno un scuola, una scuola per bambini speciali, proprio come il suo Santosh…Quando giungono alla missione vengono accolti da un coro festante di bambini curiosi e vitali e da tutto lo staff della Navaspoorthi. Non c’è dubbio, Santosh resterà qui.
A guardare quel bambino ora giocare in mezzo agli altri il mio cuore si stringe, solo recentemente ha imparato a camminare in posizione eretta ma quanto corre dietro al pallone insieme a tutti gli altri bambini preferisce farlo sulle mani, come ha sempre fatto. Di tanto in tanto mi siedo sul muretto del cortile e osservo lo sciamare incessante di queste apine operose. Santosh è sempre lì in mezzo a loro, non è emarginato, non è triste e non è neanche quello che arriva sempre ultimo! Qui ha trovato la sua dimensione, una nuova vita, affetto e speranza ma soprattutto la dignità di chi è fiero di essere uguale ad altri bambini “diversi”.

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