Caschi Bianchi Cile

Colori, proteste, acqua, pietre: cronaca della marcia del Forum Sociale Cileno

19 novembre 2004: più di 60 mila persone hanno risposto all’appello degli organizzatori. I Caschi Bianchi sono nell’équipe addetta alla sicurezza. Fino a marcia conclusa tutto secondo i piani, ma nel giro di cinque minuti ogni cosa cambia.

Scritto da Daniele Biella (Casco Bianco a Santiago del Cile)

h.8.15
Il risveglio di Peñalolen è una magnifica giornata di sole, l’aria è frizzante e le Ande, tanto vicine, sembrano svettare ancor più del solito.
 Oggi, venerdì, è stato dichiarato giorno festivo, poiché inizia l’APEC, e tutta Santiago si ferma, per lasciare la passerella a ventuno leader mondiali che passeranno il fine settimana insieme per prendere decisioni volte a migliorare, si suppone, la loro situazione economica e i rapporti bilaterali.
Il pullman che prendiamo (qui si chiama micro) è molto meno affollato del solito, così come lo sono le strade che scorrono in picchiata verso il centro. La meta è il parco Almagro, il punto di partenza della Marcia del Forum Sociale Cileno, all’organizzazione della quale noi Caschi Bianchi, assieme a molti altri volontari, ci siamo dati da fare per circa un mese.
Finalmente, il gran giorno è arrivato. Siamo in sette a partire da Peñalolen, metà “caschi” metà volontari, tutti italiani.  Sulla pelle condividiamo brividi di emozione, di fremente attesa. I nostri occhi, seppure assonnati, si rendono conto che la giornata appena cominciata non sarà, non dovrà essere una giornata qualsiasi.

h.9.30
Non c’è moltissima gente, quando arriviamo al parco. I presenti sono organizzatori e capigruppo che allestiscono scenari, striscioni e distribuiscono materiale da utilizzare durante la Marcia.
Dopo pochi minuti ci incontriamo con gli altri Caschi Bianchi cileni (ci siamo quasi tutti: Chiara, Vera, Mariachiara, Lorenzo, Fabio, Giuliano, Daniele; l’unica defezione è quella di Matteo, neopapá e per questo scusato) e ci dirigiamo al punto di ritrovo della “Commissione Sicurezza Marcia”, circa settanta persone che si metteranno ai lati della folla marciante durante tutto il percorso, lungo una decina scarsa di chilometri.
Con tanto di pettorine, coordinazione attraverso cellulare, divisione in gruppi, furgone che trasporta materiali e chiuderà il corteo, ci sentiamo pronti a entrare in azione, a far sì che questo ritrovo multicolore dia un messaggio di protesta pacifica e popolare verso quei Capi di Stato (riuniti al forum APEC e scortati, o meglio isolati da più di quattro mila Carabineros) dai quali la grande maggioranza della cittadinanza non si sente e non vuole essere rappresentata.
Secondo le stime, se si raggiungono le 10-15 mila presenze la Marcia sarà un successo. La lenta ma assidua affluenza indica la possibilità di un numero maggiore, staremo a vedere.
L’ambiente è tranquillo, sorridente, la fila di Carabineros che recinta il parco è in semplice uniforme e sembra guardare con curiosità i preparativi. Dopotutto, la Marcia è stata autorizzata dal Governo, proprio perché ritenuta una grande festa piuttosto che un’occasione di scontro tra protestanti e forze dell’ordine.
Ci sono bambini, anziani, religiosi, artisti, rappresentati di tutta la società cilena, quella che lotta ogni giorno con i problemi di una capitale sudamericana vicina ai sei milioni di abitanti: povertà, disoccupazione, violenza che sfocia nella repressione poliziesca, assenza di valori morali fondamentali.
C’è la stampa, nazionale e internazionale, che ritiene questo incontro popolare un momento storico per una Nazione uscita solo quattordici anni fa da una dittatura feroce e sanguinaria, i fautori della quale godono ancor’oggi di un’indecente impunità.

h.11.00
Con puntualità inedita per i ritmi sudamericani, alle undici in punto viene dato il segnale di partenza. E non sono 10 mila quelli che si riversano nelle strade, sono molti di più!
Ci si dispone al lato del corteo, che comincia a sfilare davvero colorato e rumoroso, capace di farsi sentire come una voce unica e forte: No queremos, no nos dan las ganas, ser una colonia norteamericana. Si queremos, si nos dan las ganas, una Latinomerica libre y soberana (1), è lo slogan più ripetuto, assieme a molti alti motivi dichiaratamente ostili al rieletto Presidente Statunitense Bush, che arriva in città proprio in giornata per l’APEC.
Que se vayan todos, ”Che se ne vadano tutti”, si consiglia con fermezza ai Potenti.
Il corteo è aperto da un carro allegorico imponente, con tre ragazze col corpo dipinto ed enormi facce tutt’attorno, raffiguranti la diversità culturale cilena, espressione di integrazione tra popoli indigeni e moderni.  Molti manifestanti appaiono con bende nere sugli occhi, simboleggianti la “cecità” dei Capi di Stato di fronte ai veri problemi delle Nazioni che vorrebbero rappresentare. Il resto, è un crogiuolo di suoni, colori, volti, la via della nonviolenza verso un Mondo Migliore in cui credono milioni di persone in tutto il pianeta.

h.12.10
Siamo nell’Alameda, l’arteria principale di Santiago. La Marcia occupa tutte le cinque corsie del senso di marcia che conduce a oriente, più il grande marciapiede a lato. E’ un tripudio di gente.
Noi siamo circa a metà di un corteo che non sembra aver fine, sono più di 60 mila i presenti, un successo clamoroso, la manifestazione popolare più importante in Cile da dopo la caduta di Pinochet. Il risveglio delle coscienze, verrebbe da dire.
Forse troppi anni dopo, ma quel che conta è esserci.
Al richiamo dell’altoparlante, installato su un camion colmo di persone che scattano foto in un continuo saliscendi, alcuni marcianti si paralizzano e si stendono a terra, a simboleggiare la morte dei diritti civili del comune cittadino. Ma è un attimo, perché la folla incalza da dietro, ognuno vuole “occupare” l’Alameda testimoniando il suo No a la APEC.
 Nessun problema di ordine pubblico finora, neanche il McDonald’s dell’angolo, assunto a simbolo malefico del Capitalismo, è stato preso di mira. Ha dovuto chiudere i battenti, come la maggior parte dei negozi e delle banche del centro considerate alleate di quello che qui chiamano Imperialismo Yankee.

h.12.45
Acqua, acqua a non finire, acqua che sembra scendere dal cielo, ma che invece è gettata da tutti i balconi di Santiago dove passa la Marcia, donata da persone comuni che, solidali con la moltitudine che manifesta nelle strade, offre loro una doccia inaspettata capace di cancellare in un attimo fatica e sudore accumulati sotto il sole afoso della giornata.
 E’ una serie di immagini stupende: migliaia di persone “a testa in su”, che con ampi gesti delle mani aspetta la secchiata giusta per mettersi a ballare e cantare sotto la pioggia. Momenti indimenticabili, coinvolgenti. Impossibile rimanerne fuori, anche per noi addetti alla sicurezza!

h.13.30
L’ultima curva, la strada che si fa più ampia, il parco Bustamante che ci accoglie già pieno di persone distese a riposare e ascoltare musica, che arriva da un imponente scenario allestito dalla “Commissione Cultura” del Forum Sociale Cileno.  La soddisfazione è grande, perché tutto è andato bene, apparentemente solo con qualche momento di tensione tra manifestanti un po’ troppo “caldi”, subito ricondotti alla protesta pacifica.
Il nostro gruppo si riunisce e ci si racconta le proprie sensazioni, nell’attesa di nuove indicazioni su dove posizionarci per garantire la buona riuscita del concerto, che alterna gruppi musicali a rappresentazioni artistiche.
Ci si ritrova anche con tutti i membri della Comunità Papa Giovanni XXIII che hanno partecipato alla Marcia: sono accorsi numerosi e coloratissimi, quasi tutti con una maglietta raffigurante una bambina che gioca all’altalena sul cannone di un carro armato. “Non esiste un Cammino verso la Pace: la Pace è il Cammino”, è la citazione gandhiana che spiega il disegno.
Nel frattempo, mi raggiunge una chiamata dall’Italia. E’ Radio Popolare, che tra poco mi trasmetterà in diretta affinché possa portare cinque minuti di “mondo cileno” nelle case italiane.

h.13.35
Il finimondo. Tutto in un baleno.
Con Chiara raggiungiamo Lorenzo, che col furgone chiudeva la marcia. Il tempo di un abbraccio di contentezza e, dal fondo della strada, arrivano rumori inaspettati che sradicano il sorriso dal nostro volto.
Gruppi di giovani retrocedono tirando pietre e gridando insulti alle forze dell’ordine, che appaiono in lontananza con i primi mezzi blindati. Si cerca di fare qualcosa, di dire ai ragazzi di smetterla, di non rovinare con la violenza e la stupiditá una festa collettiva. È, purtroppo, tutto inutile, sono essi stessi a volere lo scontro diretto, non interessano loro i nostri argomenti.
 Si scatena il caos: la gente tranquillamente seduta percepisce il pericolo e corre verso le vie di fuga, per fortuna numerose. Poco piú in là, carri armati lancia-acqua e camionette lancia-gas fanno irruzione nel parco, continuamente stuzzicati da un centinaio di persone “mascherate” che scaraventano addosso alle macchine qualsiasi cosa capiti sotto tiro: panchine, ciottoli della strada, contenitori della spazzatura, qualche molotov fabbricata in precedenza.
È un delirio, è la fine del sogno.
I lacrimogeni non danno tregua, la vista e il respiro vengono meno, riusciamo a distribuire qualche limone prima di abbandonare la zona degli scontri. Proprio ora si collega Radio Popolare: quello che ne segue é un racconto alquanto precipitoso, in media res, piuttosto difficile.
Nel frattempo Lorenzo tenta un’ultima interposizione, ma sono i provocatori stessi che lo circondano e lo minacciano. Desiste anche lui, non c’è più niente da fare. Rovinato tutto in cinque miseri minuti, in una deprimente discesa agli inferi.

h.15.00
Circa un’ora e mezza dopo la situazione è la seguente: concerto sospeso, dei 60 mila manifestanti non c’è piú nessuna traccia, gli organizzatori, noi compresi, rinchiusi nello scenario per difenderlo da possibili assalti, guerriglia urbana in tutto il parco: ancora pietre, ancora acqua, ancora gas, una buona mole di arresti (2), qualche inutile discussione con i provocatori (“siamo l’esercito del popolo”, ci si sente rispondere), qualche ferito lieve che ci chiede aiuto.
Soprattutto, una sensazione di frustrazione notevole. I nostri sguardi sono tristi, si cerca di tener su il morale, di ricordarsi che la Marcia é stata un successo e gli infiltrati non facevano affatto parte della moltitudine ma avevano approfittato dell’occasione per seminare il panico. Si aspettano notizie da chi è sceso nelle viuzze attorno al parco in cerca di persone “innocenti” incastrate fra i due schieramenti che continuano a confrontarsi. Si rimane in apprensione per Lorenzo, Vera, Giuliano e il furgone che non torna, ma che dovrebbe essere fuori dagli scontri.

h.16.45
Arriva il tempo dei saluti, ci si è ritrovati tutti e l’ambiente attorno é tornato alla normalità. Quello che abbiamo di fronte è uno spettacolo davvero indecente: i danni si conteranno in milioni di Pesos, il parco dovrà rimettersi a nuovo. Tutto per tre ore di follia malvagiamente organizzata. Uno scempio all’ambiente, ma anche uno scempio allo spirito delle migliaia di persone che credono (credevano?) nella possibilità di cambiare le cose in modo deciso ma pacifico.
Ci si dà appuntamento al giorno seguente per i due giorni di Forum Sociale, al quale é assegnato il compito di cancellare questa brutta conclusione di un giorno che era stato stupendo.

h.21.00
Il calare della notte riporta tranquillità interiore, e la lucidità necessaria per distinguere i momenti belli e quelli meno belli della giornata, senza ridurli a un unico fascio.
La televisione dà ampia e inaspettata copertura alla Marcia, ma ancor più sorprendente risulta il fatto che, nei vari servizi, si distingua coerentemente tra manifestanti pacifici e infiltrati: in un Cile in cui i fantasmi del passato continuano a riemergere, e la pressione sulla stampa da parte dei gruppi di potere continua a essere un fenomeno assai diffuso, è una lieta novità quanto appena descritto.
Almeno l’obiettività mediatica rende meno amaro il tornaconto finale di questo primaverile 19 novembre, che molto probabilmente sarà ricordato come la più partecipata riunione popolare degli ultimi 31 anni, ossia dal momento in cui, con la caduta del Governo di Salvador Allende, andava in letargo il sole della libertà d’espressione, del sueño de los pobres. Ci andava con un tramonto dal color rosso sangue, il colore dei diritti negati, della tortura incondizionata, del massacro degli ideali. Ci sarebbe andato per uscirne ben 17 anni dopo, opaco e zoppicante, rotto in mille pezzi.

C’è chi crede che dal Forum Sociale Cileno in poi le cose cambieranno. Chi ci crede sono migliaia di persone, migliaia di semplici e volenterosi cittadini. A queste persone è affidato il messaggio di grandi uomini del passato e del presente, queste stesse persone potrebbero scrivere nuove pagine della storia dell’Umanità, potrebbero ritrovare un criterio valido a risollevare le sorti della stragrande maggioranza delle persone in tutto il mondo che quotidianamente vede i suoi diritti basilari negati.

A essi, a noi, al popolo cileno come a quello del pianeta Terra: mucha su erte.

Note:1. “Non vogliamo, non ci va a di essere una colonia nordamericana. Sì vogliamo, sì ci va di essere un Sudamerica libero e sovrano”.
2. Alla fine della giornata si conteranno ben 189 persone arrestate.

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