Editoriali
Un’altra informazione possibile
Il giornalismo di base dei Caschi Bianchi al Foro Sociale Mondiale di Caracas.
Scritto da Francesca Ciarallo (Redazione Antenne di Pace)
Quest’anno il Foro Sociale Mondiale, che storicamente e forse potremmo dire “tradizionalmente” siamo abituati ad associare alla città brasiliana di Porto Alegre, si è invece svolto in due tempi e località differenti: a Bamako, capitale dello stato africano del Mali dal 19 al 23 gennaio, e a Caracas, capitale del Venezuela, dal 24 al 29 gennaio.
L’idea di organizzare ogni anno un Foro sociale nacque nel 1998, in seguito alle “proteste vittoriose” contro il Mai, l’Accordo Multilaterale sugli Investimenti (1), alla creazione di Attac In Francia(2) e il successo delle manifestazione di Seattle contro il summit dell’organizzazione mondiale per il commercio (WTO).
“Sul piano tattico si trattava di creare una sorta di contraltare, di segno politico opposto, al forum economico mondiale che ogni anno, a fine gennaio, riunisce i nuovi padroni del mondo a Davos, in Svizzera. E là accorrono ossequiosi i responsabili politici degli stati del Nord e del Sud, per fare professione di lealtà. Vi era una tale indecenza, una così totale abdicazione della politica che occorreva reagire.
E’ nata così la scommessa di convocare, nelle stesse date, un altro forum: non economico ma sociale, non al Nord ma al Sud. E precisamente a Porto Alegre. In questa città del Brasile ha avuto luogo, nel 2001, il primo FSM, la cui parola d’ordine era: un altro mondo è possibile. Da questa frase nasce anche il termine altermondialismo, per designare una corrente plurale che accoglie in sé tutta la varietà delle opposizioni alla globalizzazione liberista.
L’FSM è un progetto politico forte e visionario. La sua ambizione è riunire in uno stesso luogo, attraverso varie associazioni, organizzazioni non governative e sindacati, i rappresentanti di tutti gli abitanti della Terra. E in particolare tutti e tutte coloro che subiscono le conseguenze disastrose della globalizzazione e vi si oppongono.” (3)
Dunque l’FSM nasce da un’intenzione politica forte e radicale: un’assemblea della società civile e non dei capi di stato o di governo. L’umanità che rappresenta se stessa, direttamente senza intermediari. Eppure con il tempo, come fa rilevare lo stesso Ramonet, quest’obiettivo si è sempre più stemperato e confuso e nella mente di alcuni è del tutto svanito. Era diventato una sorta di folcloristico “salone mondiale della società civile” uno spazio di incontro-dibattito senza sbocchi concreti. E’ nata così un’ampia discussione sul senso, la funzione e il futuro dei fori sociali.
Hanno davvero un futuro o sono un raduno di esclusi dalla storia? Migliaia di persone che una volta all’anno decidono di condividere i propri sogni e di immaginare un mondo diverso hanno un senso? E ha un senso o meno riunire intellettuali, esponenti politici, sociologi, sindacalisti, donne e giovani perché si affannino a trovare proposte e risposte per cambiare il modello di sviluppo economico, sociale e politico del pianeta?
Il Foro starebbe d’altra parte attraversando una crisi di adolescenza, secondo Irene de Leòn, membro del comitato organizzatore del Primo Foro delle Americhe che si è tenuto a Quito, in Ecuador, nel luglio 2004. Il foro come esperienza globale è nato, secondo la De Leòn, “ricco di idee e di proposte, ma soprattutto plurale ed eterogeneo”, “come uno spazio per lo sviluppo di alternative, come motore per il cambiamento di tutti i popoli che lottano, che sono esclusi e che hanno una visione che è diversa da quella dominante”. Con il passare degli anni e con il consolidamento del neoliberismo quale modello economico e politico dominante, l’utilità di una esperienza di questo tipo può essere un momento di “convergenza” dei movimenti sociali nella lotta contro le formula del Consenso di Washington, un punto di incontro per elaborare proposte e una tappa di verifica dei processi elaborati: “c’è un tempo per l’incontro, per la lotta e per i processi”. La chiave del successo “sta nel saper combinare queste tre fasi”. Il futuro dei movimenti sarebbe, quindi, nella loro capacità di ripensare formula e contenuti dei fori sociali in relazione ai processi storici, sociali, economici e politici con i quali si confrontano. In questo senso, la decisione di convocare tre fori policentrici così come il fatto che essi “si stiano svolgendo o si svolgeranno nel Sud del mondo (Caracas, Bamako e Karaki), pretendendo di parlare a tutto il mondo “va letta come un messaggio inequivocabilmente rivolto al Nord del pianeta”.
Nel nostro piccolo, abbiamo provato a dare una risposta a i dubbi esposti. Abbiamo tentato un processo di comprensione, attraverso una presenza al Foro Sociale di Caracas.
La presenza di quattro Caschi Bianchi, quattro ragazzi italiani che, come tutti gli altri Caschi Bianchi, già nella loro quotidianità hanno fatto una scelta “altermondialista”, spendere un anno della propria vita al Sud nella condivisione diretta. Una migrazione al contrario.
Il dossier che presentiamo in queste pagine è frutto del loro giornalismo di base a Caracas, e ci porta un punto di vista in qualche modo privilegiato, un approccio di giovani, a volte ingenuo, altre volte disilluso, ma, e questo è il suo valore, privo di pregiudizi, autentico.
(2) ATTAC, Associazione per la Tassazione delle Transazioni finanziarie e per l’Aiuto ai Cittadini è un movimento di auto educazione popolare orientato all’azione e alla costruzione di un altro mondo possibile. Nasce in Francia nel 1999 e oggi è una rete internazionale presente in oltre 40 paesi nel mondo. Tra i suoi esponenti il più conosciuto è Josè Bovè.
(3) Ignacio Ramonet, Le Monde Diplomatique, gennaio 2006.
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