Caschi Bianchi Tanzania
Stupefacente Tanzania
Diffusione e uso di droghe, povertà, interessi economici e politici: un approfondimento per riflettere sulle molte facce di un problema complesso.
Scritto da Giuseppe Falcomer (ex casco bianco, attualmente volontario ad Iringa, Tanzania)
Frequentemente nei siti Internet molti aspetti della Tanzania sono definiti ‘stupefacenti’: tali sono i paesaggi e gli animali, le spiaggie da cartolina ed i fondali da ammirare facendo snorkling: la barriera corallina, i pesci e le conchiglie. Tali sono le persone, ospitali e tranquille, e le varie espressioni culturali ed artistiche.
Digitando però le medesime parole ‘stupefacenti’ e ‘Tanzania’ nei motori di ricerca, tra le pagine elencate come risultati della ricerca vengono alla luce anche notizie che raccontano dell’estendersi dell’uso di droga in questo bellissimo stato.
I siti turistici e delle agenzie di viaggio ammoniscono i visitatori a proposito dell’uso di sostanze illegali. Sottolineano che “è assolutamente vietato importare […] droghe e sostanze stupefacenti, anche se per uso personale”(1) e specificano “che vigono pene severissime per i possessori di sostanze stupefacenti, anche se in minima quantità”(2). La normativa prevista per l’uso o lo spaccio è estremamente rigida: “il traffico di qualsiasi droga, incluse quelle leggere, è duramente represso dalla polizia, che dispone d’informatori ovunque. Le condanne inflitte dai tribunali per reati di droga sono pesanti ed i controlli della polizia negli alberghi vanno intensificandosi. All’aeroporto anche i bagagli dei viaggiatori della sala VIP possono essere ispezionati.”(3). Purtroppo anche qui la droga impera” affermano(4). Nella grande maggioranza dei casi, quando si parla di sostanze illecite, si parla di marijuana.
L’ex fumatore(5)
Nella città di Iringa una canna costa 150 ShT (circa 20 centesimi di Euro): il prezzo era di 100 ShT ma è aumentato. Non a causa della siccità che negli ultimi mesi ha interessato la nazione, ma per le leggi fondamentali dell’economia. Come accade per alcuni prodotti di lusso, anche se la domanda è alta e l’offerta potrebbe comunque riuscire a soddisfare tutte le richieste, è in ogni caso possibile vendere le canne ad un prezzo più alto del dovuto garantendo un ricavo netto più elelvato ai venditori. Il plus ricevuto dal compratore nell’acquisto è comunque maggiore al prezzo stesso e lo giustifica pienamente.
Le attività di coltura, vendita ed uso del banghi (il nome in lingua swahili della marijuana(6) ) e i trucchi messi in atto sembrano uguali a quelli italiani, probabilmente simili a quelli di ogni luogo nel mondo. I giovani fumano le canne negli stretti corridoi creati dalle case vicine: a ridosso di questi interstizi spesso vengono collocati i bagni che hanno minuscole finestre. In questo modo i fumatori sono tranquilli da occhi e nasi indiscreti. A volte se ne hanno voglia si incamminano nei boschi lontano dal centro abitato, ma è una precauzione eccessiva: potrebbero fumare anche in pieno centro. Anche se riconoscono l’aroma del banghi, gli adulti non hanno voglia di denunciare i giovani, di essere coinvolti.
In Tanzania il banghi è comunemente coltivato nei campi di periferia dei paesi e nelle zone limitrofe ai villaggi più sperduti, lontani dai grandi centri(7). Chi lo coltiva prima semina del granturco solamente lungo il perimetro del terreno, e quando questo è alto circa mezzo metro all’interno comincia a coltivare il banghi. All’esterno l’appezzamento ha le sembianze di una normalissima coltivazione, nessuno entra per controllare. Quando la persona che ho intervistato ha saputo che in Italia gli elicotteri possono scoprire facilemente questo escamotage è rimasto sorpreso: qui la polizia non possiede mezzi tanto avanzati. “La coltivazione della droga è divenatata un’attività importante […] perchè il paese è povero di piantagioni sicuramente remunerative ed il banghi invece assicura buoni prezzi negli stati vicini”(8) ed anche e soprattutto nel mercato interno, permettendo di evitare di riportare l’articolo. “Ci sono villaggi che dipendono dalla produzione di mariujana per la loro sussistenza”(9).
È un commercio allettante per chi ha i mezzi finanziari ed il coraggio di cominciarlo: con 12.000 ShT (nemmeno 10 Euro) è possibile comprare un chilogrammo di banghi ed iniziare l’attività di spacciatore. All’inizio il profitto non è molto alto ma sicuramente il mercato è talmente attivo che questo fattore non riveste un problema: nel medio periodo, dopo essersi fatti conoscere tra i compratori ed aver allargato la clientela, un costante guadagno è assicurato.
Chi ne fa uso ha fame, mangia voracemente un po’ di tempo dopo averla fumata, subisce la famosa ‘fame chimica’, ed ha una cognizione sfasata del mondo: interpreta e considera ogni cosa molto più semplice di quella che è in realtà. “Ho smesso di fumare perché ho un figlio. Non pensavo di avere problemi quando fumavo, in realtà ne avevo ma non me ne accorgevo. Dato che pensavo che tutto fosse facile e veloce non riusciuvo a pianificare nulla: ma avendo una famiglia questo non è possibile, per cui ho smesso.”(10)
L’ex fumatore afferma che gli agenti di polizia non conoscono ancora la farina di cocaina, che viene chiamata unga(11), che se la vedessero non saprebbero nemmeno riconoscerla per cui è un’attività assolutamente sicura. Qesto dato è però smentito dalle notizie riportate dai giornali locali(12). In ogni caso questo è un mercato estremamente recente, apparso da pochi anni, probabilmente è vero solo che la polizia non ha ancora il senso esatto della sua portata.
Lo spaccio dell’unga è molto più rischioso ed impegnativo a livello economico: per un chilogrammo di farina di droga il prezzo è di 70.000 ShT. Per i consumatori il prezzo della dose (che solitamente viene mischiata al tabacco per essere fumata ed ha il vantaggio di essere inodore) è molto alto, 1500 ShT, ma ha un effetto molto lungo. “Uno che la prende non può stare fermo, inattivo. Lavora, anche se nella maggioranza dei casi è meglio dire che fa solamente qualcosa per giorni ed a tutte le ore perchè non prova la sensazione né della fame né del sonno. Mentre chi fuma il banghi puoi individuarlo dal profumo che impregna i suoi abiti e dagli occhi stanchi e arrossati, chi fa uso dell’unga è iperattivo ma nulla più. Devi conoscere bene le persone per poterle scoprire. Inoltre io ho smesso di fumare senza problemi. Lo volevo, certo, invece chi comincia a usare la farina non riesce più ad uscirne: diventa matta se smette.”(13)
Culture definite diverse e sostanze definite illegali
Alcuni missionari italiani interrogati sulla diffusione del kath hanno dichiarato di non conoscerlo. Sicuramente questa droga riveste un posto minimo tra le sostanze illegali diffuse in Tanzania (circa il 5%), ma è esemplare da alcuni punti di vista.
Il kath è “un arbusto che cresce spontaneamente nell’Africa orientale e nell’Arabia meridionale, più precisamente in Etiopia, Kenia, Madagascar, Tanzania, Somalia e nello Yemen: […] Si tratta di una droga ‘etnica’: fin dal 1200, infatti, le popolazioni di questi paesi usavano masticare le foglie di khat: […] La somministrazione è addirittura sorretta da un radicato sentimento religioso […] È anche considerata una droga sociale perché viene utilizzata durante tradizionali avvenimenti conviviali secondo un antichissimo rituale ben scandito”(14). Da grandi conoscitori delle erbe commestibili, mediche e velenose, gli abitani dell’Africa orientale nel tempo hanno anche selezionato le droghe che potevano aiutarli: “l’uso occasionale della sostanza riduce la sensazione di fatica e di fame”(15), ma non danneggia le persone in misura spropositata. “La cathina e il cathinone non sviluppano né tolleranza né astinenza. Non è segnalata neppure l’insorgenza della dipendenza fisica; comportano, invece, una moderata dipendenza psichica legata agli effetti piacevoli della droga.”(16)
Il fatto che nessuno riconsca più nel kath una porta per la divinità potrebbe essere un indice del fatto che i colonozzatori hanno estirpato anche questa usanza, per lo meno nella zona di Iringa. Certamente, però, da un altro punto di vista, questa sostanza è usata attualmente da una minoranza della popolazione in maniera sbagliata: ad esempio dagli autisti, soprattutto se impegnati in lunghi viaggi spesso effettuati di notte, e da chi è impegnato in altri lavori frenetici come i controllori dei bus cittadini.
Anche se il kath non appare essere più una droga fondamentale nei rituali religiosi e tradizionali della popolazione, solleva comunque una questione interessante.
I governi come la Tanzania, dalla nascita cronologicamente posteriore a quella della maggior parte degli stati europei, si accodano, fanno propri o rettificano accordi internazionali e leggi straniere, come se l’accordo ad una medesima legislazione potesse dare un uguale sviluppo senza un medesimo passato. Determinate scelte in questo modo potrebbero venir imposte a persone che su certi argomenti non avevano avuto nulla da obiettare perché non li consideravano nel modo più assoluto tematiche controverse e nemmeno problemi.
Alcuni aspetti sono positivi. Un enorme lavoro di sensibilizzazione, supportato da molte ONG internazionali, ha avuto effetti positivi per quanto riguarda la mutilazione genitale femminile. Ma l’imposizione di recidere il clitoride, la conseguente riduzione del piacere nell’atto sessuale e l’implicita concezione della donna nella società a priori sono contestabili.
Altri sono negativi. Lo stato non accetta di riconoscere tutti i diritti che sono ormai spesso, se non del tutto, in parte riconosciuti, nel resto del mondo. In Tanzania tutt’ora la punizione per atti omosessuali è la prigione da 15 a 30 anni. Il dottore Tamale ha affermato, durante la conferenza Sexual Health and Rights svoltasi recentemente in Nairobi, che “le leggi contro gli omosessuali negli stati occidentali erano basate su credenze religiose e che molti di questi stati hanno deciso di abolirle”(17), ma nell’Africa orientale questo andamento non è stato seguito. Questa presa di posizione è strana, considerando che alcuni partecipanti al congresso hanno affermato che “l’omossessualità nell’Africa precoloniale era considerata come un potere mistico ed era sempre rispettata”(18).
Il presidente Kikwete ha affermato che i principali leaders religiosi nelle loro aree hanno la responsabilità di istruire e formare vari gruppi economici tra i loro seguaci per ridurre le causee della povertà . Lo stato dovrebbe farsi carico di queste attività di formazione invece di delegarle ad enti o soggetti non statali: questi legami con le principali religioni influenza l’operato del governo? In ogni caso, la Tanzania accetta o rigetta idee liberali grazie a quali criteri?
Considerati nell’insieme questi elementi minano l’imparzialità dell’operato dello stato. L’attività dei vari governi è certamente in linea con l’andamento politico internazionele: si rivela spesso ideale per accordi generali, relazioni economiche e collaborazioni diplomatiche ma non con la situazione generale e reale del paese. Infatti, oltre ad essere di dubbia coerenza l’efficacia dell’attività dei vari governi, questa risulta essere anche inefficicente nel raggiungere ed influenzare con le sue decisioni ufficiali tutta la popolazione.
Il governo progetta piani sanitari esemplari e negli ospedali i malati devono dare una bustarella a dottori ed infermieri per avere un trattamento teoricamente gratuito.
Il governo cerca di aiutare i malati di HIV/Aids con convegni, sensibilizzazione e training per medici ma tutt’ora lo stigma per i malati è una realtà, dopo 23 dalla prima apparizione della malattia.
Le donne siedono tra i seggi parlamentari e nelle poltrone delle cariche più alte, in concordanza e rispetto agli accordi internazionali stipulati per l’uguglianza tra i sessi, ma queste nelle città e ancor più nelle zone rurali sono sottomesse o comunque non sono in condizione di vivere una vita normale ed autonoma per molteplici motivi. Il suo operato appare teorico e propagandistico ma non così deciso e carismatico da influenzare la vita quotidiana dei tanzaniani.
La questione della droga non appare semplice, né in Tanzania né negli altri stati nel mondo. Pochi hanno deciso di legalizzarla. Una considerevole parte della popolazione mondiale ne fa uso a prescindere dalle leggi vigenti nei loro paesi. Una parte minore dove è vietata apertamente, ne reclama la liberalizzazione.
In uno stato come la Tanzania una discussione popolare e di massa su certi argomenti ed un confronto con le autorità sono mancati. La legislazione e gli accordi internazionali sono stati posti come dati di fatto, decisioni che hanno influenzato enormemente, nella maggioranza dei casi poiché sono diventate leggi interne, la vita quotidiana delle persone. Questo ha significato che il governo ha sempre deciso cosa era giusto o sbagliato mettendo sotto silenzio anche eventuali voci favorevoli, a prescindere della loro portata, prima ancora di averle interpellate.
Proibire l’uso del kath nelle cerimonie rituali, anche se queste ormai difficilmente possono essere definite religiose dalla cultura occidentale ma per lo meno possono essere riconosciute come culturali e soprattutto spirituali, ed anche se queste sono praticamente ormai scomparse dalle realtà cittadine, potrebbe essere inteso e rivendicato come una perdita del mezzo per raggiungere il contatto con la divinità. Ovviamente non tutti usano questa sostanza come un mezzo, spesso la usano come un fine per stordirsi solamente.
Ciò non ha importanza: certo sarebbero convenienti dei controlli su vendite ed acquisti, ma proibire qualcosa perché alcuni sbagliano ad usarla non è ovviamente la soluzione e nemmeno lo è seguire ciecamente le consuetudini dei conolizzatori, di qualsiasi tipo.
Se fosse ancora un mezzo spirituale, proibirla equivarrebbe, per assurdo, a proibire durante l’eucarestia il vino al prete cattolico perché il vino può portare all’alcolismo. Certo questa è un ipotesi che può far sorridere, ma in un’ottica proibizionista potrebbe essere una mossa esemplare per arginare il fenomeno dei molti preti tanzaniani alcolisti nel paese: un problema sottolineato da attendibili fonti anonime.
Dalle interviste effettuate non si evince in Tanzania la complessità delle opinioni presenti in Italia sulla questione delle droghe leggere: purtroppo non si riscontra nemmeno la possibilità dell’esistenza di altre posizioni all’infuori di quella decisa dai governanti. Ma se da un lato l’agire dello stato scongiura gli effetti negativi, dall’altro lascia arrettrati i tanzaniani su molti argomenti. Fortunatamente media come Internet veicolano e propagano tutti i punti di vista e gli effetti a cui un fumatore di droghe leggere va incontro. Mostrano l’altro lato della medaglia, la ricchezza della complessità dell’uomo, la sua forza e la sua debolezza, che lo si volgia accettare o meno.
Pur essendo impossibile, a volte sembra che la proposta di lasciare stare l’Africa sia la soluzione più sensata, ad esempio eliminando contatti diretti, intrusioni locali, soffocamenti politici. Impedire l’arrivo di prodotti culturali è un’idea non attuabile, ma lasciare i tanzaniani liberi di interpretarli è una possibilità invece attuabile. L’aumento dell’accessibilità alle informazioni è un processo irreversibile, mentre il metodo per interpretarle è anche troppo influenzabile, non solo a livello culturale ma soprattutto a livello economico: non a caso “nell’ultimo mezzo secolo le potenze […] hanno in genere diminuito i loro aiuti quando ritenevano di non poterne trarre benefici politici, strategici o economici e li hanno invece aumentati quando intuivano di poterne ricavare vantaggi materiali.”(19)
Il problema di definire se queste leggi siano effettivamente giuste o sbagliate non sussiste, in un primo momento. Nemmeno è d’aiuto analizzare tutte le singole e diverse situazioni, se l’uso del kath sia a fini spirituali oppure sfruttato per i suoi effetti anfetaminici.
Lo stato della Tanzania è nato, anche a livello culturale, in maniera differente da quella degli stati europei(20): la popolazione non ha preso parte alla fase decisionale e legislativa, non ha svolto il ruolo di opinione pubblica attiva che può influenzare i governanti oltre al semplice atto e diritto di voto.
Questa situazione ha creato leggi che non sono state interiorizzate né dai cittadini né dalle varie cariche ed istituzioni dello stato, sviluppando enormi scarti tra teoria e pratica, tra diritto e vita reale da parte di tutti gli attori sociali.
Per quanto riguarda il kath bisognerebbe controllare se in qualche regione qualcuno continui ad usarlo per motivi religiosi, soprattutto in quelle rurali, e nel caso provvedere a cambiare la legge. D’altronde anche in Italia questa droga è stata depenalizzata (21).
“Erba proibita”(22): “ma fatela finita, capite è questa l’erba che salverà il pianeta”(23)
Come nell’intero stato, nella città di Iringa non è rintracciabile un dibattito paragonabile a quello occidentale che apertamente e pubblicamente cerchi di rivalutare i valori del banghicome culturali o di altro genere o per lo meno di non demonizzarlo, o di aprire una discussione come avviene ad esempio nelle sedi politiche istituzionali italiane in cui il tema della legalizzazione delle droghe leggere è sostenuto se non da molti, certo in maniera visibile. O come viene fatto da molti artisti di fama (scrittori e cantanti) o associazioni che pur appartenendo a sottoculture riescono a far sentire la loro voce. In Italia anche i mezzi di informazione pubblicano articoli entusiastici su persone, artisti o intellettuali, che apertamente ne fanno uso, sia informazioni che lodano alcune proprietà della canapa a prescindere dai suoi effetti più conosciuti e biasimati(24). In sette mesi di monitoraggio dei quotidiani in lingua inglese venduti nel paese (dal dicembre 2005 al giugno 2006) un unico articolo parlava in termini positivi delle naturali qualità della Cannabis Sativa, e faceva riferimento ad un lato stato(25).
In Tanzania nessuno sembra rivendicare la legalizzazione del banghi o ne sottolinea valori che trascindono l’effetto del pricipio attivo. Anche i Rasta (che in Tanzania formano una comunità abbastanza numerosa(26) ) sembrano aver fatto proprio l’uso del banghi seguendo ciecamente l’esempio dei famosi cantanti reggae e dei rappresentanti del Rastafarianesimo, senza comprenderne i significati allegati, quasi come fosse un ennesimo dogma imparato senza spirito critico, un dovere.
Nessuno comunque prende una netta posizione nemmeno nel vietarla. I ragazzi si nascondono tra i vicoli più nascosti, tra i passaggi ravvicinati delle case di mattoni rossi cotti al sole, ma potrebbero fumare banghi di fronte ad altre persone senza problemi: “qualcuno fuma anche per la strada e nelle vie principali, tanto anche chi se ne accorge che cosa può dire? Cosa può fare? Se i genitori scoprono il proprio figlio fumare banghi si infuriano. Anche se loro stessi lo fumano si arrabbiano moltissimo: è risaputo che è una cosa che non si deve assolutamente fare. Non sta bene.”(27) Non sta bene anche se non se ne conosce il motivo.
Ma se un figlio (ovviamente parliamo di figli di sesso maschile, le femmine non hanno nemmeno un decimo di queste libertà) rientra completamente ubriaco questa è una cosa accettabile. “Capita”(28). Non c’è bisogno di fare scenate o di rimproverarlo: guarda suo padre, guarda i coinquilini e tutti gli altri maschi che abitano qui vicino, guarda i parenti.
La polizia lascia tranquillamente andare chi viene scoperto in possesso di sostanze illecite. Se scopre dei fumatori in fragrante oppure, perquisendoli, trova un quantitativo irrisorio, chiede 500 ShT (circa 40 centesimi di Euro) e chiudono un occhio. Per gli spacciatori invece pretende una tangente più consistente, proporzionale al loro guadagno oppure una parte della mercanzia, qualora la trovi. È convinzione diffusa che i poliziotti facciano uso di sostanze stupefacenti rimanendo impuniti grazie alla loro autorità(29).
Anche se “la Tanzania sta diventando un grande crocevia dei trafficanti internazionali” (30), la polizia, oltre certo a compiere sequestri ed arresti eccelenti (31), il più delle volte nelle conferenze stampa e dichiarazioni ai giornali pubblicizza con enfasi ‘operazioni speciali’ come quella che ha portato all’arresto di tre ragazzi, di 21, 25 e 26 anni, che possedevano 12 kg di banghi (32). Nei primi mesi del 2006 il quantitativo di droga sequestato ammonta a più di 25 tonnellate(33).
Anche lo stato ha un posizione ipocrita. Proibisce le droghe leggere e permette la vendita, l’uso e l’abuso di alcolici e sigarette. I gestori dei bar e qualsiasi commerciante di sigarette devono pagare una tassa per avere la licenza di vendere, e le sigarette sono sigillate con il bollo statale: un monopolio. Inoltre, in Tanzania sono legali delle bustine di tabacco da masticare mischiato ad una sostanza che ha effetti simili alla mariuana ed all’alcol. Le contromisure prese riguardano la distruzione di ettari di campi di marijuana(34), il sequestro della refurtiva e la distribuzione nelle scuole di opuscoli infomativi.
A livello di cure ed assistenza la Tanzania è arretratissima: i ragazzi che hanno abbandonato la scuola per questo problema nella migliore delle ipotesi sono ricoverati in istituti psichiatrici: attualmente il 47% dei ricoverati del Mental Hospital e del Isanga Mental Institution nella capitale Dodoma sono ragazzi con problemi di droga, e sono trattati come malati mentali(35).
La spiegazione più convincente sembra essere quella più semplice. Nulla viene proibito perché “fa male”, anche se questa è la versione ufficiale, ma perché non è controllabile dal punto di vista economico, non è possibile esercitare un potere economico diretto.
Quella più semplice, la stessa fornita dalle ‘canzonette’: “È illegale solo perché la puoi piantare, averla in giardino e non andarla a comprare”(36).
Elenco dei casi di sostanze illecite riscontrate dalla polizia tra il 2000 ed il 2004(37):
• 27.555 sospettati
• 20.514 casi portati in tribunale di cui:
1. 17.981 casi di banghi
2. 1.203 casi di khat
3. 1.044 casi di eroina
4. 256 casi di banghi collegati a cocaina o morfina o mandrax
3. http://www. viaggiaresicuri.mae.aci.it
4. http://www.sognandozanzibar.it
5. Informazioni raccolte durante un’intervista ad un ex fumatore di mariuana che vuole rimanere anonimo.
6. Della Cannabis Sativa “tre varietà sono note: il bhang, la ganja e la charas; il bhang è il preparato meno potente (1-4 % di THC) e si ottiene da un impasto di foglie, semi e steli essiccati e macinati. L’ ingrediente psicoattivo più importante della pianta della Cannabis sativa è il delta -9- tetraidrocannabinolo o THC” (FONTE: http://www.tabaccheria21). Apparentemente il termine banghi deriva direttamente dalla parola ‘bhang’
7. 58.566.100 italiani vivono su 301.330 Km² mentre i 34.500.000 abitanti della Tanzania su 945.000 km². Il terreno coltivabile illegalmente è quindi virtualmente molto più esteso
8. Mara police destroy 61 ha bhang farms, articolo anonimo, THE CITIZEN, 20 marzo 2006
9. Secret marijuana on Uluguru Mountains, K. Aidan, THE EXPRESS, 19-25 gennaio 2006.
10. Parole dell’ex fumatore di mariuana.
11. unga: letteralmente ‘farina’ in swahili.
12. cfr. ELENCO a fine articolo.
13. Parole dell’ex fumatore di mariuana.
15. ibid.
16. Ibid.
17. Sexual rights meeting defends homosexuality, E. Kabendera, THE CITIZEN, 22 giugno 2006.
18. ibid.
19. Putin in Africa, P. Kennedy, Internazionale 3-9 febbraio 2006.
20. “I governi subsahariani venero creati attraverso l’imposizione dall’esterno delle istituzioni dello stato moderno […] In tal senso, gli stati africani non sono il frutto di un’evoluzione graduale analoga a quella seguita dallo stato moderno in Europa nel corso dei secoli” (L’Africa, G. Carbone, il Mulino, 2005, Bologna, pag. 13)
21. “Le droghe ‘etniche’ come il ‘khat’ non possono essere considerate sostanze stupefacenti punibili penalmente. Non rientrano, infatti, né tra le “droghe pesanti che producono effetti sul sistema nervoso […] né tra le droghe leggere idonee a produrre effetti di natura allucinogena”.” (FONTE: http://www.studiocataldi.it, che cita ‘Data: 19/06/2005 – Autore: Adnkronos’)
22. Titolo del documentario del 2002 dai toni antiproibizionisti a cui hanno partecipato tra l’altro il premio Nobel Dario Fo, comici tra cui Paolo Rossi, professori universitari, cardiologi ed artisti
23. Parole tratte dalla canzone Ganjah di Jakalone.
24. “I cannabinoidi possono indurre la morte di alcune cellule tumorali. L’ha scoperto un gruppo dell’Inserm di Marsiglia somministrando il principio attivo della cannabis (Thc) a dei topi.” riporta il settimanale Internazionale del 21 aprile 2006
25. Nell’articolo, tra l’altro anonimo, si descrivevano le potenzialità della canapa raccolta prima della fioritura (per cui senza il principio attivo) per la creazione di mattoni a basso costo, ricavati dalle piante pressate.
26. Durante la commemmorazione dell’anniversario della morte di Bob Marley 1500 seguaci del rastafarianesimo hanno piantato degli alberi attorno alle montagne Uluguru nella regione di Morogoro, unendo ai tradizionali concerti anche una sensibilizzazione per la salvaguardia della natura (FONTE: Rastafarians to honor reggae legend in style, articolo anonimo, THE CITIZEN, 11 maggio 2006).
27. Parole dell’ex fumatore di marijuana.
28. ibid.
29. Intervista ad un ex fumatore di mariuana ed a cittadini di Iringa.
30. Drug trafficking gaining foothold- report, A. Beyadi, THE GUARDIAN, 8 giugno 2006.
31. 4 arrested in possession of 1700 kgs bhang, J. Ngonyani, THE GUARDIAN 9 giugno 2006.
32. Three arrested in special operation, M. Kwembe, THE CITIZEN, 24 maggio 2006. Gli articoli che riportano l’arresto di persone in possesso di piccoli quantitativi o con poche piante in giardino sono molto frequenti.
33. Drug trafficking gaining foothold- report, articolo citato.
34. Mara police destroy 61 ha bhang farms, articolo citato; Secret marijuana on Uluguru Mountains, articolo citato.
35. Juvenile mental patients, J. Zaberi, THE XPRESS, 15-21 giugno 2006.
36. Parole tratte dalla canzone Ganjah di Jakalone.
37. Illegal drug statistics, THE EXPRESS, 6-12 aprile 2006.
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