Editoriali Italia

Forse manca qualcosa

La “voglia di vivere” del Terzo Mondo nei racconti di alcuni Caschi bianchi

Scritto da Chiara Santomiero (Agenzia Sir, Conferenza Episcopale Italiana)

“Se nel cuore cerchi la libertà e aspiri alla felicità, rispetta la vita, sempre e a ogni costo”: è l’invito contenuto nel messaggio per la 28ª Giornata per la vita, fissata per il 5 febbraio prossimo. Sono molte le esperienze di chi esprime il rispetto della vita attraverso il servizio a persone ai margini dell’attenzione del mondo, scegliendo di dare loro voce. Tra queste, i Caschi bianchi: giovani volontari e volontarie in servizio civile che svolgono il proprio servizio all’estero, in missioni di promozione della pace, dei diritti umani, dello sviluppo e della cooperazione fra i popoli, all’interno di un progetto elaborato congiuntamente dall’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, dalla Caritas italiana e da Volontari nel mondo – Focsiv.

COSTRUTTORI DI PACE POSITIVA. “I caschi bianchi – spiega LAURA LANNI, formatrice dei ragazzi del servizio civile dell’Associazione comunità Papa Giovanni XXIII – sono un corpo civile di pace, basato sui principi della difesa popolare non violenta, che è presente all’estero in situazioni di conflitto armato o di violenza strutturale per la mancanza di rispetto dei diritti umani”. Essi operano:”Per la costruzione di una pace positiva, che non significa semplicemente assenza di conflitto”. “Uno dei punti fondamentali del loro mandato – spiega Lanni – è la consegna di raccontare il contesto in cui sono inseriti. Non si tratta di giornalisti professionisti, ma di giovani che condividono la vita delle persone di cui parlano, alloggiando con loro nelle case di accoglienza per ragazzi di strada, in comunità terapeutiche o case famiglia e facendo propria l’affermazione di Kapuscinski secondo la quale non si può raccontare di qualcuno senza condividerne almeno in parte la vita”. In occasione dell’ultimo bando (giugno 2005) sono state presentate alla Papa Giovanni XXIII, 120 domande per 34 posti disponibili; nei 10 anni dal primo riconoscimento della possibilità di svolgere il servizio civile all’estero, la comunità ha inviato in varie missioni circa 100 caschi bianchi.

IMPARARE LA VOGLIA DI VIVERE. A Nairobi, capitale del Kenya, esistono 140 slums, cioè insediamenti di baracche. In uno di questi ha svolto il servizio civile, da gennaio a settembre del 2003, GIGI SARACONI di Vicenza. “Quando sono arrivato a Soweto – racconta Saraconi – dopo anni di volontariato e di percorso interiore, con l’idea di dedicarmi totalmente agli altri per un periodo prima di entrare nel mondo del lavoro, ho trovato non un altro Paese, con diverse tradizioni, lingua, cultura, ma un altro pianeta. Ho vissuto con i ragazzi di strada, che vivono lì perché a casa non hanno da mangiare; in strada, rubando e frugando tra le immondizie, trovano qualcosa che assomiglia a un contesto familiare”. La casa di accoglienza per questi ragazzi era come le altre abitazioni di Soweto: lamiera e illuminazione a petrolio. “Attraverso la condivisione della loro vita – prosegue Saraconi – scatta una molla e ti dimostrano un affetto disperato: un africano deve essere proprio disperato per volere un legame con un portafogli che cammina come definiscono gli occidentali. Ho dovuto sradicare e ricostruire tutto ciò in cui credevo, a partire dal concetto di diritti umani”. Eppure a Soweto c’è: “Vita con la v maiuscola. La gente non sopravvive, come pensiamo noi in occidente, ma vive con una dignità, un coraggio, un’energia che non riusciamo ad immaginare e sorride molto più spesso che da noi. La cosa più grande che mi ha lasciato questa esperienza è proprio la voglia di vivere”.

APPARTENERE AD UN UNICO MONDO. “Il Cile – spiega ABELE GASPARINI, di S. Mauro Pascoli, in servizio civile a Santiago dal dicembre 2004 ad agosto 2005 – non è un Paese povero (ogni anno l’economia cresce del 7%), ma ospita fortissime disuguaglianze. Il 10% della popolazione vive nell’indigenza e un altro 10% possiede 50 volte quanto possiedono tutti gli altri insieme”. Oltre all’impegno in una casa di accoglienza per ragazzi di strada, Gasparini ha collaborato a un progetto di coordinamento di organizzazioni cilene per una legge che riconosca l’obiezione di coscienza in un Paese dove il servizio militare è obbligatorio: “La nostra esperienza di servizio civile all’estero – spiega – permette anche di mostrare un modello diverso dal tipico ragazzo occidentale ricco al quale si pensa in queste latitudini”. “Ho incontrato persone – afferma Gasparini – che mi hanno insegnato molto, soprattutto un modo di vivere più umano. La domenica nei parchi, c’è tantissima gente insieme: i giovani con gli adulti e con gli anziani, che non stanno da soli come da noi”. “In Italia – conclude Gasparini – non mancano i valori, ma forse manca qualcosa che ti faccia amare la vita. L’esperienza da casco bianco mi ha fatto riappropriare del gusto della vita e della coscienza di essere parte di un unico mondo”.

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