Bolivia Caschi Bianchi

Il teatro come strategia di cambiamento: intervista al gruppo di teatro dell’oppresso di La Paz(1)?

Finchè ci saranno oppressori, ci saranno oppressi: il gruppo Taller del barrio da anni fornisce agli oppressi di diverse categorie sociali uno strumento per coscientizzare e trasformare la propria situazione.

Scritto da Valentina Turci (Casco Bianco a La Paz)

“Non basta essere coscienti che il mondo deve essere trasformato; è necessario trasformarlo” ( A. Boal)

Il Teatro dell’Oppresso è un metodo teatrale creato dal brasiliano Augusto Boal, nel Brasile della dittatura degli anni ‘60. E’ una proposta ispirata alla pedagogia di Paulo Freire la cui finalità è che gli “oppressi” possano esprimersi attraverso il teatro come linguaggio, come strumento che permetta loro di conocere in maniera critica e trasformare la realtà.
L’intervista che segue è stata fatta al gruppo di Teatro dell’Oppresso di La Paz che da anni si vede impegnato nella lotta per una educazione di qualità per tutti, in particolare rivolgendosi ai gruppi sociali più vulnerabili. Attraverso le diverse forme di T.d.O. (teatro invisibile, teatro immagine, teatro forum…) il gruppo continua a proporre un’analisi ed una ricerca d’uscita da determinate situazioni di oppressione. I temi affrontati sono quelli della violenza all’interno della famiglia, della repressione sociale, del razzismo, della riforma scolastica, dei diritti dell’infanzia etc.; in quest’ultimo periodo tuttavia il tema più urgente è rappresentato dall’apertura dei lavoro, il 6 agosto 2006, dell’Assemblea Costituente in Bolivia.

Come il vostro gruppo di teatro Taller del barrio è entrato in contatto con il metodo del Teatro dell’Oppresso?

Josè Luis: Conoscevamo già la teoria dal 1983, attraverso i testi di Augusto Boal. I testi erano connessi alla pedagogia di Paulo Freire, da lì la “pedagogia dell’oppresso” applicata al teatro. A partire dall’esperienza con i testi abbiamo fatto di quella teoria una pratica, sebbene non avessimo mai avuto un’esperienza di laboratorio con il T.d.O.
Avevamo già assimilato la filosofia: il fatto che il teatro e l’arte sono proprietà della gente, del popolo e che è necessario dare a questo i mezzi di produzione teatrale e artistica. Poi nel 1988 venne Augusto Boal e così abbiamo avuto l’opportunità di fare un’esperienza pratica. Da allora abbiamo iniziato ad applicare il metodo.

In seguito come è nata la Red (rete) del Teatro dell’Oppresso in Bolivia?

Josè Luis: La Red del T.d.O. è nata nel 2004 grazie ad un progetto collegato all’Assemblea Costituente e grazie alla visita del gruppo italiano “Giolli” che a metà anno 2004 è venuto a condurre laboratori di Teatro dell’Oppresso organizzati dall’“Asociación alemana para la educación de adultos”. Al termine di questi laboratori ha preso forma una rete di gruppi proveniente da differenti dipartimenti della Bolivia: Oruro, Potosi’, Cochabamba, Sucre, Santa Cruz de la Sierra. Da quell’occasione nacque l’idea che il processo di formazione non doveva rimanere un’esperienza personale, a sè stante, bensì dovevamo fare in modo che i diversi gruppi che lavorano con lo stesso metodo potessero rimanere in contatto. 
Il progetto con cui la rete ha iniziato a lavorare si chiama “Difusión de la Asamblea Constituyente a través del T.d.O.” Si trattava di realizzare spettacoli di teatro, in cui ogni gruppo presentava il proprio lavoro individuale, sulla base di un lavoro collettivo che trattava della nostra storia, la storia della Bolivia, dall’epoca precoloniale, di quella coloniale, della Repubblica, fino ai nostri giorni. Tutto questo concentrandosi però sul tema della Costituzione, sulle differenti tappe storiche…fino all’attuale processo di Assemblea Costituente.

Carlos: Il T.d.O. è nato in Brasile ma avrebbe potuto nascere in qualsiasi luogo. L’importante è che sia emerso dall’esperienza di un gruppo di persone che lavora assieme alla gente. Augusto Boal espone nei suoi libri la storia di come questo metodo si posiziona come “sistema”. Il “sistema” (lui lo chiama così) del T.d.O. è il desiderio di possedere tecniche e metodologia che emergano dalla stessa gente, dalla stessa cultura, dalla sua quotidianità verso cui c’è una ribellione. E’ la gente che critica, che vuole cambiare la sua stessa situazione. Nasce in contesti dove, per esempio, i militari sono in piena dittatura in America Latina. In Brasile c’è stata la prima dittatura, poi in Cile, in Argentina, frutto della strategia politica degli Stati Uniti.
Negli anni ‘50-‘60 Augusto Boal già aveva accumulato una forte esperienza in fatto di “corpo”. Fu discriminato e torturato per aver voluto comunicare alla gente la sua visione della realtà contemporanea. Ma la metodologia e le tecniche di Boal continuano a svilupparsi fino ai nostri giorni, espandendosi in altri paesi dell’America Latina e dell’Europa.

Ronald: Il T.d.O. è una tecnica teatrale, un insieme di esercizi, di giochi…ma è soprattutto un metodo che attraverso il teatro forum, il teatro immagine ci sta aiutando moltissimo per cambiare, ha un obiettivo preciso.

Vladimir: In questo periodo particolare il tema dell’Assemblea Costituente è l’asse portante del lavoro che stiamo sviluppando, ma fondamentalmente lavoriamo con differenti forme di oppressione che si presentano nella società, che siano di tipo domestico, nel lavoro, nell’educazione, nella vita, nel campo dei diritti umani.
In questo momento a Santa Cruz molte organizzazioni di popoli indigeni in particolare si stanno attivando rispetto alla Costituente. Questo sta influenzando il comportamento del governo. La domanda sociale chiude il ciclo storico iniziato con l’ottobre 2003 e rompe la litania permanente della paura, dello stare lì della gente schiacciata dai suoi oppressori: Banzer, Jaime Pasamora, Sanchez de Lozada…atrocità.
Questo paese ha vissuto un’epoca che i giovani non hanno conosciuto, ed è lì il nostro obiettivo. Ci sarà un concorso “Cosa vuole il giovane dal futuro?” Chi è il giovane del futuro? Perchè non ha passato quello che noi abbiamo passato!

Quali sono le reazioni alla proposta di lavorare con il metodo del Teatro dell’Oppresso?

Vladimir: Quando si parla di T.d.O. la gente si spaventa. Addirittura nei contesti educativi, nelle scuole per esempio. Si spaventano a sentir parlare di un teatro che mette in discussione i regimi autoritari. 

Chi si spaventa in particolare?

Vladimir: La gente “intellettuale”, che più se ne intende di arte, di teatro, di letteratura, che è stata protagonista nella riforma educativa. Lo stesso succede nella “Normale”(2). Si spaventa la gente che non vuole cambiare. Perchè è il linguaggio della crisi. C’è dittatura pur considerandoci in democrazia, semplicemente è un po’ più invisibile. Lo stato di oppressione è del sistema stesso, del sistema economico.
Io sono senza lavoro e devo pensare a come fare. Sto pensando di travestirmi, lo possiamo fare. Questa è la capacità che abbiamo: di metterci alla prova. Molte volte ci chiediamo perchè stiamo facendo teatro dell’oppresso: per trasformare da dentro. E per fare questo dobbiamo essere molto fantasiosi e saper metterci nel pensiero della gente, entrare e uscire, aprire finestre e demistificare molte cose, decifrandole. Io sono un amante del mito, lo adoro. Ma credo che ora siamo noi che dobbiamo creare miti. Io posso avere le mie contraddizioni ed il bello del T.d.O. è che rivela le tue contraddizioni e ti mette alla prova. Questo stato di oppressione come schema sociale, è istituzionalizzato a partire dalla scuola e dalla stessa famiglia, nella relazione con i genitori, fino al macrosistema. E così nasce l’ esclusione. C’è un mascheramento di molte cose nella società che noi stessi dobbiamo praticare come buoni teatranti per saperci mimetizzare e saper rispondere, mettere in discussione dalla base. Se nel senso comune c’è il principio di “mettere in equilibrio”, uno dei principi del T.d.O. è disequilibrare il sistema, “togliere il tappeto al capo”.

Carlos: questo sistema prevede un lavoro collettivo in cui si smette di parlare ed entra in azione il corpo. Quando smettiamo di parlare si manifestano altre cose, invisibili ma belle. Questo sistema scompone il tempo e fa risaltare la spazialità, le sue forze e la loro interazione. Così si può parlare di secoli, millenni in un momento, in un’immagine, questo è il bello, la ragione per la quale siamo qui.

Josè Luis: Ti posso raccontare di alcune reazioni. Alcune persone che sentono “Teatro dell’Oppresso” pensano che sia anacronistico, che sia cosa del passato, del periodo della dittatura, quando si parlava di “oppressi”, mentre ora, a loro dire, pare che non esistano oppressi. Perciò vogliono cambiare nome con “teatro della multiculturalità”, cose di questo genere. Suona duro “Teatro dell’Oppresso”. C’è una paura verso ciò che è la trasformazione. Suppongo che molta gente, che al tempo lottava, ora abbia un lavoro stabile, o per lo meno abbia cambiato visione della realtà, perciò non si preoccupa più di certe cose. “Stiamo diventando vecchi, abbiamo già lottato da giovani!”. C’è questo timore a dover tornare a lottare per cambiare la società. Ma questa è una tendenza solo di alcune persone, noi abbiamo deciso di esserci e questo è un movimento a livello mondiale, pienamente vigente in questo momento. Nessuno pensa di cambiare nome. In America Latina, Europa, Stati Uniti, Africa, Asia, in tutto il mondo esiste l’organizzazione internazionale del T.d.O. e sta funzionando. E’ necessario fare capire quello che sta succedendo nel mondo. Perchè finchè c’è oppressione ci saranno oppressi. Da sempre, dall’inizio del mondo, fino alla fine c’è stata e ci sarà oppressione. Non dobbiamo avere paura, nè della parola, nè del fatto.

Carlos: Per eredità culturale fra gli uomini risulta che alcuni sono più oppressi di altri e che alcuni opprimano più di altri, siano essi genitori, sacerdoti, professori, scienziati o artisti. Anche l’artista opprime perchè sta in alto ed il pubblico sta in basso… ma la gente può avere la possibiltà di liberarsi attraverso l’appropriazione del proprio corpo.

Vladimir: Il poliziotto è sempre vigente nella nostra testa, ci hanno educato così e purtroppo siamo riproduttori del sistema. E così, come siamo riproduttori individuali, apparteniamo anche ad una corrente senza fine, della scuola e delle istituzioni. Le istituzioni creano un circuito fra te e la realtà ed in esse c’è il poliziotto… è qua che dovremmo approfondire il lavoro. Purtroppo è molto difficile lavorare con le grandi istituzioni o per lo meno portare avanti progetti sostenibili. Per il momento quello che stiamo facendo è un lavoro da formica.

Josè Luis: Vorrei parlare ora di quelli che non si spaventano: i settori più svantaggiati che si identificano con chi subisce l’oppressione. Il popolo che dalla nascita alla morte deve soffrire, che paura può avere ad assumere un ruolo in questo processo di cambiamento!? E’ la grande differenza: questa gente nasce con la coscienza di essere oppressa.

Quali sono questi settori svantaggiati con cui lavorate?

Per esempio a Llallagua (Nord Potosi’) stiamo lavorando con giovani minatori, o figli di minatori, studenti della scuola secondaria, dell’Università che realmente trovano nel T.d.O. una possibilità di riscatto dall’oppressione. Il problema è che ci hanno insegnato a pensare in teoria e molto in grande: si parlava di “imperialismo oppressore”. Con il teatro passiamo dal particolare al generale: vedi come ti senti come persona, chi ti opprime e poi vediamo da dove viene. Arriviamo a capire perchè ci danneggiamo comprando Coca Cola… e parliamo di “imperialismo” quando noi stessi ne siamo alleati!
Il teatro permette alla gente di vedere l’oppressione nella sua natura reale, non teorica, non di discorso politico. Molti leader ci stanno opprimendo, ma non ce ne rendiamo conto. Però quando lo proviamo sulla nostra pelle, lì si può comprendere e appropriarsi del metodo. L’esperienza che stiamo sviluppando realmente trasforma.

Lavorate anche con organizzazioni sociali?

Sì, coordiniamo azioni con differenti realtà sociali: con organizzazioni di base, di popoli originari, con ONG, con la Chiesa e con settori strategici di lavoro.

Come si struttura il lavoro?

Da una parte stiamo facendo un lavoro di diffusione sul tema dell’Assemblea Costituente raccogliendo anche proposte, domande, opinioni della gente rispetto a questo processo. Attraverso queste organizzazioni possiamo lavorare con i più piccoli gruppi di quartiere, con le scuole, con le università, con i sindacati e con la gente che vive in strada.
D’altra parte ci occupiamo di formazione, per esempio con organizzazioni che lavorano con i diritti umani come l’Assemblea Permanente per i Diritti Umani di La Paz. Inoltre stiamo collaborando con il gruppo di “Investigadoras comunitarias” dell’Universidad de El Elto (UPEA) e dell’Universidad Mayor San Andres (UMSA) di La Paz. Queste ricercatrici stanno collaborando con organizzazioni di donne e con noi stanno considerando le discriminazioni che vivono ad esempio le leader nelle università, le venditrici nei mercati, le collaboratrici domestiche, ed in generale le donne che lavorano in contesti che al tempo erano esclusivamente per uomini. Queste persone si sono formate rispetto all’utilizzo del metodo ed ora lo stanno diffondendo nelle loro comunità. Il gruppo di Llallagua, per esempio, si sta preparando per affrontare un tour nella regione del Nord Potosì, in cui applicherà il metodo per raccogliere proposte in vista dell’Assemblea Costituente.

Carlos: Un altro gruppo con cui abbiamo preso contatti è l’Assemblea del Popolo Guaranì. Questo popolo è stato sfruttato, schiavizzato e massacrato dallo Stato boliviano alla fine del secolo XIX. Ora si è riorganizzato in maniera molto forte a partire dal sindacalismo campesino. Chiedono un cambio, vogliono creare un nuovo dipartimento (costituito da parte di Santa Cruz, Tarija e Chuquisaca). Così vogliono riordinare i loro diritti e la loro autonomia ponendo fine alla discriminazione subita fino ad ora.

Qual è il progetto per quest’anno?

Josè Luis: continueremo il lavoro iniziato nel 2004, cioè il processo di “Teatro legislativo” vincolato all’Assemblea Costituente. Trovandoci in una tappa precostituente stiamo raccogliendo domande e proposte. Viviamo in un nuovo scenario politico, con un nuovo governo di carattere popolare e perciò ci stiamo vincolando ai deputati uninominali di alcune circoscrizioni di La Paz. L’idea è di costruire ponti fra il parlamento e la società civile. Questo è il ruolo che giochiamo e questo deve canalizzarsi nella Costituente, tenendo i contatti direttamente con i costituenti eletti.

Carlos: Ora tutto dipende da quanto e come stabiliamo contatti strategici, a maggior ragione ora con un nuovo parlamento e con un presidente indigeno. La gente che lo ha votato deve disporre di uno strumento politico per interagire.
Quello che a noi piace è la possibiltà di mettere in discussione il sistema; non solo i partiti, ma anche le organizzazioni sociali, mettere in discussione i valori.

Un’ultima scheggia…

Vladimir: …Bene, “è necesario raggiungere il benessere dell’essere umano” dice Augusto Boal. L’idea è che si viva pienamente la democrazia, che si viva come esseri umani, che si vivano le differenze degnamente. E’ necesario recuperare molto di quello che abbiamo fatto in passato e la priorità è il popolo: “para el pueblo lo mejor”. Il lavoro deve essere ben fatto perchè è parte di un processo di liberazione.

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