Caschi Bianchi Cile
Breve storia del popolo Mapuche
Uno dei pochi popoli sopravvissuti alla conquista spagnola in Cile, rivendica oggi i propri diritti. Un approfondimento sulla storia del popolo Mapuche, nato dall’esperienza diretta dei due caschi bianchi e dal lavoro di ricerca e di traduzione da alcuni siti web locali.
Scritto da Fabio Milan, Giuliano Cunico (Caschi Bianchi a Santiago del Cile)
Quella dei Mapuche è una società millenaria che possiede una lingua, uno stile di vita e un’organizzazione propria. Si è sviluppata come nazione in modo libero, indipendente e regnante in gran parte del territorio ora conosciuto come Cile e Argentina. E’ l’unico popolo originario in America Latina che è riuscito a resistere all’invasione spagnola tra il XVI e il XVIII secolo.
Formati gli stati di Cile e Argentina dal 1810, dopo l’indipendenza dalla Spagna, i coloni fallirono diversi tentativi di invadere i territori Mapuche, azioni che si risolsero alla fine del XIX secolo in un’atroce guerra, che trasformò i Mapuche in una minoranza etnica, oppressa, impoverita e sottomessa alla sovranità dello Stato straniero.
Solo nel territorio cileno, lo Stato dal 1881 fino agli inizi del XX secolo, ha sottratto illecitamente al popolo Mapuche il 95% del territorio storico, perdendo 9.500.000 ettari di superficie. Fatti simili sono occorsi anche in Argentina.
Agli inizi del XX secolo, Cile e Argentina, assieme ad alcuni stati europei, accordarono una nuova politica colonialista in questa zona geografica. Oggi, la maggior parte di queste terre sono di proprietà di grandi aziende, come imprese forestali, peschiere, minerarie, petrolifere e idroelettriche.
Il popolo Mapuche in lotta per recuperare il suo territorio, la sua dignità e l’esercizio dei diritti politici, civili e sociali, è vittima di una constante, sistematica e pianificata violazione dei diritti umani.
Tanto in Cile quanto in Argentina il popolo Mapuche è vittima della negazione della propria identità, oltre ad essere defraudato delle risorse naturali che per secoli ha posseduto.
STORIA E RAPPORTI CON LO STATO CILENO
All’arrivo degli spagnoli, a metà del secolo XVI, esisteva il Popolo Mapuche, che occupava un esteso territorio dalle valli centrali fino all’arcipelago di Chiloè, con una popolazione di circa un milione di persone che parlavano una lingua comune. In questa omogeneità linguística si distinguevano due grandi unità territoriali: il Gulu Mapu o terre dell’ovest (Chile) e il Puel Mapu o terre dell’est (Argentina), internamente ogni una di queste unità, era costituita da distinti Butal mapu, spazi geografici che hanno dato la denominazione a gruppi territoriali come i Pikunche, i Willjche, i Peweche, i Lafkenche, i Wenteche, i Nagche, ecc. (cioè a seconda che la comunità mapuche viva in montagna, in pianura o sulla costa, riceve un nome differente).
La loro strategia di vita si basava sulla caccia, la raccolta, la pesca e una primitiva attività agricola per produrre patate, mais, peperoncini, fagioli, quinua, e altre piante che permettevano una alimentazione varia.
PERIODO DELLA COLONIZZAZIONE
Il progetto degli spagnoli di conquistare i mapuche e i loro spazi al sud del fiume BioBio fallirono, dando luogo al periodo detto “della colonia” in cui i mapuche non si lasciarono vincere.
In questa prima tappa del contatto con gli spagnoli, gli scontri videro favoriti i Mapuche, nei loro territori tra i fiumi Bio Bio e Malleco (frontiera alta) e tra il Bio Bio ed il Lebu (frontiera bassa detta anche dell’Arauco).
In pratica i Mapuche non furono sconfitti dagli spagnoli ma dallo stato cileno sul finire del secolo XIX (1885).
L’idea della progressiva Riduzione (concetto che si diffuse con la cosiddetta pacificazione della Auracania e secondo il quale più che creare delle riserve, si dovevano progressivamente ridurre le terre e l’influenza mapuche nella regione) appare parallelamente all’arrivo degli agrimensori in Araucania, quando constatarono che queste terre erano densamente occupate dai Mapuche e iniziarono a distribuire i titoli di proprietà. Il lavoro della commissione “Radicadora” fu lento e difficoltoso, facilitò la occupazione illegale di privati delle terre indigene e rimasero in mano mapuche solo 500.000 ettari. Dal 1910, cominciarono i diversi reclami al protettorato degli Indigeni per la occupazione illegale delle terre, abusi nell’affitto ad agricoltori, espulsione degli indigeni dalle loro terre e falsificazione dei titoli di proprietà. Considerando che lo stato cileno consegnò 3078 titoli di proprietà che equivalevano a 475.194 ettari e che favorirono 77.751 indigeni, almeno 33.000 indigeni rimasero senza terra o non vennero riconosciuti.
Tra il 1900 ed il 1931 si evidenzia un percorso di incorporazione subordinata della popolazione Mapuche nella società nazionale, dentro a questo processo è possibile distinguere le situazioni che definirono il carattere del popolo mapuche: il progetto di radicamento ha dato origine ad una ondata di violenza verso le comunità indigene. In questa ottica si concessero infime porzioni di terre alle famiglie indigene e non si riconobbe la struttura territoriale ancestrale delle comunità. Si cominciò un processo di usurpazione delle terre consegnate dallo stato, per cui i non mapuche arrivarono ad impadronirsi di un quinto delle proprietà consegnate. Questi fatti motivarono la prima mobilitazione massiva di protesta dopo la Riduzione, le organizazióni mapuche impegnano le loro energie nella denuncia contro il trattamento vessatorio diretto al popolo mapuche e nella difesa delle loro terre.
La legge sulle proprietà australi n. 4.802 che si ottenne nel 1930, era applicabile ai mapuche anche se non “radicati” fino a quel momento; con questa legge si pone fine alla commissione detta “radicadora” degli indigeni.
Nel giugno del 1931 il decreto legge n. 4.111 considera la restituzione delle terre, il radicamento degli indigeni nelle terre dello stato disponibili che loro avessero occupato in precedenza. Le proprietà indigene sarebbero divenute commercializzabili e le sentenze sulle divisioni delle comunità sarebbero state rese note alla corte di Appello.
Il presidente Ibáñez, nominò nel 1952 Venancio Coñoepan come ministro delle terre e della Colonizzazione, e si sviluppò un progetto di legge che stabiliva di liberare la gente dal pagamento delle imposte di contribuzione sui beni di origine indigena. Nel 1953, Venancio Coñoepan seguì il processo di divisione delle comunità, il primo programma di borse per studenti indigeni e un sistema di credito finanziato dal banco di Stato.
Nonostante il crescere delle necessità mapuche, si arriva al governo Eduardo Frei Montalva, nel cui contesto si discuterà una nuova normativa per riformare la proprietà agricola, dove la partecipazione mapuche nella discussione della legge sarà assolutamente marginale. Si seguirà con la legge 15.020 con la quale si espropriarono 50 fondi equivalenti a oltre 34.000 ettari. In questo periodo si riuscì comunque a restituire circa 1443 ettari, ma la grande domanda di terra non poteva essere soddisfatta e lo scenario mapuche restò configurato da numerosi e piccoli appezzamenti, il contesto sociale dell’epoca facilitò questo processo di disgregazione al quale si sommò la polarizzazione politica e ideologica.
Con la riforma agraria sviluppata durante il governo di Unità Popolare ( 1971-1973), si restituiscono all’incirca 80.000 ettari alle comunità mapuche alle quali erano state usurpate le terre dai grandi proprietari. Con lo spostamento a Temuco di tutti gli organismi nazionali agricoli, si da anche origine alla commissione di restituzione delle terre usurpate. Nell’anno 1966 la confederazione che raggruppava i mapuche aveva infatti consegnato una richiesta di restituzione di ben 150.000 ettari.
Al posto di questa riforma, nel 1979 il governo militare, promulga il decreto legge 2.568, che cerca di concludere con il tema delle comunità mapuche e le loro proprietà comuni. Questa iniziativa venne consolidata alla fine con la legge di divisione delle comunità indigene, dove un tribunale speciale di divisione doveva fare la ripartizione delle terre a ogni capo famiglia all’interno della comunità e trascorsi 10 anni, i detti membri sarebbero stati riabilitati per fare qualsiasi tipo di contratto con le loro terre, vendere, affittare, creare particelle individuali, disintegrando così la comunità sociale e la base tradizionale dell’ identità del popolo mapuche.
SITUAZIONE ATTUALE
Il decreto legge 2.568, tendente alla divisione e liquidazione delle comunità mapuche, generò una forte resistenza all’interno del popolo mapuche cosa che venne a riflettersi nella creazione del “centro culturale mapuche”, la prima organizzazione dopo il colpo di stato di carattere indipendente che lotta per il riconoscimento del popolo mapuche.
Al ritorno della democrazia, con la promulgazione della legge indigena n. 19.253 ( 1993) si inizia il progetto di valorizzazione, rispetto e sviluppo delle comunità che presentano una situazione socio-economica critica e con alto indice di povertà. La popolazione mapuche attuale è di 600.000 persone ( censo del 2002) che rappresentano l’87% della popolazione indigena del Chile.
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