Caschi Bianchi Ecuador

Ti può venire un infarto a 15 anni?

Wilmer ha avuto un infarto perchè ha il cuore rovinato da una malattia che parte da un’infezione alla gola non curata.

Scritto da Alessia Lucentini

E’ sabato, non si lavora. Una chiamata al cellulare di padre Sereno. Mi guarda serio. “Lo sai chi è Wilmer Ocana?”, “Si, lo sto seguendo, lunedì lo porto dal cardiologo, ieri non ho fatto in tempo”. Si alza, “andiamo all’ospedale, ha avuto un infarto e vuole scappare, si è strappato via l’ago della flebo dalla mano”… un infarto? Wilmer ha 15 anni, è uno sportivo, si può avere un infarto a 15 anni? E aver la forza di scappare?
Lo troviamo sul letto, nudo sotto la camicia che gli ha messo l’infermiera. Ha la faccia sconvolta, forse lo hanno sedato, la paura e lo stupore di vederci li un sabato sera. Però Wilmer è bello come sempre, dolce e duro, con il viso pallido per quello che è successo al suo cuore e intorno il vero colore ambrato della sua pelle di ragazzino ecuadoriano. Penso che non si può piangere davanti a lui ma ognuno ha le sue debolezze e io qui ne ho tante.
Gli rombano intorno troppe domande e lui non riesce neanche a parlare, gli danno degli schiaffi ma sono delle carezze. “Perchè vuoi scappare se non riesci a stare neanche in piedi? Stai tranquillo che qui si prendono cura di te!”. Ci mormora qualcosa: “Mio padre, mio padre ha detto che veniva, e forse è successo qualcosa, io devo andare a casa” … ogni volta me lo dimentico da dove trovano la forza per fare cose a me incomprensibili. Wilmer lo sta aspettando da stamattina, sta aspettando che si prenda cura di lui anche chi lo ha messo al mondo, sta aspettando un paio di mutande e delle ciabatte, uno spazzolino forse e vuole pensare che è successo qualcosa ma non che lo abbiano dimenticato lì. Cerco parole per consolarlo un po’ ma la bocca resta chiusa davanti a quegli occhi con dentro mille emozioni, la metà delle quali forse io non le ho mai provate. Riesco solo a mettere la mano sotto il lenzuolo per aggrapparmi al suo braccio ruvido come la carta vetrata. “Adesso riposati – gli dico – domani torno, te lo prometto” e lo lasciamo lì pensando che in una camera così, con un letto tutto suo e la televisione, Wilmer probabilmente non ci ha mai dormito.
E’ domenica e non si lavora. Andando in ospedale penso a tutte le volte che definisco tutto questo come “lavoro” e sento che, in questa definizione di quello che sto vivendo quest’anno, qualcosa stona.
Il sorriso che lo illumina quando mi vede sull’uscio è una cosa che non scorderò mai. Penso che non capirò mai abbastanza velocemente certe cose fondamentali, come quante volte lui e tutti gli altri saranno stati delusi da un “te lo prometto”. Wilmer sta meglio oggi, ma ancora non ha la forza di tirarsi su e mettersi seduto sul letto, però si allunga fino all’armadio e mi offre delle mele, ancora con quel sorriso disarmante, prima che io faccia in tempo a tirare fuori la cioccolata che ho portato. Passiamo due ore ridendo, io rido tanto, lui un po’ di meno; però in tre mesi Wilmer con quel sorriso così a lungo stampato sul viso io non l’ho mai visto. Quando è notte e vado via mi cade addosso una confusione di pensieri tristi, rabbiosi e felici insieme: “Perchè era ancora solo? Perchè ti succede questo a 15 anni? Però com’era felice!. E adesso che è rimasto di nuovo solo sarà più triste di prima?”. La risposta che mi do è che non ha senso pensare qui con la mia testa italiana.
Dopo qualche giorno Wilmer è uscito dall’ospedale, i genitori non sanno riferirci quello che hanno detto i dottori così vado alla clinica. Wilmer ha avuto un infarto perchè ha il cuore rovinato da una malattia che parte da un’infezione alla gola non curata. Le domande nella mia testa cambiano un po’: Ti può venire un infarto a 15 anni? Puoi avere il cuore rovinato a 15 anni perchè hai avuto un mal di gola? E a quanti dei nostri 500 ragazzini può succedere questo e non lo sanno?. Scopro presto che la febbre reumatica l’hanno avuta e ce l’hanno in tanti. Ed io cosa devo fare? mi chiedo. Pensare ad una tragedia ogni volta che li vedo tossire? Non pensarci? Preoccuparmi per i primi fino a che non mi stanco di una responsabilità che nessuno mi ha dato? La testa italiana ancora non mi aiuta.
Quando qualche settimana dopo porto Wilmer ad un controllo, il medico si rivolge a me con un sorriso gentile: “Signorina, la profilassi per evitare una ricaduta consiste in una iniezione di penicillina una volta al mese fino ai 19 anni. È fondamentale che non se lo scordi sennò corre rischi seri e deve portarlo tra un mese a fare dei vaccini, mi raccomando signorina!”. Parole gentili che sono come uno schiaffo fortissimo. Diciannove meno quindici, quattro anni di cure una volta al mese. E chi glielo ricorda? Forse lo sottovaluto, penso ai nostri quindicenni che bisogna ancora controllare che si lavino i denti! Però ha sempre 15 anni, e non ha una famiglia che si possa chiamare così. Il prossimo anno esce dalla Fondazione e dove li prende i soldi? E poi io vado via tra 8 mesi e so che non si potranno mai ricordare di lui per tutto quel tempo, uno tra 500 … io … io, ecco il problema … e quando io non c’ero? Non saranno mica morti tutti? Però Wilmer mi prende la mano camminando verso l’autobus e quello che sento è troppo forte per essere ragionato con la mia testa italiana. Arriviamo alla fondazione, lo osservo con sguardo serio e gli chiedo :” Andiamo a sederci un pò nel prato, ti va?”. E dimenticandomi di me viene fuori l’idea più semplice, l’unica che può funzionare ma che pensando solo all'”io” non mi poteva venire in mente. Parlo per un’ora ad un ragazzo che so essere straordinariamente intelligente, nonostante tutto quello che ha vissuto e che non potrò mai capire, e semplicemente gli spiego tutto quello che ho imparato in internet: lo streptococco, la febbre reumatica, la cardiopatia, la profilassi con la penicillina. Un’altra volta sento la mia debolezza salire fino agli occhi guardandolo serio e attento che fissa l’erba, un pò impaurito da tutte quelle parole e dal mio tono ” Hai capito tutto vero? Capisci quanto è importante? Tu solo puoi prenderti cura di te stesso, da qui per i prossimi quattro anni…e anche in tutti quelli dopo”. Mi regala un altro sorriso disarmante e mi risponde semplicemente “Sì Alessia. Ho capito tutto. Non mi voglio ammalare ancora.”. Una risposta quasi esagerata per uno di poche parole come lui. Riesco a sorridergli anche io finalmente.”Corri in classe adesso, però prima dammi un bacio!”, non mi nega neanche questo regalo e corre via sorridendo girandosi a guardarmi due volte.

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