Caschi Bianchi El Salvador

Intervista a p. Benito Tobar

Intervista ad un uomo che ha vissuto gli anni della guerra e che ha conosciuto e lavorato con Monseñor Romero e Marianella Garcìa Villas,impegnati nella tutela dei diritti umani e dei prigionieri politici.

Scritto da Nicola Strona, Casco Bianco a Quazaltepeque

Ho incontrato padre Benito Tobar nella sua parrocchia nella periferia di San Salvador. E’ stato un incontro molto piacevole.
L’obiettivo dell’intervista era quello di avere un quadro generale della situazione de El Salvador e di approfondire la figura di Marianella Garcìa Villas, una donna impegnata a livello generale nel tutelare i diritti umani; in particolare nel difendere i diritti dei prigionieri politici.

Chi è Padre Benito Tobar?
Padre Benito è nato nel Dipartimento de Chalatenango, nella parte settentrionale del Salvador, nel 1944. Ha condotto tutti gli studi di sacerdote in El Salvador con i padri gesuiti (alcuni di quelli che furono assassinati nel 1989 alla UCA – Università del Centroamerica – furono suoi professori). E’ sacerdote diocesano da trentatré anni.
Ha lavorato con il movimento di studenti, di insegnanti e dei contadini; insieme a Monseñor Oscar Arnulfo Romero nel Equipo Vicarial o de Senadores (Gruppo Vicariale o di Senatori), un gruppo di sacerdoti che è vicino e consiglia l’arcivescovo.
Esiliato per alcuni anni, ha lavorato sia con i rifugiati salvadoregni, sia in una parrocchia del Chiapas (Messico) con indigeni.
Attualmente lavora in una parrocchia alla periferia di San Salvador.

Come si presenta il Salvador dal punto di vista politico-sociale negli anni che anticipano la guerra civile?
A partire dagli anni Trenta il Paese è stato retto da dittature militari. I militari controllavano la vita del Paese dal punto di vista politico ed economico. I paramilitari, civili armati, controllavano la popolazione in nome del governo.
L’intera economia del Paese era tenuta in mano da quattordici famiglie (Girola, De Sola, Regalados,..) che avevano il controllo del 70-75% delle terre e di conseguenza il monopolio delle coltivazioni, principalmente caffè, cotone e canna da zucchero. El Salvador era un Paese quasi esclusivamente agricolo e la forza lavoro nella campagne era la più consistente, ma non era tutelata da forze sindacali. La maggior parte dei contadini erano coloni, che vivevano con la propria famiglia in condizioni di semi schiavitù in capanne (ranchos) all’interno della tenuta (finca). Tutti i componenti della famiglia lavoravano per il patrono, il proprietario della finca.
Il restante 25-30% delle terre era dei contadini; queste terre erano le meno fertili ed erano dislocate nelle regioni settentrionali di Chalatenango, Cabañas e Morazàn. I contadini proprietari di queste terre (indipendenti) vivevano in condizioni precarie a causa della scarsa fertilità della terra.
Le 14 famiglie avevano anche il controllo politico del governo militare. A sua volta, il governo aveva il controllo assoluto sulla popolazione e lo manteneva sia attraverso la repressione, sia terrorizzando la popolazione con minacce. Frequenti erano le catture, i casi di scomparsa e di assassinio, o l’esilio dei dirigenti sindacali, studenteschi e di intellettuali.
Nel Paese non vi erano libertà sindacali; c’erano sindacati operai, ma non per i contadini. Non c’era libertà di stampa; le manifestazioni erano illegali (non erano autorizzate).
La condizione di miseria dei contadini, la mancanza di libertà politiche e di partiti politici (vi era solo quello dei militari, PRUD – Partido Revolucionario de Unificaciòn Democratica, che si chiamerà poi PCN – Partido de Conciliaciòn Nacional, mentre il PC – Partito Comunista – era illegale), l’assenza di sindacati dei contadini e la repressione politica sono i principali fattori che portavano la gente a pensare che non ci sarebbero state altre vie di uscita se non la soluzione armata. Il movimento dei contadini, il settore operaio, studenti e insegnanti e intellettuali hanno iniziato così a cercare di cambiare la situazione e a lottare per la democrazia nel Paese.
“No hay caminos pacìficos para luchar por la democracia” (Non ci sono strade pacifiche per lottare per la democrazia) e così sono nati i primi gruppi armati (1).
Negli anni Sessanta, a partire dal Concilio Vaticano II (2), la posizione della Chiesa, soprattutto schierata in difesa dei diritti umani delle persone, era molto vicina a quella del popolo. Questo ha aumentato da un lato la partecipazione del popolo ai movimenti di protesta; dall’altro, ha provocato una forte repressione nei confronti dei membri della chiesa.

In un contesto come questo di continua violazione dei diritti umani e di mancanza di libertà politiche e civili ci furono persone che si batterono perché venissero riconosciuti i diritti umani?
Sì. In questo contesto ci sono state persone e organizzazioni che si sono occupate della difesa dei diritti umani; tra queste sicuramente una figura di spicco è stata quella di Marianella Garcìa Villas, che ho avuto modo di conoscere alla fine degli anni Sessanta.
Marianella nacque nel 1948 da madre salvadoregna e padre spagnolo.
Condusse gli studi di primaria (elementari e medie) in Salvador nel Collegio di suore, mentre gli studi di segundaria (liceo) in Spagna, a Barcellona. A fine anni Sessanta -inizio Settanta, tornata in Salvador, si iscrisse all’Università Nazionale, dove studiò filosofia e diritto. Nel periodo universitario visse e si integrò al movimento studentesco della Democrazia Cristiana. Successivamente venne presentata dalla DC come deputato e dal 1974 al 1976 fu membro del Parlamento. Grazie alla partecipazione politica Marianella prese coscienza delle violazioni dei diritti umani.
Nel 1978 creò, non da sola, la Comisiòn de Derechos Humanos no Gubernamental – CDH (Commissione dei Diritti Umani Non Governativa).
A causa del suo attivismo venne arrestata diverse volte tra il 1977 e il 1980.
Nei primissimi anni Ottanta decise di abbandonare il partito, poiché la DC si stava alleando con il PCN. Parallelamente venne nominata presidentessa della CDH e lavorò in difesa dei diritti dei prigionieri politici. I suoi sforzi lavorativi le diedero riconoscimenti a livello internazionale. In seguito a numerose minacce andò in Svizzera, ma alla fine del 1982 decise di ritornare in Salvador e di lavorare qui con la CDH.
Nel marzo 1983 si recò in una zona di guerra (nei paesi di Suchitoto e Guazapa) per vedere come agiva l’esercito. Venne catturata, ferita e torturata nel cerro di Guazapa; morì in seguito alle torture, durante il ricovero in ospedale.

Marianella indagava anche sull’uso di armi chimiche da parte dell’esercito?
Marianella viaggiava nel Paese in zone di guerra per provare l’uso di armi chimiche da parte dell’esercito.

Come viene ricordata oggi la figura di Marianella nel Paese?
Marianella, come del resto molte altre persone che si batterono per il miglioramento delle condizioni nel Paese, oggi non viene ricordata. Questo è il segnale della dimenticanza, dell’assenza di una coscienza storica e della mancanza di volontà di tener vivo il sentimento storico nel Paese. In Salvador c’è solo un gruppo (CODEFAM), che si batte per la difesa dei diritti della donna, che ha intitolato la propria organizzazione al nome di Marianella.

I gesuiti però mantengono una memoria storica? 
I gesuiti pubblicano molto e ricordano i martiri della UCA (Università del Centroamerica).
Non ci sono studi però sui personaggi di spicco, come Marianella, e altri intellettuali e maestri; pubblicano e ricordano la figura di Monseñor O. A. Romero anche se non era un gesuita.
Solo i diocesani stanno lavorando per raccogliere dati, soprattutto sui sacerdoti assassinati tra 1970 e 1989 (3).

Furono numerosi i casi di membri della Chiesa assassinati in questo periodo?
I sacerdoti uccisi in questo arco di tempo furono circa venticinque.
Il numero delle persone assassinate, che avevano un ruolo attivo di collaborazione ed erano particolarmente compromesse con le organizzazioni ecclesiastiche (catechisti, segretarie parrocchiali, delegati della Parola,..), è superiore a ottocento.

Come ha avuto modo di conoscere Marianella?
L’ho conosciuta alla fine degli anni Sessanta nell’Associazione Cattolica Universitaria Salvadoregna (ACUS – Asociaciòn Catòlica Universitaria Salvadoreña). Era un’associazione studentesca, soprattutto di studenti dell’università Nazionale, che si riuniva ogni settimana per leggere la Parola. Io ho partecipato a questo gruppo come seminarista.

E avete avuto occasione di lavorare insieme?
No. Lei già lavorava nella Commissione dei Diritti Umani.

Perché è importante oggi mantenere vivo il ricordo di Marianella?
Ritengo che sia importante ricordare Marianella per tre principali ragioni:
1- E’ stata una delle persone che con il suo lavoro ne El Salvador aiutò a fare prendere coscienza di ciò che sono i diritti umani in generale e i diritti dei prigionieri politici in particolare.
2- Ha rappresentato un esempio per il Paese poiché era donna impegnata e non povera, ma di classe media;
3- E infine la sua fede militante come cristiana: la sua fede in Dio l’ha portata ad essere una militante cristiana, a lavorare e a dedicare la sua vita agli emarginati e ai perseguitati. “Su fe en Diòs la llevò a ser una militante cristiana trabajando o dedicando su vida a favor de los marginados y perseguidos”.

Come si è evoluta la situazione generale del Salvador dalla fine della guerra?
Con la fine della guerra e la firma degli accordi di pace (1992) sono stati ottenuti risultati positivi, soprattutto per quanto riguarda la partecipazione politica, la libertà di stampa e dei media, l’abolizione della tortura e la fine di casi di scomparsa di prigionieri (desapariciones), la distribuzione di terre ai contadini (soprattutto in favore di ex combattenti soldati e guerriglieri), e una maggior democrazia nella società.

Oggi come si vive in El Salvador?
Nonostante questi aspetti positivi, la situazione generale in cui vive oggi il Paese è tuttavia molto più grave rispetto a quella degli anni precedenti alla guerra. In particolare, mi sembrano significativi questi aspetti:
1. la condizioni di miseria e di povertà sono molto più diffuse;
2. la ricchezza è molto più concentrata nelle mani di una ristretta cerchia di persone; mentre infatti prima il Paese era tenuto in mano da quattordici famiglie, oggi se ne contano solo cinque. La piramide quindi ha una punta più stretta e la condizione della classe media è più deteriorata;
3. la condizione di insicurezza è molto più grave rispetto agli anni passati, perché il popolo vive in un ambiente segnato dalla delinquenza (maras o bande).
4. Negli anni prima della guerra erano insicuri coloro che si sforzavano di difendere i diritti civili e politici. Oggi tutto il popolo è più insicuro;
5. Il flusso di emigrazione all’estero é aumentato considerevolmente propria a causa di queste condizioni di miseria e insicurezza.
6. Il governo si occupa esclusivamente degli interessi della classe ricca e opera con molta demagogia; “tiene como endrogado el pueblo” (mantiene drogato il popolo).
7. La politica estera è completamente asservita agli Stati Uniti d’America; per esempio, tra tutti i Paesi dell’America Centrale, solo El Salvador ha truppe in Iraq.
8. Gli aspetti sociali della vita del Paese vedono:
• Il sistema sanitario privatizzato;
• L’istruzione un privilegio per pochi e privatizzata.
9. La Chiesa cattolica ufficiale oggi è assente sul piano sociale e per la quasi totalità non si preoccupa molto di incidere nella soluzione dei problemi del popolo.

La chiacchierata con Padre Benito Tobar termina qui e devo dire, a conclusione di questo colloquio, che le sue informazioni e i suoi racconti di vita vissuta confermano una volta di più le impressioni e le esperienze che ho potuto avere vivendo qui, ne El Salvador, anche se soltanto per nove mesi. Colpisce in modo particolare la condizione di estrema povertà in cui è costretta a vivere la maggior parte dei salvadoregni e questo aspetto costituisce forse il principale ostacolo che impedisce la crescita e lo sviluppo delle condizioni di vita della popolazione. Questa situazione di povertà è la causa di tutte le piaghe sociali; tra tutte spiccano la delinquenza e il livello di insicurezza in cui vive la gente; il lavoro informale che coinvolge soprattutto donne e bambini; lo sfruttamento del lavoro minorile; l’elevato tasso di analfabetismo, soprattutto nelle zone rurali. Effettivamente la situazione generale del Paese appare oggi molto critica.

Note:1. I gruppi armati sono quattro. Il primo gruppo fu fondato da Salvador Caetano Carpio nel 1971 ed era formato da contadini, operai e studenti. L’organizzazione del gruppo era su due livelli: da un lato prevedeva l’organizzazione del popolo nelle fabbriche; dall’altro si organizzava a livello militare con la guerriglia.
2. Il Concilio Vaticano II contrario ad ogni forma di oppressione, ingiustizia e disuguaglianza delle persone.
3. Nel 1989, con l’assassinio dei gesuiti alla Uca, terminano le repressioni contro i religiosi.

Nicola Strona ha conosciuto in Salvador l’Associazione “Marianella Garcia Villas” onlus.
La storia dell’Associazione “Marianella Garcia Villas” onlus inizia ufficialmente il 20 gennaio 2005 dall’incontro di un gruppo di persone che coltivano la grande passione per il Centro e Sud America, ed in particolare con El Salvador. L’associazione ha instaurato un rapporto di amicizia e cooperazione con p. Benito Tobar e p. Gregorio Landaverde che operano in due quartieri periferici della capitale.
Per ulteriori informazioni http://www.guasal.it

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